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SHAME CULTURE (di Andrea Lucchetta)

Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 24

Foto Manuela Giusto

È una particolarità della società odierna l’apparire, ancor più che essere o esistere, dimostrare qualcosa agli altri: che non possiamo fallire, che il tempo è così tiranno che fagocita tutto quello che non riesce a stare al passo, che il rendimento conta a tal punto da divenire condizione esistenziale, che quello che fai vedere di te stesso ti definisce, sempre e irrimediabilmente. È da questi presupposti che prende avvio il lavoro di Asilo Republic, calato all’interno del mondo giovanile universitario: in scena tre bravi performer Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi, che sono studenti ma anche madri, padri e figli, esseri umani che vivono uno scarto generazionale e ne subiscono il principio di incomunicabilità. L’audace regia di Andrea Lucchetta riesce ben a rappresentare visivamente questa impossibilità relazionale – negli scarti tra piani scenografici, tra persona fisica e virtuale o nei monologhi personalissimi di ogni personaggio – e semina sul palco i segni dell’apparire come indizi descrittivi di un mondo che deve davvero cambiare alle sue radici: computer, telecamere, cellulari e proiettori, sono strumenti digitali attraverso cui potersi sdoppiare ma che al tempo stesso creano una realtà fittizia incubatrice di ansie, paure, di alibi per menzogne e isolamento. Attingendo alla materia pulsante e magmatica di un certo teatro documentario e d’indagine, che speriamo il regista possa ulteriormente approfondire, – nelle riprese video “sporche” ma autentiche affidate a Carlo Fabiano –, Lucchetta riflette sulla trasformazione in atto dell’individuo nella società della performance, una trasformazione che il filosofo Byung-Chul Han definirebbe “da soggetto a progetto”, che porta un ragazzo a mentire fino all’ultimo sui suoi risultati scolastici, a organizzare la propria festa di laura senza conseguirla per poi togliersi la vita. Una trasformazione che si può ancora invertire nelle sue spinte, forse solo facendo lo sforzo di comprenderle, fino in fondo, senza mai giudicarle. (Andrea Gardenghi)

Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano. Crediti: drammaturgia Asilo Republic, regia Andrea Lucchetta, con Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi, luci Gianni Staropoli, musiche Luca Nostro, fonico Luca Gaudenzi, scene e costumi Dario Gessati, video Carlo Fabiano, assistente alla regia Marco Fasciana, coproduzione Teatro dell’Elfo, Accademia Nazionale Silvio D’Amico

Cordelia, novembre 2024

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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