| Cordelia | novembre 2024
Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.
Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di novembre 2024 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.
#ROMA
MUM (di M. Lloyd Malcolm, regia R. Di Maio)
In questi giorni sono andati in scena due spettacoli, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro (leggi anche The Wasp), entrambi tratti dalla penna di Morgan Loyd Malcolm, prolifica autrice inglese, non solo per il teatro, anche per il cinema e serie tv. La sua è una scrittura impietosa, e fastidiosa quasi, che non lascia margini di fraintendimento o compassione senza però imporre una lettura interpretativa univoca; una sfida registica e attoriale per chi decide di portarla in scena. Mum è uno psicodramma politico tratto dall’omonimo testo, diretto da Roberto Di Maio e inserito nella rassegna TREND al Teatro Belli. Sul palco Manuela Parodi (Nina), Elena Radonicich (l’amica Jackie) e Tiziana Avarista (la suocera di Nina, Pearl), un trio di attrici affiatato e compatto, a dispetto del poco tempo di prove, che ha fatto proprio il testo restituendolo al pubblico in tutta la sua materna dirompenza; cioè dando al termine materno un significato scisso nelle sue innumerevoli nature. La depressione post partum - tema che solo negli ultimi anni ha visto il diffondersi di una letteratura a riguardo, e ancora un tabù in molti contesti, tanto familiari che sociali - viene resa dalla regia attraverso una dimensione scenica costruita come fosse una matrioska - non è casuale il riferimento alla figura femminile – che ne racchiude al suo interno di altrettante: dalla casa di Nina, all’ospedale, alla casa della madre, al tribunale. Un simile procedimento rappresentativo richiede estrema precisione e, nonostante un accumulo a volte indefinito di oggetti, come quelli della cucina o le medicine sul boccascena, la scena riesce a dare forma al contenuto. Mum confonde i piani della realtà con quelli della finzione, non risparmia gli spettatori, ovvero la società indifferente al dolore, alla stanchezza, alla paura, e rappresenta i meccanismi mentali che imbrigliano non solo una madre, ma anche chi le sta accanto. (Lucia Medri)
Visto al Teatro Belli per la rassegna TREND: di Morgan Lloyd Malcolm, regia e luci Roberto Di Maio, con Manuela Parodi, Elena Radonicich, Tiziana Avarista, traduzione Manuela Parodi, con il sostegno di ZIP_Zone d'intersezione positiva, con il supporto di Artisti 7607
BAUBÒ (di M. D’Accardi, Regia T. Capodanno)
Come evitare che parlare di malattia diventi soltanto un atto terapeutico, troppo intimo e privato perché lo spettatore possa trovare il proprio posto solo come voyeur?
Matilde D’Accardi, che porta in scena a Carrozzerie not se stessa e il proprio percorso attraverso una grave patologia (che le sia successo o meno, cioè che si tratti di autonarrazione o di autofiction, non cambia), riesce a superare quel rischio ponendosi a una distanza critica grazie al taglio comico, a volte volutamente grottesco, che imprime al suo racconto. Baubò, un monologo utero e dilettevole fa luce su un episodio che a detta degli altri (nel caso specifico, dalla voce fuori campo della madre medico), è definito come qualcosa su cui “metterci una pietra sopra”. Il tabù è un tumore all’utero proseguito con diverse complicazioni, ma diventa occasione non solo per poter parlare delle sfaccettature del rapporto medico-paziente e di quello madre-figlia, ma soprattutto si fa riflessione di come ancora oggi il corpo della donna è corpo politico, per superare lo stereotipo per cui il fine ultimo debba essere ancora sempre e solo preservare la possibilità di avere figli, anche a discapito della vita. Nella regia di Tommaso Capodanno il racconto, che spazia dal teatro di narrazione alla stand-up comedy, passando per l’interazione con un’installazione fatta di una gigantesca sacca di nylon con dentro palloni di diversa fattura (visualizzazione pop dei tumori di Alessandra Solimene che ricorda le sculture di Flavia Mastrella), dipinge attraverso pennellate ironiche i tratti dei diversi personaggi che appartengono alla storia e la scansione degli eventi. Emergono dalle sue parole i tratti del medico superficiale, la dottoressa burbera ma che dà sicurezza, quella che non conclude un discorso e sembra seminare più dubbi che altro, l'infermiere che dà la soluzione inaspettata, la madre che sta scomoda sia nelle vesti di medico che in quelle di genitore, ma alla quale ci si rivolge sempre. Lo spettacolo, ancora alle prime repliche, riesce ad arrivare anche senza quelle poche sbordature di interazione col pubblico, anzi, nella sua asciuttezza ironica e però puntuale, tocca le corde di un’emotività condivisa e che raggiunge tutti.
Visto a Carrozzerie n.o.t. Di e con Matilde D'accardi| Regia e suoni Tommaso Capodanno| Scenografia Alessandra Solimene| Con il sostegno dell’Ass. Settimo Cielo Teatro la Fenice di Arsoli.
THE WASP (di M. Lloyd Malcolm, regia V. Cognatti)
La scena è grande, pulita e ordinata, con solo un pianoforte sulla destra, una porta al centro e un rubinetto alla sinistra. Una dimensione svuotata in cui prima c’era qualcosa e adesso non c’è più: sradicato, rimosso, abortito. A riempire questa assenza, due attrici, neo diplomate all'Accademia Paolo Grassi di Milano, Perla Ambrosini e Silvia D'Anastasio, entrambe con l’onere e onore di portare sulle spalle The Wasp, un testo complesso (che è anche un film), in cui le due protagoniste Erin e Kate rappresentano due spaccati sociali in cui si insinua, dolorosamente e per anni, la violenza: la prima, Erin, subisce a lungo, da giovane, e anche da adulta; la seconda Kate, agisce il male con la banale semplicità di chi lo ha attorno, da sempre, nella propria educazione e non conosce altra modalità di relazione. L’una proietta sull’altra la rabbia verso la propria esistenza: potrebbero sembrare l’una vittima (Erin) e l’altra carnefice (Kate) ma i confini non sono così netti e sopratutto a fare la differenza è il passaggio dall’infanzia all’età adulta, chi sono ora queste donne? Chi erano da bambine e cosa vede l’una quando si specchia nel volto dell’altra? Eccetto qualche lieve incertezza, Ambrosini e D’Anastasio incorporano nell’interpretazione tali interrogativi esprimendone la molteplicità dei caratteri e la totale assenza di definizione. La scrittura della drammaturga e sceneggiatrice inglese Morgan Lloyd Malcolm (leggi anche Mum) viene resa dalla regia di Valentina Cognetti con essenziale fedeltà; la drammaturgia segue la traduzione (di Enrico Luttmann) con aderenza, tanto che a volte si potrebbe lasciare più spazio all’azione scenica e meno al testo, soprattutto nelle parti monologanti e/o soliloqui. Che la violenza generi violenza è un assunto di comodo quando la vera domanda che ci pone questo lavoro è cos’è la violenza e perché la vespa (the wasp) punge? (Lucia Medri)
Visto allo Spazio Diamante: di Morgan Lloyd Malcolm, traduzione Enrico Luttmann , organizzazione Alice Staccioli, scenografia Michelangelo Raponi, aiuto regia Martina Grandin, produzione Margot Theatre Company
ZONA FRANCA (di Alice Ripoll)
Alcuni dei performer sono già in scena mentre il pubblico prende posto, sono in un angolo a sinistra, cantano, tengono il ritmo battendo le mani e picchiando sulle percussioni. Dal soffitto della sala Petrassi dell’Auditorium pendono grandi palloni neri, sul fondale si vedono le aste con i fari la cui luce ci invaderà. Una volta entrato tutto il pubblico l’immagine apparentemente banale di un gruppo di danzatori brasiliani intenti a danzare senza fermarsi mai lascia il posto allo spazio dell’immaginazione, nel quale tutto è possibile. Nella Zona Franca pensata dalla coreografa Alice Ripoll vengono accolti performer con diverse fisicità, a tratti instancabili, a tratti in grado di danzare la lentezza nei silenzi interrotti da musiche potenti. Qui lo spiritualismo si unisce alla sensualità estrema. Tutto si trasforma sotto i nostri occhi: le danze urbane, la danza contemporanea, quella afro e la capoeira. Unisoni, festa apparentemente anarchica, soli, passi a due e a tre. Alice Ripoll non vuole raccontarci una storia ma occasionalmente le danze, anche quelle più furenti, si bloccano lasciando apparire immagini e azioni che hanno a che fare le mitologie moderne: il calcio, l’erotismo nella versione ironica di un twerk in cui una delle danzatrici riesce a muovere i singoli muscoli del fondoschiena a ritmo di musica, oppure il corpo erotico che diventa preda degli smartphone pronti a trasformarlo in preda sessualizzata per un porno quotidiano e a basso costo. I palloni sopra le teste degli artisti esploderanno facendo cadere coloratissimi coriandoli, un rider entrerà in scena con una bicicletta rossa che poi sarà usata come strumento musicale. Siamo con i dieci performer, dall’inizio alla fine, nei salti, nelle prese acrobatiche, tra gli spari e le urla, nelle gambe che si incrociano a ritmi indemoniati o nei gesti lentissimi di una preghiera; siamo tra le strade di un Brasile luccicante dove tutto è possibile, dove la favela è dietro l'angolo e i corpi sono musica pura. (Andrea Pocosgnich)
Visto all'Auditorium Parco della Musica, Romaeuropa Festival. Coreografia: Alice Ripoll Performer: Gabriel Tiobil, GB Dancarino Brabo, Hiltinho Fanta?stico, Katiany Correia, Maylla Eassy, Petersonsidy, Romulo Galvao, Tamires Costa, Thamires Candida, VN Dancarino Brabo Assistenti alla regia: Alan Ferreira e Thais Peixoto Disegno luci: Tomas Ribas e Diana Joels Tecnico luci: Taina Miranda Scenografia e costumi: Raphael Elias Assistente costumista e sarta: Gabriel Alves Soundtrack: Alice Ripoll e Alan Ferreira Tecnico luci e prove: Renato Linhares / Alan Ferreira Illustrazione e Designer: Caick Carvalho
LE SORELLASTRE (di O. Bianchi, regia G. Latini)
L’acqua all’interno della bottiglietta continuerà a tremare per tutto lo spettacolo, poggiata sul tavolo della sala da pranzo - sul quale si terrà il gioco, attorno al quale si urlerà, piangerà, si incasseranno insulti e si riderà anche - non smetterà di essere scossa, mentre alle spalle, sul fondo della scena, immobile sta la bara aperta. Alla sesta stagione di repliche, Le sorellastre di Ottavia Bianchi, con la regia di Giorgio Latini, torna in scena all’Altrove Teatro Studio. Il successo lo si deve a una scrittura schietta, come gli exploit delle protagoniste, che si muove in scena con ritmo, alternando pause, entrate e uscite o fissandosi in una contrainte. L’impianto drammaturgico si costruisce attraverso dei topoi: la morte della madre che porta quattro sorelle distanti a incontrarsi, i litigi e i segreti, l’eredità, l’espediente del gioco; “modelli” comuni nelle commedie nere, di situazione, o negli psicodrammi. A questi, si aggiunga l’affilata e imprevedibile alchimia tra Emma, “la brava” (Ottavia Bianchi), Elvira “la bella” (Livia Castiglioni), Ughetta “la stupida” (Patrizia Ciabatta) e Emilia, Lia, “il bastone della vecchiaia” (Giulia Santilli). Ricordando la tensione di pièce celebri come Due Partite di Cristina Comencini ma anche Carnage di Yasmina Reza, le quattro attrici padroneggiano (eccetto alcuni errori di battuta da prima replica) un’interpretazione intelligente, sempre sostenuta e giocata al rialzo fino alla fine, e non solo tra di loro ma con il pubblico stesso, costantemente preso in scacco. Al punto che, forse, si suggerisce come superflua la lettura della lettera della madre: una spiegazione ridondante perché “già detta” dall’evolversi dell’azione scenica. Le protagoniste ritraggono un quadretto familiare incrinato e afflitto che poi si allarga in un affresco sociale sulle questioni di genere e ruolo, sulle ambizioni e ansie da prestazione; solitudini e rivalse, pregiudizi e vanità che entusiasmano la platea con affascinante perfidia e senza pesantezze moraleggianti. (Lucia Medri)
Visto a Altrove Teatro Studio: di Ottavia Bianchi, con Ottavia Bianchi, Livia Castiglioni, Patrizia Ciabatta, Giulia Santilli. Regia Giorgio Latini