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Tra crudeltà e mistificazioni, Aiace di Micheletti e Fedra di Curran

Dalla 59° Stagione di Spettacoli Classici Teatro Greco Siracusa due messinscena: Aiace di Sofocle diretto da Luca Micheletti e Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide per la regia di Paul Curran.

Foto Franca Centaro

È di uno scannatoio, è di un mercato di sangue e di carne, è di uno scenario splatter con interiora gocciolanti che Luca Micheletti si è provvisto con studiatissimi intenti, spingendoci a un’autopsia molto postuma di corpi martoriati per la propria regia spietata, truculenta, e raffinatamente vetero-melodrammatica dell’ Aiace di Sofocle in cui egli stesso impersona il ruolo del titolo nella 59ma stagione del Teatro Greco di Siracusa. L’eroe guerriero, indotto dall’Atena mascolinizzata ad arte da Roberto Latini a fare una strage pulp di bestiame anziché arrecare violenza ai suoi connazionali greci (che gli hanno imperdonabilmente non concesso le armi di Achille), gravita in un mondo sventrato che riflette un’agghiacciante ecatombe da opera lirica modernamente consona a Micheletti medesimo, con non pochi rinvii alla body-art ematica viennese. Sì, perché nell’attuale 2024, in questa micidiale azione-happening che il regista-protagonista plasma per “Aiace”, la massa degli spettatori non torna solo alla tragedia sofoclea del remoto 445 a.C., in quanto più violenta, spaventevole e catartica è una retro-esplorazione di solo mezzo secolo fa, con l’estetica orgiastica in uso all’incirca nel 1970 a Monaco per le opere di Hermann Nitsch fondate su un misticismo crudo del corpo (che poi contagerà, con meno ferocia, Gina Pane e Marina Abramovic), basate, appunto con Nitsch, su un’ebbrezza della catastrofe e dell’uccisione, e di fatto trasposte in mostra epidermica di bestie macellate, emorragie, ferite.

Foto Franca Centaro

Insisto su queste ingiurie cruente non per esasperare un livello di stridore, una macchiatura scenografica in sé, ma perché recensendo da vari anni gli spettacoli del Teatro Greco di Siracusa è la prima volta in assoluto che enormi tendaggi, armenti trapassati e qui anche i costumi vistosi del solitario Aiace sono un pugno vermiglio, amaranto e/o porpora negli occhi del pubblico. Scelta da ritenersi un bell’audace merito antiretorico di Micheletti. Non l’unica. A un certo punto, sempre affidato al creativo scenografo Nicolas Bovey, si scopre pure il gigantesco ossario di teschio-vertebre tra il baleniero e il marittimo, museo d’un passato che ingabbia, con costumi di Daniele Gelsi. E la regia ha adottato ovunque anche la percussività ipnotica delle musiche originali di Giovanni Sollima: un personaggio in più.

Foto Franca Centaro

In carne e ossa, Aiace/Micheletti è una gran forza di scompensi calibrati, un mastodonte materico e folle che spinge a pietas davvero gentile quando abbraccia la (sua vera) piccola figlia Arianna nei panni dell’erede Eurisace, con amabile fuga fuori-programma della piccola dalla scena. Lo guida con interventi infidi l’Atena in maschera di un rocambolesco Roberto Latini, mai visto (a suo perfetto agio) in una parte così camuffata, atletica, androgina. Odisseo ha qui la convincente cifra d’un bel çamouflage umano ad opera di Daniele Salvo. A padroneggiare con adeguata dignità il ruolo di Tecmessa, non più schiava sottoposta, è Diana Manea. E c’è il Teucro fraterno e onesto di Tommaso Cardarelli, e il Menelao di Michele Nani che fa coppia controcorrente con l’Agamennone di Edoardo Siravo, entrambi maldisposti da sempre verso Aiace e ostili (inutilmente) alla sua sepoltura.

Foto Maria Pia Ballarino

Vediamo un altro spettacolo, un’altra chiave di lettura spettacolare d’una tragedia, un’altra prospettiva di uso dello spazio, un altro canone di effetti tecnologici, un altro disegno mirante alle pagine del musical, un altro sorprendente e non sempre compatibile distinguo interpretativo, e una ben altra regia, nella Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide con messinscena di Paul Curran. Qui l’idea allestitrice di Curran e l’idea scenografica di Gary McCann hanno condiviso una performance dove campeggia la monumentale testa di un frenologo, con video mapping e trasformazioni di un cranio provvisto di suddivise zone cerebrali, per illustrare distinti stati d’animo, secondo una dottrina scientifica dell’Ottocento, avendo cura di incardinare il retro della statua con piattaforme e passerelle di restauro, da cui usciranno le troupe di un teatro da isola dei (non) famosi.

Foto Maria Pia Ballarino

L’intento sarebbe quello di rappresentare geograficamente e fisiologicamente il tremendo groviglio mentale dell’eros che devasta Fedra, cui la vendicativa Afrodite (gelosa dei rifiuti ricevuti dal gelido giovanotto Ippolito) ha comminato la condanna a sentirsi anche lei maniacalmente attratta dal ragazzo, priva d’ogni aspettativa perché il giovane le è figliastro, erede di suo marito Teseo. L’intero impianto ha una volumetria a più piani da cantieristica aperta, e al centro si diffonde subito un ballo corale pop condotto da Ippolito che è reduce dalla caccia, in abito bianco e scintillante da Hair, Riccardo Livermore. La Fedra immalinconita e basita cui si presta Alessandra Salamida (fino a una morte per suicidio priva di drammaticità, con delazione scritta a Teseo di false accuse di violenza addebitate al figlio) riceve per compenso l’acuto, inatteso e nobile conforto di una vera attrice, Gaia Aprea, nutrice e confidente di strenue capacità vocali, di perfette posture e di profondo senso, un’interprete che sembra protagonista di una storia classica estranea, contigua e a tenuta stagna, precipitata nell’azione da una disciplina parallela. Ovviamente Ippolito porta a casa tra molti applausi il suo lunghissimo monologo misogino («le donne sapienti, io le odio») che è un must ‘patriarcale’ dell’antica Grecia.

Foto Maria Pia Ballarino

Ma dobbiamo subire lo straniamento di un ingresso di pompieri in divisa d’emergenza (un segnale di contemporaneità ai limiti del ridicolo) per poterci poi di nuovo conciliare con una prestazione di impeccabile levatura espressiva, contenutistica e stilistica, quella del Teseo di Alessandro Albertin, bravo minuto per minuto, anche lui in apparenza un protagonista extraterrestre. Si capirà il salto cui siamo stati esposti, e, al di là del destino di un Ippolito bellimbusto da teatro leggero toccato purtroppo a Riccardo Livermore, troviamo giusto citare le due incolpevoli e fiere interpreti del prologo, Ilaria Genatiempo impeccabile in panni di Afrodite, e dell’epilogo, Giovanna Di Rauso che nel ruolo di Artemide spunta dalla statua scendendo come una Osiris da una scaletta.

Rodolfo di Giammarco

Maggio 2024, Siracusa

Repliche in calendario, date in tournée:

Fedra
Verna, Teatro Romano, 11 settembre 2024


Locandine

Aiace

Opera di | Sofocle
Traduzione | Walter Lapini
Regia | Luca Micheletti
Musiche originali | Giovanni Sollima
Scene e Luci | Nicolas Bovey
Costumi | Daniele Gelsi
in collaborazione con | Elisa Balbo
Maestro del coro | Davide Cavalli
Altro maestro del coro e maestro di sala | Marcello Mancini
Coreografie | Fabrizio Angelini
Aiuto regista | Benedetto Sicca
Assistente alla regia | Francesco Martucci
Assistente scenografo | Eleonora De Leo
Assistente costumista | Andrea Grisanti
Direttore di scena | Giovanni Ragusa
Assistenti volontari alla regia | Andrea Triaca e Gianni Giuga

Fedra, Ippolito portatore di corona

Opera di | Euripide
Traduttore | Nicola Crocetti
Regista | Paul Curran
Assistente alla regia | Michele Dell’Utri
Scene e costumi | Gary McCann
Assistente scenografo | Gloria Bolchini
Assistente costumista | Gabriella Ingram
Direzione del coro | Francesca Della Monica
Responsabile del coro | Elena Polic Greco
Musiche coro inziale | Matthew Barnes
Musiche spettacolo | Ernani Maletta
Disegnatore luci | Nicolas Bovey
Video Design | Leandro Summo
Drammaturgo | Francesco Morosi
Assistente drammaturgo | Aurora Trovatello
Assistente alla compagnia | Riccardo Rizzo
Direttore di scena | Dario Castro, Eleonora Sabatini

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