Figlio di cane, di Attilio Scarpellini

Vladimir. Ma poi forse nemmeno si chiama così. L’inattendibilità della memoria, la confusa generazione di ulteriore memoria a nebulizzare la prima, è un tema portante di “Figlio di cane”, testo per il teatro di Attilio Scarpellini. È il racconto di una mattinata parigina forse anonima, come tutte, forse invece significativa, come tutte. È la storia di un incontro tra AS, giovane curioso delle parole e dei pensieri, e Vladimir Slepian, vagabondo scrittore senza patria e senza opera. La mattina, pur fredda, sembra gentile. Le persone si raccolgono in un’ombra, la neve giungerà a scardinare proprio la memoria e smarginare i ricordi. Vladimir vi appare come una confusa manifestazione, uno stimolo dal passato che riemerge senza una precisa collocazione, né per la figura né tanto meno per i pensieri che esprime. È “un uomo colpito da un fulmine”, una presenza necessaria, inequivocabile, ma allo stesso tempo evanescente e segreta. Il dialogo, che si arricchisce per uno sfasamento temporale e dell’interlocuzione, esplicita una forma di conoscenza che via via si sta perdendo, ma che nel ‘68 parigino, tempo e luogo dell’opera, appariva come aspirazione intellettuale: “Parlate con chi vi sta accanto”, recitava uno slogan di allora. Rimasto disatteso. AS, l’autore, si mette in scena come in uno specchio deformato che scuote il passato ma dal presente, allo stesso modo di come fanno le dita di una mano che scuote un paesaggio sottovetro, perché venga giù la neve. Appunto, la neve è elemento primario di questo testo proprio come consistenza, una neve coprente che impressiona per quantità e uniformità, non per il clima che si avverte, anzi, quasi caldo, come se la neve avesse la temperatura della Storia, in un tempo avvolgente in cui si percepisce non il pericolo ma l’eccitazione verso una nuova guerra mondiale. Scarpellini, che raccoglie paesaggi e intenzioni dal Patrick Modiano de “L’orizzonte” o “Nel caffè della gioventù perduta”, inarca un racconto come una sonda e scivola indietro, a cercare, ancora oggi, segnali di Novecento. (Figlio di cane, di Attilio Scarpellini, Mimesis, 2024)

Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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