Recensione. Usine Baug e Fratelli Maniglio hanno portato a Hystrio Festival Ilva a Football Club, spettacolo vincitore del bando Cura 2022 e prodotto da Campo Teatrale. Visto al Teatro Elfo Puccini.
Proprio qualche giorno fa il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, durante la prima assemblea pubblica, affermava: «la decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle». Per chi non l’avesse capito ancora insomma, la produzione e la vendita di beni di consumo non può essere ostacolata, il capitalismo industriale nella sua versione più violenta d’altronde non tenta neanche di nascondersi. Alla fine dello spettacolo Ilva Football Club di Usine Baug e Fratelli Maniglio, visto all’Elfo Puccini per Hystrio Festival, l’associazione questo tipo di affermazioni è immediata. Si fa presto a dimenticare le ferite quando sono lontane da noi, quando i media di massa finiscono di raccontarle perché non c’è nulla di nuovo. Ma nel caso dell’Ilva è proprio quel nulla ad essere la ferita. Sullo stesso monitor compaiono presidenti del consiglio e ministri, da Mario Monti in poi, che hanno fatto di tutto per mantenere la fabbrica funzionante, in taluni casi aumentando la produzione. Rimane questa disperazione silenziosa nelle ultime battute dello spettacolo, nell’impotenza degli anni passati da quando il caso cominciò a diventare nazionale: più di vent’anni in cui la politica ci ha insegnato che l’acciaieria più grande d’Europa deve continuare a produrre a tutti i costi, anche quando i costi sono rappresentati dalla vita delle persone. E la giustizia non è di questa terra perché è notizia recente l’annullamento del processo in Corte d’assise (e il suo spostamento a Potenza) dopo la sentenza di primo grado che riconosceva centinaia di anni di carcere a quelli che erano i proprietari della fabbrica fino al 2012 (i Riva, che acquistarono l’industria dallo Stato nel 1995).
Il teatro di impegno civile in Italia ha avuto una tradizione importante, poi probabilmente non è riuscito a rinnovare i linguaggi del racconto anche rispetto alle nuove estetiche che intanto cominciavano ad arrivare dall’Europa nei tanti esempi di teatro documentario. Ma in fin dei conti, al di là dei linguaggi, il teatro quando sfida la politica, scava nella memoria, e mette in relazione costantemente i vissuti personali con la storia pubblica, lo fa sempre mettendo in fila i fatti anche quando questi si inseriscono in un impianto finzionale. Due anni fa Usine Baug – tra i giovani gruppi che stanno dimostrando una maggiore progressione, ricordiamo il premio Scenario Periferie 2021 e la vittoria di Forever Young con un nuovo spettacolo, Anse, che debutterà a Romaeuropa Festival – ha cominciato a lavorare sul campo, era il 2022 e l’Onu inseriva Taranto tra le “Zone di sacrificio”, ovvero quei luoghi ritenuti sacrificabili dagli stati proprio a causa del progresso o della produzione di beni di consumo; la compagnia formata da Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo ed Emanuele Cavalcanti a Taranto, anche grazie alla collaborazione del Teatro Crest, ha cercato informazioni e storie attraverso il contatto con le persone, lavorando sugli archivi e sui documentari. Dalla Puglia arrivano anche I fratelli Maniglio (Fabio e Luca), una coppia d’attori, gemelli, con un curriculum internazionale. Interpreteranno i due fratelli della famiglia che viene messa al centro della narrazione: uno dei due odia la fabbrica, ha un bar e sulla porta a vetri ha fatto disegnare il profilo della città senza l’acciaieria: «Io no. Non ho mai voluto metterci piede, perché lì dentro è una merda». La fabbrica (o come la chiama Maria, “l’astronave”) qui, da sessant’anni, è una cosa di famiglia, qualcosa che si tramanda:
PEPPE – Papà faceva il muratore, si arrangiava, poi, per la promessa del posto fisso, ci
è andato a lavorare. Ed è pure arrivato alla pensione.
MATTEO – Proprio l’anno della pensione, a Natale, ci regalò la lettera di
raccomandazione per il siderurgico. Ma era il 2007 mica il medioevo.
Il piano documentaristico si interseca con quello ispirato dal libro Ilva Football Club di Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò, così anche la cronologia dello spettacolo è una continua corsa avanti e indietro nel tempo e questo contribuisce a rendere tutto ancorato a un infinito presente, perché di fatto nulla progredisce, nulla migliora. Diveniamo spettatori di una partita immaginaria, la piccola squadra di dilettanti contro la grande compagine di serie A, un match che racchiude la rappresentazione di un’utopia: quella del progresso, di una piccola città del Sud che può sperare grazie all’industrializzazione di accedere al benessere, è l’Italia che crede in un boom economico gratuito e che a Taranto invece avrà il costo della salute pubblica. Sfilano nel campetto della fabbrica (chiuso nel 2002 perché troppo inquinato dalle polveri dell’acciaieria) eroi locali e una formazione dell’Inter immaginaria, da Jair a Moriero e Cambiasso, mentre il Paese si ferma per una semifinale di Coppa Italia che non c’è mai stata, ma che in teatro è come se fosse accaduta davvero.
Nonostante la complessità della drammaturgia, Usine Baug e Fratelli Maniglio riescono a dare un ordine stilistico molto preciso ai materiali narrativi, grazie a una regia (collettiva, va ribadito) piena di invenzioni ma rigorosa, che si avvale anche di un uso sapiente dei pochi oggetti scenografici: gli scarti neri di materiale indistinto che circondano inizialmente la scena (e poi la invadono), una sorta di rappresentazione fisica della polvere che ricopre Tamburi quando il vento soffia dalla parte del quartiere; i teli termici, il pallone conteso dai giocatori operai dell’Ilva contro il grande Inter in una partita al cardio palma che teatralmente è un piccolo manuale di teatro fisico fatto di ralenti e improvvise accelerazioni, in un cono di luce nel quale gli attori e l’attrice si tuffano restituendo un senso di grande dinamicità, mentre un altro (Ermanno Pingitore) detta i tempi con un’appassionante telecronaca dal vivo. Ci sono poi le luci, splendide, di Emanuele Cavalcanti, nei dettagli, nei controluce, nell’espressività mai retorica delle ombre, come quando in scena appare un piccolo letto, simbolo più crudele della morte causata dall’ennesimo tumore e una frase sullo schermo ci informa sui dati impietosi: qui la percentuale di malattie oncologiche è superiore del 54% rispetto al resto della regione.
SERGIO – Quella polvere per noi era normale. Sai cosa facevamo?
D’estate dormivamo con la finestra aperta, per il caldo, e al mattino c’era tutta questa
polverina sui cuscini. Dicevamo che era stata la fatina che era passata di notte.
Allora facevamo a gara a chi riceveva la fatina più volte.
Non mi abbandonerò alla retorica dell’arte che cambia il mondo, ancora minori sono le possibilità di una giovane compagnia teatrale in un sistema che ha notissime difficoltà nella circuitazione dello spettacolo. Naturalmente l’auspicio è quello che la scena di Ilva Football Club incontri numerose platee seminando e risvegliando la recente memoria di chi non sa o di chi ha dimenticato. E dato che abbiamo parlato di un partita di calcio che vive nella fantasia di chi l’ha inventata (e ora nella nostra) mi permetto almeno nell’immaginazione di cambiare le cose, di fantasticare su una Taranto che non abbia più bisogno di quella fabbrica inquinante: quando l’astronave sarà spenta per sempre, e l’aria tornerà respirabile anche con il vento di nord- nord est.
Andrea Pocosgnich
Settembre 2024, Teatro Elfo Puccini, Hystrio Festival
ILVA FOOTBALL CLUB
di Usine Baug e Fratelli Maniglio
luci e tecnica di Emanuele Cavalcanti
con Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo
Produzione Campo Teatrale, Milano
con il supporto di IDRA Teatro e TRAC – Centro di residenza pugliese, nell’ambito del progetto
CURA 2022
Vincitore Bando CURA 2022
durata: 85 min