Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 24
Un’impacciatezza del corpo, teso a replicare una postura vista chissà dove, chissà da chi – forse in tv, da un genitore, dall’amic* del cuore. Eppoi i confini di un parco, casette bianche, gruppuscoli di coetane* e schiamazzi, il desiderio di essere-come, la curiosità per il corpo dell’altra, l’esposizione di sessi ancora non-schiusi. Mine-haha di Frank Wedekind è un testo che buca la sua epoca, la Bélle epoque, prestandosi a letture attualissime. Lo sguardo di Marco Corsucci e Matilde Bernardi spreme il racconto in 45’ ipnotici, dalla geometria netta, sapiente, perturbante. Il corpo di Matilde Bernardi, muto ma eloquentissimo, è inscritto in un telo bianco a terra da cui non c’è scampo, brano di luce che rende possibile, in quanto tale, la visione di ciò che vi ricade. Quel lacerto bianco steso è forse la metafora delle villette bianche del racconto di Wedekind: immerse in un parco, avviene in esse l’educazione fisica delle fanciulle di una società distopica – fanciulle destinate a un’educazione infinitamente ripetibile e omologante. Chi si sottrae alle regole è condannata a restare a vita nel parco, verde interstiziale di questa green-city penitenziale – parco a sua volta cinto da alte mura. Nel testo si affastellano argomenti singolari e urgenti: dalla profezia concentrazionaria a una robusta critica all’omologazione educativa dei corpi. Ma l’operazione di Corsucci e Bernardi, che con Mine-haha hanno vinto il Premio Silvio d’Amico alla Regia (in collaborazione con Romaeuropa), va ben oltre il riuscitissimo adattamento: la potenza del racconto è filtrata da una sapiente layerizzazione di drammaturgie, dal movimento al paesaggio sonoro, dalla parola fuori campo a dettagli visivi che ricordano un’opera analoga per straniamento e temi – Picnic ad Hanging Rock: lì, come sulla scena, siamo testimoni della sparizione magica, violenta e paradossale di un corpo femminile. L’interrogazione di quel corpo cancellato, attraverso un gioco di sguardi e nudità, evoca la nostra corresponsabilità voyeuristica, senza puntare il dito: se ne esce straniati e partecipi. (A. Zangari)
Visto a Mattatoio – Romeuropa Festival. Crediti: un progetto di Marco Corsucci e Matilde Bernardi; ideazione e regia: Marco Corsucci; con: Matilde Bernardi; spazio e luci: Flavio Pezzotti; suono: Federico Mezzana; Produzione Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio d’Amico in collaborazione con Romaeuropa Festival – con il sostegno di TPE – Teatro Piemonte Europa