| Cordelia | settembre 2024 

Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.

Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di settembre 2024 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.

Qui gli altri numeri mensili di Cordelia

#ROMA

LA GUERRA COM’È (Elio Germano, Teho Teardo )

Quanta necessaria arte umana, quanta generosità destinata agli sconosciuti del mondo, quante considerazioni civili in difesa della gente qualunque presa di mira dagli omicidi di massa degli eventi bellici, e quanto frugale e tenace altruismo privo di ascendenti spettacolari ho percepito a teatro, a metà settembre, nella grande prova orale di Elio Germano che all’Auditorium Parco della Musica di Roma, con i flussi sonori e sintonici creatigli lì accanto da Teho Teardo, ha tirato dritto leggendo e dicendo (su un podio da convention) La guerra com’è, manifesto biografico e geopolitico che lo stesso Germano ha contribuito a trarre dal libro di Gino Strada Una persona alla volta pubblicato postumo da Feltrinelli a cura di Simonetta Gola di Emergency. Organizzazione umanitaria cui erano devoluti, per impegno dei protagonisti, quasi tutti gli incassi della serata. Non ho mai visto un Elio così serio, così meticoloso, così coinvolto, qui in un biopic d’un eroe mondiale dell’emerita chirurgia da campo che, pur nato lui a un passo dalla Breda, trascorrerà tutta la vita a ricucire corpi offesi dal cinismo delle bombe. E ci stanno benissimo assieme, le scelte di Strada per gli ospedali di paesi poveri, e l’opzione di Germano per un teatro etico. Eppure il lavoro con la storia di Emergency non è privo di dure emozioni: l’immagine del padre pakistano che porta un bimbo con la mano esplosa ha una forza pietosa sconvolgente, i ragazzi con gli arti amputati sono gli scandali costruiti da fabbriche cinesi, russe e purtroppo anche italiane. E’ un attore a doverci ricordare, con le pagine e le parole d’un medico in prima linea, che i pazienti operati nelle aree dei combattimenti appartengono a una popolazione quasi integralmente civile, tranne un solo 7% di militari. Il bersaglio delle ostilità contemporanee sono i normali. La voce offesa e testimoniale di Germano dice che gli ordigni aerei non vedono il sangue. Ma i feriti, gli sfollati, gli inermi che affollano luoghi pubblici sono il bersaglio, il cliente delle macchine della guerra. E i toni del nostro messaggero dal fronte sono inesorabili. Mai applausi a scena aperta sono stati più civili, spontanei e sconfortantemente allarmati di quelli diretti a Germano e a Teardo. Anche i miei. (Rodolfo di Giammarco)

Visto all'Auditorium Parco della Musica: dal libro postumo di Gino Strada “Una persona alla volta” a cura di Simonetta Gola di Emergency riduzione di Elio Germano con Elio Germano e Teho Teardo produzione di Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro e Argot Produzioni in collaborazione con Emergency

MOFTARAK (Masse Art)

Uscire un mercoledì sera, dopo aver dato solo un’occhiata veloce al programma e ritrovarsi in zona Pigneto in quello spazio bellissimo e funzionale per l’arte dal vivo contemporanea che è Centrale Preneste, in questi giorni animato con le luci rosa e le performance internazionali di Interazioni Festival. La rassegna ideata e diretta dal danzatore e coreografo Salvo Lombardo in queste tre edizioni si è lentamente ritagliata un piccolo spazio in un periodo dell’anno in cui Roma è attraversata da numerose alternative; è terminato da poco Short Theatre e siamo nel pieno di Romaeuropa Festival. Ma la proposta di Interazioni si difende attraverso una curatela piena di ricerca e specificità. Così il nostro mercoledì sera è terminato con la poesia inaspettata e struggente di Moftarak (grazie alla quale abbiamo dimenticato presto la performance precedente, un po' pretenziosa, di Youness Atbane), un lavoro della compagnia Masse Art che è frutto di una conversazione (il titolo in arabo vuol dire “incroci”) tra Lara Odin e Moad Haddadi, tra uno strano e rarissimo strumento e un danzatore. Lara Odin fa parte di una delle pochissime famiglie in Europa a costruire e suonare gli organi a rullo, scatole misteriose e decorate che attraverso la rotazione di una manovella da parte dell’artista emettono la musica “scritta” su appositi cartoncini secondo una specifica perforazione. Lo strumento, introdotto in Italia nel XVIII secolo, ricorda i primissimi computer che funzionavano proprio leggendo le schede perforate. Ma lo spettacolo, nel bianco crema della scena perimetrata da una coda lunghissima di cartoncini, comincia con un canto, intanto Haddadi è quasi immobile, lentamente comincia a muoversi, la sua danza è quella di un corpo scosso dagli impulsi. Poi Odin si sistema dietro l’organetto e comincia a suonare, mentre il rullo cattura la lunga coda di cartoncini possiamo seguirne il defluire. La musica - nostalgica ma densa - si consuma, preparandosi a un lungo silenzio di carta non scritta, per poi riprendere. Il suono e il tempo scivolano tra le dita, fino a quando Haddadi attraversa la quarta parete come un avventuriero proveniente da un altro mondo,  diventando esso stesso oggetto poetico e luminoso. Siamo fortunati ad essere in questo altrove. (Andrea Pocosgnich)

Visto a Centrale Preneste, Interazioni Festival coreografie Moad Haddadi musica Lara Odin scenografia Antonin Odin

#ROSIGNANO

GIULIETTA E ROMEO (regia Roberto Latini)

In apertura il Romeo di Roberto Latini somiglia splendidamente a Sean Penn in panni di vissuta rock star nel film di Paolo Sorrentino, con bel gioco speculare quando in chiusura a stringere una chitarra elettrica è la Giulietta alias Elvis della partner odierna Federica Carra. Il titolo, “Giulietta e Romeo”, inverte l’ordine dei protocollari nomi elisabettiani, e cela forse un tributo implicito. Entrando dentro l’opera di Shakespeare, la drammaturgia e la regia di Latini esaltano al festival Inequilibrio 2024 solo le scene in cui l’universale coppia senza futuro si trova a confronto, ed è così poetica, l’impresa, da far sovvenire la sequenza delle battute esclusivamente amletiche dell’ “ExAmleto” di Roberto Herlitzka. All’oralità struggente e tossica dei cinque quadri qui evocati (incontro, balcone, matrimonio, alba, finale), il lavoro associa fulminei video con riflessioni tematiche di trentenni mostrati in una sorta di showreel, per vigorosa iniziativa del collettivo italo-svizzero Treppenwitz che ha sondato giovani d’adesso su amore, sesso, solitudine, tradimento, paura, gelosia, ipocrisia. Oltre alle battute di Giulietta e Romeo, individuiamo due momenti che per voce della protagonista femminile evocano una quotidianità autobiografica di condivisioni e di tempi liberi attuali. Non bastasse, dopo vari monologhi di un Latini trepido nell’accorpare e cucire (coi toni carmelobeniani da sballo che gli conosciamo) gli scambi di Lui e Lei, è alla Carra che viene affidato l’epilogo ondeggiante a base di frasi/memoria da L’ultimo nastro di Krapp di Beckett. Colpo finale di maestria moderna vissuta insieme, perché al termine si intuisce che stavolta Giulietta e Romeo non muoiono, sono sdraiati in una terra che potrebbe essere disabitata, e abitata però da loro. Da vedere e ascoltare. Repliche a Firenze fino al 28/9 nell’Estate Fiorentina al Liceo Artistico di Porta Romana, poi per ora a Caserta, Pescara, Rovigo, Parma. Coproduzione compagnia Lombardi-Tiezzi e ERT. Buon lavoro a Roberto Latini, nel frattempo, anche neo-direttore dell’Orizzonti Festival di Chiusi. (Rodolfo di Giammarco)

Visto al Teatro Nardini di Rosignano Marittimo per Inequilibrio Festival: drammaturgia e regia di Roberto Latini con Roberto Latini e Federica Carra musiche e suono di Gianluca Misiti luci di Max Mugnai costumi di Daria Latini video Collettivo Treppenwitz produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi e Emilia Romagna Teatro

#ROMA - SHORT THEATRE

SE RESPIRA EN EL JARDIN COMO EN UN BOSQUE (El Conde de Torrefiel)

Didattico per chi non è solito andare a teatro e non conosce “le funzioni” dello spettacolo dal vivo, curioso per coloro che invece, avendo un’abitudine al gioco scenico, scelgono di riviverla in una composizione in cui si possono interpretare entrambi i ruoli: quello di chi guarda e di chi viene guardato. Durante Short Theatre 2024 l’ensemble catalano El Conde de Torrefiel presenta al Teatro Cometa Off, vicino al centro festival de La Pelanda, Se respira en el jardin como en un bosque, uno dei diversi progetti guidati da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert programmati durante l’ultima edizione curata da Piersandra di Matteo, e drammaturgicamente pensato per dare corpo e tangibilità, attraverso chi vi partecipa, ai concetti di immaginazione, fruizione, azione. Indossate le cuffie, uno alla volta, si è invitati a entrare in scena e a seguire una drammaturgia: prendi questo, posizionati al centro, muoviti in maniera solenne, corri ecc ecc Nel mentre, uno spettatore/spettatrice ci guarda dalla platea; posto che occuperemo alla fine del nostro ruolo attoriale per passare a quello spettatoriale e osservare quello che una nuova persona farà al nostro posto. E così via. Il teatro non è il mondo e il jardin, il giardino, non è di certo un bosque, un bosco, ma in entrambi respiriamo allo stesso modo, nell’uno come nell’altro. L’efficacia di questo dispositivo sta infatti nel far esperire, quindi comprendere, in una modalità agile, libera, divertente principi che spesso vengono assunti passivamente come delle convenzioni e invece sono degli strumenti di azione, creazione e reinvenzione della realtà che ci circonda. Nulla di nuovo quindi ma, in un momento storico in cui tutto è improntato alla user experience e tutto può quindi diventare un fake, conoscere i meccanismi attraverso cui la realtà viene modificata non è solo intrattenimento ma diventa una difesa. (Lucia Medri)

Visto al Teatro Cometa Off durante Short Theatre 2024: di El Conde de Torrefiel; regia, drammaturgia e testo a cura di Tanya Beyeler y Pablo Gisbert; progettazione suono Rebecca Praga coordinazione tecnica Isaac Torres; suono Uriel Ireland; amministrazione Uli Vandenberghe produzione e distribuzione Alessandra Simeoni; produzione esecutiva CIELO DRIVE SL; co-produzione Santarcangelo Festival (IT), CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia con il supporto di Mas Nyam Nyam, Mieres (ES). Foto Claudia Pajewski

THE SECOND BODY (Ola Maciejewska)

C’è una donna, bionda, molto alta, giovane e vigorosa, veste solo un paio di pantaloni larghi, beige, stringe a sé un pezzo di ghiaccio, sembra essere una scultura; non è un semplice blocco, ha delle parti ondulate, degli incavi che le permettono di afferrarlo. Nella sala della Pelanda c’è il pubblico di Short Theatre posto su quattro lati, a circondare l’area dell’azione, le luci sono accese. Le tende nere sulle grandi pareti di vetro che danno sulla strada sono annodate ai lati, entra la luce della sera e qualche curioso da fuori guarda l’interno, soprattutto due ragazzi si fermano, lui fa qualche foto, lei ride. Intanto in scena Leah Marojević, interprete della performance ideata dall’artista polacca (residente in Francia) Ola Maciejewska, ha cominciato la sua lotta con la scultura di ghiaccio. C’è anche un libro, si intitola, come lo spettacolo, The Second Body, e lo ha scritto Daisy Hildyard nel 2017, non è in scena, ma ispira lo spettacolo. Per Hildyard oltre al primo, in carne ed ossa, abbiamo un secondo corpo, diffuso, in relazione con altri ecosistemi. Nel lavoro performativo di Maciejewska il ghiaccio (rappresentazione fisica del secondo corpo?) si scioglie a causa della temperatura e della frizione del corpo della donna. Il rimando con «gli effetti dell’azione distruttiva dell’essere umano» è davvero troppo leggibile, telefonato si direbbe. Nelle note di accompagnamento della performance si legge che «Ola Maciejewska esplora la dissoluzione tra oggetto e soggetto, animato e inanimato, fino al punto in cui il processo coreografico è trasformato dall’interconnessione con la materia, laddove diversi corpi diventano interdipendenti e correlati». Ma come spesso accade in questi casi il pensiero ideativo è più efficace del lavoro performativo. Il ghiaccio non può fare altro che sciogliersi nell’abbraccio, o rompersi in alcuni punti (quando viene gettato a terra); non c’è altro, neanche un pensiero coreografico o musicale. Non basta la fatica, la passione con la quale la protagonista si contorce sul freddo manufatto, per distrarre dalla noia durante la lunghissima ora di performance. (Andrea Pocosgnich)

Visto alla Pelanda, Short Theatre. Ideazione, coreografia e drammaturgia Ola Maciejewska performer Leah Marojević  costruzione coreografica (blocco di ghiaccio) Alix Boillot luci Rima Ben Brahim suono, collaborazione drammaturgia Gilles Amalvi prototipo e calco Mathieu Peyroulet Ghilini assistenza scenica Guenaël Morvan produzione/amministrazione so we might as well dance – Caroline Redy

BLESS THIS MESS (Katerina Andreou)

Probabilmente, quel “mess” a cui fa riferimento il titolo della coreografia di Katerina Andreou, a cui potremmo attribuire significati di caos, pasticcio, disordine, e che a prima vista potrebbe anche descrivere quanto accade sulla scena, sembra più una provocazione, una sfida: casino, sì, ma benediciamolo perché vitale. Perché sottende in realtà a ritmi diversificati, che coinvolgono differentemente i quattro magnifici danzatori - tra cui la stessa coreografa greca, attualmente residente in Francia - su diversi piani fisici, scindendo parti anatomiche, variando il ritmo, l’oscillazione, l'intenzione di esecuzione di uno stesso gesto. In questa costruzione entropica, che parte in maniera più contenuta sotto moduli musicali reiterati e a cura sempre di Andreou, esplode nel corso dei 55 minuti di esecuzione per diventare una summa di energie mai paghe. Anche la disposizione del palco rifiuta l’ordine centripeto: le pedane sono accatastate sul fondo e a un lato, dal cui soffitto pendono alcuni microfoni ambientali che raccoglieranno le sonorizzazioni dei quattro; un ventilatore sotto a una pedana, alcune parrucche e cap diventano escamotage per aumentare le varianti di movimento. Tuttavia, il cuore di tutta l’operazione è il gioco di reiterazioni con varianti dei movimenti pulsatori, come lo scuotimento del capo a destra e sinistra con cui si apre il pezzo, che poi diventa rotazione a 360° ma che, negli occhi di chi guarda assume connotazioni ogni volta differenti e che passa da una dimensione più placida, quasi sonnolenta dell’inizio fino a un contesto da festa con tanto di fuochi d’artificio, rave e after party. Proprio questa capacità di riuscire a caratterizzare il gesto, senza fronzoli narrativi ma attingendo da un quotidiano intimo, da passi che rievocano alla lontana musiche tradizionali, possibili rituali, o all'esasperazione di codici più astratti, innesca un alto grado di coinvolgimento, tanto da augurarsi di riuscire a vederlo nuovamente in una disposizione più libera, augurandoci di poter danzare insieme a loro. (Viviana Raciti)

Visto alla Pelanda, Short Theatre. Ideato da Katerina Andreou interpretato da Katerina Andreou, Lily Brieu Nguyen, Baptiste Cazaux, Mélissa Guex suono Katerina Andreou con Cristian Sotomayor luci e scenografia Yannick Fouassier consulenza Costas Kekis direzione tecnica Thomas Roulleau Gallais produzione-touring Elodie Perrin

MANSON (Fanny & Alexander)

Manson. Una parola. Un nome. Ma anche l’evocazione del profondo nero della storia americana e, forse, dell’umanità. Fanny & Alexander lo porta sul palco del Teatro Basilica per Short Theatre, alla regia Luigi De Angelis e solo in scena Andrea Argentieri. Charles Manson, ritenuto colpevole di molti reati a partire da quella istigazione all’omicidio plurimo a Bel Air nel 1969, dove morirà tra gli altri l’attrice Sharon Tate, si presenta ai giudici mostrando una dialettica e un magnetismo straordinari, tutto ciò che l’ha fatto diventare un guru diabolico travestito da hippy; ma le sue parole vanno più a fondo e diventano lo specchio traslucido della società in cui si è formato, che rifiutandolo ha posto le basi della sua rivolta. È il processo dunque che rivive: dopo la presentazione del caso in sovrimpressione, il pubblico, che ha ricevuto un foglio con le vere domande poste a Manson, si trasforma in una giuria postuma che dovrà interrogare l’imputato. Argentieri reagisce così a un doppio stimolo: da un lato l’ordine delle domande che dipende dalle scelte del pubblico-giuria, guidato dalla direzione delle luci, dall’altro il meccanismo di eterodirezione caro alla compagnia, che guida l’attore dalla regia tramite un auricolare in cui emergono le vere parole di Manson recitate in inglese – tratte da materiali pubblici diffusi dalla TV americana. Il procedimento artistico si avvale dunque di una immediatezza istintiva che guida il suono e i movimenti, l’attore ignora la sequenza ed è costantemente su un confine di tensione che riverbera nella sua performance, la drammaturgia che ne nasce è ogni volta diversa, secondo il diverso ordine delle domande e degli stimoli. Ma se la caratura del personaggio, che ha utilizzato mediaticamente anche il proprio processo e che ricorre come un paradigma nella cultura americana (basti pensare al C’era una volta… a Hollywood di Tarantino), lo pone come modello perfetto di indagine, allo stesso tempo la predominanza nell’immaginario collettivo affatica il mezzo teatrale, come se la messa in scena dovesse ogni volta rincorrere il personaggio e smarcarsi da un eccesso di notorietà. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Basilica, Short Theatre. Crediti: ideazione, regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis; drammaturgia, costumi Chiara Lagani; con Andrea Argentieri; consulenza linguistica e fonetica Gabriella Gruder-Poni, David Salvage; promozione e comunicazione Maria Donnoli; organizzazione Maria Donnoli, Marco Molduzzi; amministrazione Marco Molduzzi, Stefano Toma; produzione e production Fanny & Alexander; in collaborazione con Olinda/TeatroLaCucina

Tra gli spettacoli visti a Short Theatre 2024 abbiamo anche recensito, nella sezione VISIONI, Rush di Mette Ingvartsen e in altre occasioni avevamo già raccontato: Uncanny Valley di Rimini Protokoll, MONUMENTUM DA di Cristina Kristal Rizzo, Diana Anselmo,  ULTRAFICCIÓN nr. 1 / Fracciones de tiempo di El Conde de Torrefiel (leggi qui l’intervista)

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