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FINE (concept e danza di Olimpia Fortuni)

Questa recensione fa parte di Cordelia di ottobre 24

Foto Monia Pavoni

All’ultima edizione di Danae Festival ho rivisto, questa volta in uno spazio neutro e spoglio della Fabbrica del Vapore, Chamber Music di Silvia Rampelli (Habillé d’eau) che, nell’incredibile rigore con cui si dà, continua a sembrarmi un grande lavoro di liberazione delle immagini (la vita dell’altro) dalle finte e oppressive e crudeli discipline che le assumono come un mero calcolo. Ho visto anche The Second Body [unplugged version] di Ola Maciejewska, con Leah Marojević in un corpo a corpo con una scultura di ghiaccio (questo lavoro decisamente non è piaciuto ad Andrea Pocosgnich che ne ha già scritto: ma devo confessare che l’esperienza di questo vincolo sotto zero del corpo con la materia – al termine la carne sgocciola come ciò che ha liberato – ha la veemenza performativa di una trasmigrazione). Nel programma era atteso il debutto di Olimpia Fortuni con Fine. Titolo bellissimo per un assolo necessario: un archivio personale da smantellare. La scena tutta bianca infatti è uno spazio già dismesso, con tutti gli oggetti già ricoperti dai teli bianchi per imminenti traslochi. Fortuni, che è interprete straordinaria e coraggiosa, non ha timore alcuno ad aggredire l’ordine e la materialità di questi arredi, combinando la musica più nota dei Nirvana con suoni più cupi e ambientali (e bellissimi di Katatonic Silentio): è in gioco qui la memoria di figure considerate artisticamente materne, il peso forse di una legacy. E la prima apparizione video di questa memoria è bellissima, perché le due figure (Raffaella Giordano e Milena Costanzo) sono glitchate e sfumate e opacizzate in un video proiettato sul fondo, pieno di vita e pure di eleganza. Sarebbe bastato. Ma poi, la retorica dell’omaggio riconoscente e della dipendenza testimoniale sovrasta, e diluisce le azioni e il racconto. Nuovi ritorni di voci e di gesti che non sono congedo ma prigione, rivelano che la fine non è ancora iniziata. La felice forza distruttiva d’avvio si trasforma in un crepuscolo apologetico di relazioni che non finiscono mai, che sono sempre fra i piedi, certamente capaci di guida artistica, non sempre generativa. (Stefano Tomassini)

Visto al Teatro Out-Off, Danae Festival. Crediti: concept e danza Olimpia Fortuni sound Katatonic Silentio con il contributo umano e artistico di Milena Costanzo e Raffaella Giordano apporto drammaturgico Cinzia Sità assistente di scena Elisa Spina direzione tecnica Silvia Laureti produzione Ass. Sosta Palmizi coproduzione Teatro delle Moire/Danae Festival, Fabbrica Europa con il sostegno residenziale di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia, Olinda/TeatroLaCucina, Danza Urbana – Rete h(abita)t/Sementerie Artistiche ringraziamenti a Corinna Ciulli per le pratiche sciamaniche e a Pieradolfo Ciulli per l’assistenza video durante il processo creativo.

Cordelia, ottobre 2024

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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