È un prezioso volume collettaneo, curato da Elena Cervellati e Silvia Garzella, che fa il punto sulla videodanza. A partire dagli anni Settanta del Novecento fino a oggi, le tecnologie hanno dialogato con vero profitto con le arti performative, determinando «inedite opportunità di dilatazione e potenziamento del corpo danzante». C’è molta Italia in questi contributi, ma ciò che più conta non vengono qui intercettate quelle esperienze di mainstream che fanno mercato della tecnologia, realizzando prodotti visivi di mera spettacolarità, senza pensiero. Al contrario, largo spazio è dedicato alle manifestazioni fondanti della videodanza italiana, agli sconfinamenti tra i generi tra gli anni Ottanta e Novanta (nell’era del videoclip, soprattutto, e chi se lo scorda…), fino alle importanti ricerche di artist* poco inclini all’autopromozione, come Paola Bianchi (nel saggio di Samantha Marenzi) o Ariella Vidach (intervistata da Silvia Garzella), non meno che sulla nascita e sulla vitalità di un archivio come quello di Cro.me (di Enrico Coffetti). Completano utilmente i saggi più teorici, sulla nozione di coreografia nell’era del virtuale, e le sue ricadute in una progettata «architettura liquida» o «mobile» o infine «trasmediale», per facilitare il dialogo interattivo fra diverse tecnologie (Letizia Gioia Monda). E sulle implicazioni della produzione in VR, tra immersione e distacco, tra fascinazione e interrogazione, secondo una manipolazione della percezione del tempo foriera di nuovi confini dell’esperienza sensoriale e percettiva (Ester Fuoco). (Danza, schermi e visori. Contaminazioni coreografiche nella scena italiana, a cura di Elena Cervellati e Silvia Garzarella, Dino Audino, 2024).
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