Questa recensione fa parte di Cordelia di settembre 24
Uscire un mercoledì sera, dopo aver dato solo un’occhiata veloce al programma e ritrovarsi in zona Pigneto in quello spazio bellissimo e funzionale per l’arte dal vivo contemporanea che è Centrale Preneste, in questi giorni animato con le luci rosa e le performance internazionali di Interazioni Festival. La rassegna ideata e diretta dal danzatore e coreografo Salvo Lombardo in queste tre edizioni si è lentamente ritagliata un piccolo spazio in un periodo dell’anno in cui Roma è attraversata da numerose alternative; è terminato da poco Short Theatre e siamo nel pieno di Romaeuropa Festival. Ma la proposta di Interazioni si difende attraverso una curatela piena di ricerca e specificità. Così il nostro mercoledì sera è terminato con la poesia inaspettata e struggente di Moftarak (grazie alla quale abbiamo dimenticato presto la performance precedente, un po’ pretenziosa, di Youness Atbane), un lavoro della compagnia Masse Art che è frutto di una conversazione (il titolo in arabo vuol dire “incroci”) tra Lara Odin e Moad Haddadi, tra uno strano e rarissimo strumento e un danzatore. Lara Odin fa parte di una delle pochissime famiglie in Europa a costruire e suonare gli organi a rullo, scatole misteriose e decorate che attraverso la rotazione di una manovella da parte dell’artista emettono la musica “scritta” su appositi cartoncini secondo una specifica perforazione. Lo strumento, introdotto in Italia nel XVIII secolo, ricorda i primissimi computer che funzionavano proprio leggendo le schede perforate. Ma lo spettacolo, nel bianco crema della scena perimetrata da una coda lunghissima di cartoncini, comincia con un canto, intanto Haddadi è quasi immobile, lentamente comincia a muoversi, la sua danza è quella di un corpo scosso dagli impulsi. Poi Odin si sistema dietro l’organetto e comincia a suonare, mentre il rullo cattura la lunga coda di cartoncini possiamo seguirne il defluire. La musica – nostalgica ma densa – si consuma, preparandosi a un lungo silenzio di carta non scritta, per poi riprendere. Il suono e il tempo scivolano tra le dita, fino a quando Haddadi attraversa la quarta parete come un avventuriero proveniente da un altro mondo, diventando esso stesso oggetto poetico e luminoso. Siamo fortunati ad essere in questo altrove. (Andrea Pocosgnich)
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