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Atlantis. La lingua del bianco e del nero

La Compagnia della Fortezza ha presentato Atlantis – Capitolo 2, nuova indagine firmata da Armando Punzo con i detenuti del carcere di Volterra dedicata all’umano, alla tensione verso la felicità. Recensione

Ph Stefano Vaja

La prima cosa è l’attesa: dopo i controlli all’ingresso, dopo aver lasciato i documenti e gli effetti personali, spogliati di tutto si accede a un cortile dove non è più fuori e non ancora dentro; c’è, in quel luogo, unicamente un tempo, che scorre fino a perdere i confini, tanto che dopo aver lasciato telefoni e orologi si perde l’orientamento e questo tempo non si conosce più. Si sta, nel tempo. Ecco, capisco oggi dopo tanti anni come non si possa assistere a uno spettacolo nel penitenziario di Volterra senza passare attraverso questo limbo di dispersione, senza fare spazio tra i pensieri che via via abbandonano il fuori, le botteghe del centro storico, gli alberghi dove abbiamo alloggio, le pietre e il belvedere che nei giorni buoni, lontano, fa vedere il mare. Atlantis, il progetto artistico di cui la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo (con la cura di Cinzia de Felice) ha appena presentato il Capitolo 2 (in conversazione lo scorso anno ci parlava del Capitolo 1) all’interno del penitenziario, sembra come la terra di un’isola trovata dopo un breve naufragio, qualcosa che sta al di là ma parla fortemente a e di tutto ciò che si trova al di qua.

Ph Stefano Vaja

Il bianco e il nero si ergono fin da principio come esemplari della coesistenza di estremi opposti, da subito si rende chiaro come nell’origine sia necessario prevedere la presenza di un “non”, di una negazione che ne ottemperi la missione, palesando anche l’oscurità che uniforma il tutto assieme alla luce. Gli alberi del cortile interno alle prime sbarre, fasciati di bianco, attendono l’inchiostro nero che li marchia e li consiste di senso, le mani che hanno compiuto il gesto, il tratto – dello stesso Punzo che si ritaglia il ruolo di guida interna al viaggio – portano cenere al viso ma essa non vi si posa e sceglie di donarsi al vento. La vernice, ora bianca su tela nera, che sporca e insieme imprime, ricorre nell’estremo sforzo di un corpo che a terra tenta il limite, lo osserva conservando nei muscoli la tensione dell’attraversamento e della resa. Si procede poi, in un alveare di numeri che sono ad un tempo calcolo e libertà e ci conducono all’interno dei corridoi verde acquamarina e bianco, in cui il nero compare come una macchia che dilaga nello spazio, senza permesso; nelle stanze – celle – gruppi di attori in abiti da cerimonia maschili o femminili, dame nere e bianche come regine degli scacchi, velate dalla fantasiosa espressività del trucco e dei copricapo (di Emanuela Dall’aglio), ripetono tratti di pensiero nebuloso come appuntamenti di una danza, nata senza origine e tesa verso una conclusione indefinita, finché l’ultimo passaggio, la discesa nella cappella del carcere, sovrastati dal nero alle pareti, rende più evidente l’obiettivo di un “futuro inconcepibilmente possibile”, in cui gli esseri umani somigliano a questi numeri, che assumono il loro valore seguendo delle variabili accidentali: aumentano a seconda della relazione con gli altri, diminuiscono per l’inciampo di una virgola decimale. La vernice nera sul bianco aveva scritto nella luce, come ora la vernice bianca sul nero sembra farlo convocando il buio: solo l’opposto, il contrasto, assume valore e si determina lasciando effondere l’invisibile.

Ph Stefano Vaja

Ma queste non sono che brevi apparizioni, spuntate sulla superficie di un magmatico divenire. Le leggi degli uomini che cercano di mettere ordine e quelle della matematica che sfidano l’astrazione, in fondo, si somigliano per opposizione. Forse solo così può essere detta, la condizione del detenuto, che spinge all’estremo una condizione liminale, come “un numero reale ma non razionale”. C’è un’intenzione gotica, in questa eleganza sinistra che potenzia la fisicità statuaria degli attori, ma anche nella musica di Andreino Salvatori che raccoglie suoni di campane armonizzate al confine di un traballante disequilibrio. Emerge dunque, come nelle intenzioni più radicate di Armando Punzo, un impianto poetico ed estetico già visibile, ricco di respiro e di rara grandiosità.

Ph Stefano Vaja

Al centro di questo lavoro, che segue la pluriennale ricerca su Naturae, è la tensione verso la felicità del genere umano, non tanto come realizzazione della stessa ma come veicolo capace di condurre alla dignità dell’esistenza; la conoscenza, il sapere, all’interno del processo rappresentano gli strumenti ideali per far affiorare la progressiva consapevolezza, l’atto che vivifica la potenza e la esplicita, elastica, verso un atto del tutto nuovo e imprevisto. Questo nucleo tende dunque all’utopia, è una matassa non facile da sciogliere, un grumo che condensa in sé delle qualità sensibili che coesistono in un essere umano come delle apparizioni momentanee, appena visibili e subito ritorte verso il buio; è il caso dello stupore, dell’armonia, della speranza, di ogni slancio nelle due direzioni che l’umano utilizza per la propria sopravvivenza: verso il futuro e verso l’altro, in ogni caso in direzione di un altrove che allontana da sé stessi.

Ph Stefano Vaja

Atlantis è dunque un viaggio che raccoglie frammenti di pensieri, citazioni, elucubrazioni, riflessioni ragionate e altre che interrompono il proprio flusso nella vaghezza o nella vacuità, un tentativo dunque di affondare sempre più nella vastità del pensiero, accogliendo in esso anche le manifestazioni meno lineari, sviluppando (o cercando di sviluppare) anche tutto ciò che uno sviluppo non sembra suggerirlo. La vocazione sperimentale di Atlantis, che sfida l’astrazione come legame tra il dentro e il fuori, è dunque ancora tutta splendidamente umana, raccoglie nella tensione della parola e dell’immagine tutto ciò che ondeggia tra l’oppressione dello schema e la libertà del non ancora noto. Come le impronte di vernice bianca rimaste sul suolo nero, lì fuori in cortile, nel silenzio quando tutto è finito, così mescolate in mille direzioni o nessuna restano a indicare che forse è proprio quel groviglio, assoluto e imprevedibile, la vita umana.

Simone Nebbia

Fortezza Medicea, Volterra – Luglio 2024

ATLANTIS – CAPITOLO 2
direzione artistica Armando Punzo
direzione organizzativa e cura dei progetti Cinzia de Felice
drammaturgia e regia Armando Punzo
in scena Luca Abate, Ciro Afeltra, Isabella Brogi, Lugi Ammendola, Abd Al Monsiff Abd Arahman, Wissem Azizi, Khalif Bashik, Elisa Betti, Valentin Bucur, Salvatore Buffone, Danil Chukwuka, Biagio Cipparano, Paul Andrei Cocian, Giovanni Colombo, Pasquale Concas, Salvatore Costantino, Maurizio Di Bella, Maurizio Diotallevi, Paolo Dori, Romeo Bogdan Erdei, Francesco Esposito, Francesco Paolo Ferrero, Luigi Fontana, Carmine Fratepietro, Federico Furlan, Domenico Giorgi, Giulia Guastalegname, Francesco Guardo, Antonio Iazzatta, Naser kermeni, Nik Kodra, Urim Laci, Patrik Lacomare, Matteo Ladogana, Christian Lafica, Antonio Lanzano, Jie Lin Jin, Alessandro Lorena, Davide Mannarà, Luca Matarazzo, Bustos Tunoo Nay, Toni Nezhai, Michael Occhionerelli, Iosif Marian Petru, Mirko Pettinelli, Fernando Poruthoutage, Michele Privitera, Armando Punzo, Massimiliano Quartarone, Andreino Salvadori, Ivan Savic, Samir Serjani, Salvatore Stendardo, Timon Tarantino, Dritan Ternova, Giuseppe Terzo, Francesca Tisano; Tommaso Vaja, Kuytin Veliu, Alessandro Ventriglia, Stefano Vezzani, Wang Jie.
musiche originali e disegno sonoro Andreino Salvadori
scene Alessandro Marzetti, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’aglio
movimenti Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
assistente alla regia Alice Toccacieli
stage supervisor Andrea Berselli
sound engineer Alessio Lombardi
allestimenti Luca Dal Pozzo
collaborazione drammaturgica Elisa Betti, Laura Cleri, Paul Andrei Cocian, Lucio Di Iorio, Giulia Guastalegname, Rossella Menna, Francesca Tisano, Alice Toccacieli.
collaborazione artistica Silvia Bertoni, Isabella Brogi, Adriana Follieri, Daniela Mangiacavallo, Marco Gino Eugenio Marzi, Luisa Raimondi, Eden Tosi, Elena Turchi.

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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