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MANSON (Fanny & Alexander)

Questa recensione fa parte di Cordelia di settembre 24

Foto Luigi De Angelis

Manson. Una parola. Un nome. Ma anche l’evocazione del profondo nero della storia americana e, forse, dell’umanità. Fanny & Alexander lo porta sul palco del Teatro Basilica per Short Theatre, alla regia Luigi De Angelis e solo in scena Andrea Argentieri. Charles Manson, ritenuto colpevole di molti reati a partire da quella istigazione all’omicidio plurimo a Bel Air nel 1969, dove morirà tra gli altri l’attrice Sharon Tate, si presenta ai giudici mostrando una dialettica e un magnetismo straordinari, tutto ciò che l’ha fatto diventare un guru diabolico travestito da hippy; ma le sue parole vanno più a fondo e diventano lo specchio traslucido della società in cui si è formato, che rifiutandolo ha posto le basi della sua rivolta. È il processo dunque che rivive: dopo la presentazione del caso in sovrimpressione, il pubblico, che ha ricevuto un foglio con le vere domande poste a Manson, si trasforma in una giuria postuma che dovrà interrogare l’imputato. Argentieri reagisce così a un doppio stimolo: da un lato l’ordine delle domande che dipende dalle scelte del pubblico-giuria, guidato dalla direzione delle luci, dall’altro il meccanismo di eterodirezione caro alla compagnia, che guida l’attore dalla regia tramite un auricolare in cui emergono le vere parole di Manson recitate in inglese – tratte da materiali pubblici diffusi dalla TV americana. Il procedimento artistico si avvale dunque di una immediatezza istintiva che guida il suono e i movimenti, l’attore ignora la sequenza ed è costantemente su un confine di tensione che riverbera nella sua performance, la drammaturgia che ne nasce è ogni volta diversa, secondo il diverso ordine delle domande e degli stimoli. Ma se la caratura del personaggio, che ha utilizzato mediaticamente anche il proprio processo e che ricorre come un paradigma nella cultura americana (basti pensare al C’era una volta… a Hollywood di Tarantino), lo pone come modello perfetto di indagine, allo stesso tempo la predominanza nell’immaginario collettivo affatica il mezzo teatrale, come se la messa in scena dovesse ogni volta rincorrere il personaggio e smarcarsi da un eccesso di notorietà. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Basilica, Short Theatre. Crediti: ideazione, regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis; drammaturgia, costumi Chiara Lagani; con Andrea Argentieri; consulenza linguistica e fonetica Gabriella Gruder-Poni, David Salvage; promozione e comunicazione Maria Donnoli; organizzazione Maria Donnoli, Marco Molduzzi; amministrazione Marco Molduzzi, Stefano Toma; produzione e production Fanny & Alexander; in collaborazione con Olinda/TeatroLaCucina

Cordelia, settembre 2024

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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