Presentiamo in anteprima due dei quattro progetti vincitori della quinta edizione del bando Residenze Digitali: Spazio Latente di Filippo Rosati e Non Player Human di Simone Arganini e Rocco Punghellini. Le performance digitali sviluppate nell’ambito del bando incontreranno il pubblico durante la consueta Settimana delle Residenze Digitali, in programma dal 28 novembre al 1 dicembre 2024. Articolo in media partnership.
Che esseri umani saremo tra cent’anni? E tra cinquanta, o dieci? Questa domanda accompagnerà sempre ogni speculazione sulle sorti dell’arte performativa. Nuove tecnologie, intelligenze artificiali, web 4.0: il mare digitale in cui siamo immersi ha cambiato già e di molto il nostro rapporto con il mondo e di conseguenza con l’oggetto artistico. È affascinante immaginare quanto l’opera d’arte subirà a sua volta una trasformazione, quali direzioni prenderà, che ruolo avrà nella vita dell’uomo. Il bando Residenze Digitali nasce proprio con l’intento di stimolare, sostenere e affiancare gli artisti che muovono la propria ricerca sulla scia di questa visione, innestando la pratica performativa sullo spazio digitale online. Nato nel 2020 dall’esperienza del lockdown, il progetto vuole spingere gli artisti a superare la funzione utilitaristica del web come piattaforma alternativa di fruizione, per esplorare le possibilità potenzialmente infinite che l’ambiente virtuale offre alla pratica performativa. Giunto alla quinta edizione, l’ambizione e la messa a fuoco dei progetti selezionati, che saranno presentati al pubblico durante la consueta Settimana delle Residenze Digitali dal 28 novembre al 1 dicembre 2024, è sempre più alta.
Attorno all’umano e alla sua esistenza nel mondo digitale orbitano due dei quattro progetti selezionati e sviluppati durante questa edizione sotto il tutoraggio di Laura Gemini, Anna Maria Monteverdi, Federica Patti e Marcello Cualbu: Spazio Latente di Filippo Rosati e Non Player Human di Simone Arganini e Rocco Punghellini.
Il rapido sviluppo delle neurotecnologie offre la possibilità di affacciarsi su un panorama infinito di scenari futuri: agendo direttamente sui neuroni e quindi tramite il pensiero, questa tecnologia potrebbe rivoluzionare l’idea stessa di fruizione dell’opera d’arte performativa, se non l’esistenza umana tout court. Da questa vertiginosa prospettiva Filippo Rosati ha sviluppato il progetto Spazio Latente (giovedì 28 novembre alle 21 live su Twitch): un teatro anatomico virtuale in cui lo spettatore sperimenta in forma interattiva l’operazione su un paziente che ha deciso di farsi «hackerare». In una commistione tra storytelling e gameplay, la performance digitale avrà come protagonista P1, il paziente alla ricerca di una nuova identità che parta da una coscienza su misura, fatta di ricordi propri mescolati a quelli di altri o generati artificialmente. Come spiega Rosati, artista dal curriculum variegatissimo particolarmente focalizzato sulle neuroscienze, «i materiali che compongono questa esperienza provengono da un’accurata sintesi tra memorie reali e costruzioni artificiali, proprio come avviene nel mondo di P1, il paziente che si sottoporrà all’intervento neurochirurgico. Attraverso frammenti di esistenze digitali e frammenti di vissuto umano innestati, lo spettatore è condotto in una simulazione che esplora il limite sottile tra il pensiero autentico e il pensiero mediato dalla tecnologia impiantabile». Allo spettatore, che supervisiona il processo tramite la piattaforma Twitch e potrà interagire via chat o sondaggi, sarà data la possibilità di decidere i confini di questo hackeraggio, inevitabilmente interrogandosi sulle implicazioni di ogni scelta. «L’obiettivo è di spettacolarizzare l’operazione chirurgica e generare un’esperienza destabilizzante che metta in crisi la percezione dell’identità, spingendo il pubblico a interrogarsi sul valore delle emozioni e dei ricordi quando questi diventano manipolabili». Spingere lo sguardo nel futuro ha l’effetto boomerang di portarci con più forza nel presente, per mettere a fuoco il nostro stare al mondo. La visione di Filippo Rosati è condensata nel nome che ha dato al proprio progetto di ricerca, Umanesimo artificiale, «nato con il fine di interrogarsi su che cosa significa essere umani nell’era delle intelligenze artificiali e lo fa lavorando con tecnologie esponenziali nel campo delle new media art: uno spazio in cui i confini tra uomo e macchina, naturale e artificiale, arte e tecnologia, sono sempre più labili ed hanno perso ogni valore ontologico».
L’assottigliarsi di questi confini è destabilizzante e detonante insieme, perché ci mette davanti alla necessità di riscrivere le regole dell’esistenza umana. Se le macchine diventano sempre più intelligenti, a cosa serve la nostra intelligenza di individui? Quanto siamo liberi? Vogliamo davvero esserlo? Con Non Player Human (al debutto il 29 e 30 novembre) il danzatore e performer Simone Arganini e il designer digitale Rocco Punghellini sperimentano l’alterazione delle dinamiche relazionali e di potere attraverso lo studio dei “Real world NPC”. Si tratta di un fenomeno virale che riproduce nella realtà le dinamiche dei “Non Playable Character” dei videogiochi, personaggi senza coscienza e senza arbitrio che agiscono soltanto in funzione di prompt prestabiliti. Allo stesso modo Simone Arganini si muoverà in uno spazio domestico seguendo le indicazioni che il pubblico gli darà. «La volontà iniziale era quella di creare un dispositivo performativo, anche molto aperto, in cui il pubblico potesse dare indicazioni al performer liberamente con il filtro di un mediatore. Il desiderio di creare una performance caratterizzata da un interprete in attesa delle istruzioni del pubblico, passivo, obbediente, è nato parallelamente all’idea di lavorare a una performance da fruire online. Questa fruizione, infatti, permette un’interattività diretta e precisa da parte del pubblico, che può intervenire tramite chat, in un modo che sarebbe difficile replicare dal vivo». L’eco evidente, da cui Arganini e Punghellini hanno preso ispirazione, è l’esperienza della performance Rythme 0 di Marina Abramović, che esplorava in tutta la sua crudezza fin dove riesca a spingersi l’uomo se messo in posizione di potere e controllo su un altro essere umano.
Anche in Non Player Human lo spettatore, che assiste in diretta streaming alla performance, è messo nella posizione di potere e controllo sul performer, ma l’immaginario adottato è quello del videogame. «Dopo varie sperimentazioni siamo approdati a un formato che assomiglia più a un librogame, in cui il voto del pubblico, come collettività, decide di volta in volta la direzione in cui lo spettacolo proseguirà. Nella performance di Marina Abramović che ci ha dato il primo spunto, il singolo individuo che voleva intervenire sul suo corpo aveva completa autonomia. Nel nostro caso, la capacità decisionale e la responsabilità di ogni scelta sono distribuite tra i singoli membri del pubblico in modo democratico, preservando un parziale anonimato. In questa dinamica di controllo, il tema del videogioco ci è risultato da subito coerente, in particolare nella figura dell’NPC, ovvero un personaggio non protagonista. Da qui abbiamo tratto ispirazione sia per la drammaturgia sia per l’estetica dell’interfaccia, il lavoro sul video e sul suono». Lo spettatore, immerso in uno spazio a metà tra il virtuale e il reale e spinto ad assumersi la responsabilità delle azioni del performer, dovrà fare i conti con questo potere e allo stesso tempo empatizzare con un soggetto che si offre in totale e volontaria perdita di autonomia, una condizione che vista da vicino e specificamente all’interno di una dimensione digitale risulta tutt’altro che eccezionale. Come raccontano ancora Arganini e Punghellini, «sono tipiche nell’internet le nicchie digitali in cui le persone possono trovare un rifugio, uno spazio con regole proprie e atipiche. Durante la nostra performance, lo spettatore arriverà gradualmente a conoscere il “Non Player Human” che, dietro un’apparenza vaga e poco caratterizzata, mostra delle crepe. Ma solo se il pubblico glielo consente».
Residenze Digitali nasce da un’idea del Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in partenariato con l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora │ La Corte Ospitale), l’Associazione ZONA K di Milano, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche, il Centro di produzione di danza e arti performative Fuorimargine in Sardegna e l’Associazione Quarantasettezeroquattro (In\Visible Cities – Festival urbano multimediale) di Gorizia.
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