Recensione. Extra moenia, l’ultimo spettacolo di Emma Dante, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo e visto al Teatro Storchi di Modena. Da marzo 2025 riprende la tournée con Napoli e Udine.
Extra moenia sono tutti gli emarginati, quelli che vivono “fuori dalle mura” come indica già il titolo di questa nuova opera di Emma Dante nata da diversi laboratori di scrittura scenica. Prima in forma di saggio di fine corso nell’anno accademico 2019/2020 della scuola del Teatro Biondo di Palermo che da lei era diretta e successivamente riproposto nella scuola attoriale ERACM di Cannes. Oggi lo spettacolo che vediamo è una ripresa di questi due momenti di creazione.
Per anni ho cercato di delineare il metodo della regista palermitana, ormai stimata in tutto il mondo, dalla Cina agli Stati Uniti. Ho cercato di studiare il più possibile la natura del gesto, rozzo e sguaiato e insieme raffinato dei suoi attori, e ho lavorato a lungo per trovarne l’origine. Sono stata spesso presente ai numerosi laboratori creativi che Dante fa precedere a ogni suo spettacolo e ho visto nascere, crescere e andare in scena l’incredibile “macchina scenica” che è il teatro di Emma Dante. In ogni corpo che si muove sui palcoscenici vuoti e neri, in ognuna delle opere di Emma Dante affiora il riverbero della sua presenza. Non potrebbe esistere quest’ultimo lavoro, Extra moenia, e nessun’altro, senza la vincolante relazione che c’è tra gli attori e la regista, i quali insieme costituiscono un unico corpo organico.
Non appena le luci accendono la scena una schiera di quattordici elementi occupa il proscenio in tutta la sua lunghezza. Sono persone che dormono, russano, parlano nel sonno, fischiano. Si stanno svegliando e svegliandosi si trasformano: escono dal bozzolo di ingombranti pigiami, coperte, sciarpe, cappelli e scarponi per rivelare i panni della quotidianità, del giorno, il ruolo che hanno nel mondo quando tutto intorno si sveglia e anche loro partecipano al movimento ritmico della città extra e intra moenia. Come un triangolo geometrico iniziano a percorrere tutta la scena, tracciando diagonali da cui qualcuno a turno si stacca per recitare la sua parte. C’è il capotreno di Trenitalia che annuncia ritardi indecenti (che fanno ridere tanto come quando si è troppo arrabbiati per un’ingiustizia comune). C’è l’immigrato che dal Congo ha superato il deserto e il Mediterraneo per raggiungere il “paradiso”, ovvero l’Europa. C’è Libertà, la studentessa islamica che si spoglia dal velo e dalle vesti per gridare il suo nome in opposizione al governo che vuole sopprimere il potere sociale delle donne. C’è la prostituta ucraina che nella guerra ha perso tutto tranne il proprio corpo. Così si susseguono molteplici scenari corali: il mercato di Ballarò e quello improvvisato dei vucumprà con la robba nascosta in grandi teli srotolati sulla strada. E per ogni scena colorata e carnevalesca ce n’è una lugubre e violenta che arriva in opposizione. Per ogni risata liberatoria c’è un colpo al fianco.
Senza trama e senza sforzo di cercarla, questo è uno spettacolo non del tutto riuscito; tante, troppe, sono le tematiche che si sono volute affrontare così da farlo sembrare uno schermo su cui scrolliamo le notizie di attualità: lo stupro di gruppo, gli orrori della guerra e la sua legittimazione, l’indifferenza verso il povero, lo sperduto, l’emarginato, il caro affitti, la gentrificazione dei quartieri, la banalità del male, lo sfruttamento dell’ignoranza, l’inconciliabilità tra donne e uomini, la supremazia del patriarcato.
Vero filo conduttore dello spettacolo è il topos del viaggio. In uno dei momenti più suggestivi l’emarginato sta al centro di un coro: il migrante racconta il suo viaggio fino in Sicilia e lo fa in una lingua straniera, il francese. Intorno a lui un mare di plastica scricchiola riproducendo il rumore delle onde. Gli altri, il coro, soffiano dentro a salvagenti colorati, unica ridicola ancora di salvezza. Tutto è caricaturale, tutto è incredibilmente reale. Alla fine del monologo il triangolo organico si ricrea e attraversa per l’ultima volta la scena, stavolta in circolo, lentamente, spostando coi piedi le bottiglie di plastica di cui è cosparso il palco. Questo rumore di plastica e di mare ce lo porteremo dentro insieme alle lacrime trattenute, a un senso di inadeguatezza inespressa e inesprimibile di fronte alla tragedia del naufragio.
Nonostante le perplessità di cui sopra gli applausi scroscianti della platea del teatro Storchi di Modena dimostrano quanto l’opera di Dante sia apprezzata in quanto democratica, pronta ad affrontare tutti i pubblici del mondo, a superare tutte le barriere linguistiche e culturali, a farsi oggetto di analisi della critica e degli studiosi ma anche e soprattutto mitologia del pubblico.
In questi giorni la regista ha rilasciato un’intervista in cui annuncia il suo trasferimento a Roma, città dalla quale può viaggiare per il mondo più facilmente che da Palermo. Lasciando Palermo dopo quasi trent’anni di attività forse Emma Dante rinuncia al ruolo che in tutto questo tempo ha assunto, quello di portavoce dell’arte emarginata: forse non vuole più scalare le mura irte della politica siciliana che non cura i suoi artisti e della politica italiana che non guarda mai alla Sicilia per quello che è – terra di fermento artistico e di creazione –, non preoccupandosi mai di cosa succede “extra moenia”.
Silvia Maiuri
Dicembre 2024, Modena, Teatro Storchi
EXTRA MOENIA
regia Emma Dante
con Verdy Antsiou, Roberto Burgio, Italia Carroccio, Adriano Di Carlo, Angelica Di Pace, Silvia Giuffrè, Gabriele Greco, Francesca Laviosa, David Leone, Giuseppe Marino, Giuditta Perriera, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino
luci Luigi Biondi
assistente ai movimenti Davide Celona
assistente di produzione Daniela Gusmano
produzione Teatro Biondo Palermo
in coproduzione con Atto Unico – Carnezzeria
in collaborazione con Sud Costa Occidentale
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
foto manifesto di Rosellina Garbo