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La libertà non è una parola d’ordine ma miele selvatico: Emanuel Gat e la coreografia in forma di sonata

Ha aperto la programmazione di Torinodanza il nuovo lavoro coreografico di Emanel Gat, che combina in modo intenso e pensoso la musica dell’infrequentabile Kanye West con quella dell’ultimo Beethoven: funziona, ed è una riflessione sulla coreografia come costruzione di civiltà.

Foto Julia Gat

Paolo Mauri, nel suo acuto libro sul Buio, ci ricorda che l’uso del colore nero «è un modo per elevare una protesta, per denunciare la metaforica fallacia del bianco». In Freedom Sonata di Emanuel Gat Dance che ha aperto Torinodanza, all’inizio tutto è nero, mentre i danzatori sono tutti in bianco. Durante gli 85 minuti della coreografia di Gat, un nuovo tappeto danza viene progressivamente steso, dai danzatori stessi, fino a che tutto è bianco, mentre gli interpreti possono finalmente indossare abiti neri. In termini scenici non c’è molto di più: se non questa lenta costruzione (non solo metaforica) di una libertà che è insieme idea di protesta (nel nero) e accettazione di fallacia (nel bianco), unica condizione perché essa si dia possibile, non come una parola d’ordine, ma come una esperienza continuamente negoziata, e inappropriabile, di civiltà.

Foto Julia Gat

Emanuel Gat sarebbe piaciuto a Italo Calvino perché non mette mai all’inferno nessuno. In questo modo può addirittura concepire «una rivisitazione libera e contemporanea della classica forma della sonata musicale», dominata dai brani di The Life of Pablo di Kanye West (album del 2016), e dal secondo movimento dell’ultima sonata di Beethoven (n. 32 in C minor, Op. 111, Arietta: Adagio molto semplice e cantabile, nell’esecuzione di Mitsuko Ushida, registrata nel 2006). Il diavolo e l’acqua santa, sembrerebbe… Infatti assomiglia a un azzardo ai limiti della provocazione. È invece il riconoscimento di una possibilità. La forma sonata qui è soprattutto il ricettacolo di una idea, di uno studio e di un processo compositivo multiforme ed eterogeneo, ma non privo di una sua determinazione unitaria. Per quanto stentata, fallace, indigesta possa sembrare, è quella appunto della libertà. Il miele selvatico ha il sapore della libertà, l’oro non sa di nulla… così ricordava infatti Anna Achmàtova. Ciò che importa a Gat è indagare come questo gruppo di straordinari interpreti riesce a trovare un equilibrio, le condizioni di una convivenza, la partecipazione a un difficile progetto (musicale), attraverso la messa in discussione di cosa sia, e a quali condizioni si dia, una relazione.

Foto Julia Gat

Idealmente diviso in tre movimenti, in una composizione condivisa con gli interpreti, Gat pensa la coreografia come uno strumento di organizzazione, di realizzazione, di adattamento, se non di costrizione, di tensione e autorità. È forza capace di costruzione e distruzione per questo, oggi, ricade direttamente sulla questione delle ragioni e dei modi dello stare insieme (dei corpi in scena come delle persone in una società). Infatti, se il movimento di avvio nasce lentamente, il gruppo poi è sempre in scena (o quasi) e la danza viene celebrata proprio come mezzo di relazione, costruzione di situazioni improvvise, decisioni inaspettate e conseguenze da accettare, assorbire, precisare forse modificare e trasformare. E non tutto fila liscio; spesso si deve ripartire, si può fare a meno di qualcuno, occorre aiutarne altri. Ed è una continua generazione di situazioni dominate da una danza intensa, nel consueto linguaggio contemporaneo di Gat, ma piena di risorse anche contrastive, per far emergere dalle singolarità un collettivo più necessario, meno indifferente, di certo non estraneo alle forme con cui fuori si dà il mondo.

Foto Julia Gat

Ed è chiaramente questo ‘fuori’ che sta a cuore a Emanuel Gat: la coreografia è per lui un piano sperimentale di una nuova convivenza, che non può essere pensata a priori, ma solo consegnata a coloro che ne faranno parte. Mettere in discussione gerarchie e responsabilità, «cambiare i paradigmi consolidati ponendo la libertà individuale al centro come valore fondamentale del fare danza», produce allora questa anomala convivenza tra candore delle presenze e delle luci (dello stesso Gat, che spesso anticipano le variazioni di movimento) e l’esplicita insopportabilità dei testi che accompagnano le azioni. Il 21 settembre Gat ha pubblicato, sul sito della compagnia, alcune Choreographer’s Notes, con le quali riflette sul cambiamento del paradigma spazio temporale nella coreografia contemporanea, sulla necessità di riconoscere i vincoli in essa contenuti, e la consapevolezza necessaria affinché si producano alterazione e trasformazione, perché: «la qualità di un’opera coreografica è legata alla qualità, alla forza e alla chiarezza del campo di coscienza che essa riesce a produrre».

Stefano Tomassini

Settembre 24. Torino, Fonderie Limone, Torinodanza Festival

FREEDOM SONATA
Inaugurazione | Fonderie Limone – Sala Grande
12, 13, 14 settembre 2024 – Prima nazionale – ore 20.45
Emanuel Gat | Emanuel Gat Dance

coreografia, scenografia e luci Emanuel Gat
musica Kanye West, Ludwig Van Beethoven
creato con e interpretato da Tara Dalli, Noé Girard, Nikoline Due Iversen, Pepe Jaimes, Gilad Jerusalmy, Olympia Kotopoulos, Michael Loehr, Emma Mouton, Abel Rojo Pupo, Rindra Rasoaveloson, Sara Wilhelmsson
direzione tecnica Guillaume Février
progetto sonoro Frederic Duru, Emanuel Gat Dance
Torinodanza Festival | Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Festival de Marseille 2024,
Théâtre de la Ville Paris, Chaillot Théâtre National de la Danse, Sadler’s Wells London, Pôle Arts de la Scène – Friche la Belle de Mai
Festspielhaus St Pölten, Concertgebouw Bruges, Festival December Dance, Comédie de Genève
Grand Théâtre de Provence
con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati
Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea

durata 85 minuti senza intervallo

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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