PROSPERO | Speciale estate 24
Dal nostro archivio, una selezione di volumi per accompagnarvi sotto l'ombrellone, in impervi trekking, in caldi uffici
Tutti gli articoli
PER UN'ESTATE INCANDESCENTE
Caldo, di Jon Fosse, Cue Press (2019)
È una calda giornata d’estate, c’è un pontile, una casa, ovunque è il mare; ci sono due uomini, forse, poi c’è una donna che appare e scompare. Sarebbe tutto qui il Caldo di Jon Fosse (Cue Press, 2019), ma l’autore norvegese proprio in questa immagine scarna, apparentemente debole, essenzialmente onirica, raccoglie e disvela la ricorrenza delle atmosfere rarefatte in cui si ampliano a dismisura i vasti silenzi, quel deserto in cui si ripetono parole già dette, azioni già svolte a sostituirne altre che non si svolgeranno, parole eventuali che darebbero un senso più compiuto al testo, forse una maggiore distensione nella lettura, mentre invece quella assenza esplicita del tutto lo spaesamento e fa affiorare una complessità inattesa, ispessita sotto la superficie del non detto. Proprio per questo, nel testo del recente Premio Nobel, il fascino più esteso è dato da ciò che non compare ma che, sulla pagina o sulla scena, coinvolgerà il lettore o spettatore in una compresenza inevitabile. La stessa scelta, ricorrente in vari testi, di non esplicitare la punteggiatura, concorre a rendere assertivo un testo pieno di possibili domande, motivando ancor di più uno spaesamento non solo cognitivo ma esperienziale; ne nasce una sospensione, spesso palesata, di tempo e di spazio: i protagonisti si chiedono compulsivamente “quando” e “dove”, nessuna risposta li soddisfa, ricordano e non ricordano, poi tornano allora a domandare e domandarsi ciò che non può avere una definizione: “quanto a lungo” “no non ho idea” “Ma siamo stati qui tanto tempo / forse / È come se non ci fosse / sì tanto e poco” “Noi stiamo qui in ogni caso”. Tutte qui, evidenti, le note pinteriane prima e ibseniane poi individuate dall’introduzione di Franco Perrelli, che cura anche la traduzione: quello di Fosse, scrive, è un “realismo mobile o instabile”, intendendo cioè quella vocazione della sua scrittura a offrire spazi vuoti più che i pieni, ampiezze in cui si situa un teatro, dice l’autore, come “epifania estesa nel tempo”.
TEATRO SOTTO L'OMBRELLONE
THE LAST LAMENTATION, di Valentina Medda, a cura di Maria Paola Zedda, Kunstverein Publishing (2024)
Il catalogo della mostra che conclude il progetto performativo "The Last Lamentation" di Valentina Medda coadiuvata da Maria Paola Zedda è, materialmente, un susseguirsi di onde: ovunque è acqua, forse il Mediterraneo, forse una nuova epistemologia che si infrange sui consunti pilastri del sapere, forse un mare «come corpo vivente» evocato da Medda nella nostalgia operosa di una «vertigine abissale» che chiede ritorno, se pur fra mille correnti. Le intense immagini analitiche e i numerosi testi critici, la documentazione di un rito assai ben precisato (quello del pianto rituale, già indagato da De Martino nel 1958) e la necessità di allargarne i confini per nuovi corpi, nuove voci, nuovi suoni e respiri, formano qui una sorta di «compendio visivo e poetico» del dolore e del compianto. Ma come una forma che suscita nuove emersioni, e che si fa strada in quei «corpi d’acqua» dei quali scrive Astrida Neimanis, puntualmente evocata da Zedda. È un atlante prefigurativo di una Sardegna abitata da figure in nero (le dodici protagoniste della performance), in un lutto irredimibile perché la misura come la distanza sembra, storicamente oltreché biograficamente, colma. Eppure, The Last Lamentation è anche un atlante circondato di luce: non si tratta solo, attraverso la performance e il suo archivio, di un congedo da un mare assassino, oramai carico di morti, ma di una celebrazione (funebre) che mentre ripete, ritrova e risale a una litania (festosa) che è nuovamente ribellione e vittoria della natura. Del luogo. Del mondo dei vivi. E di chi resta.
La Tunisi teatrale di Cue Press, sfidando il terrore
È passato meno di un mese dalla strage di Sousse in Tunisia, circa quattro dall'attentato al Museo del Bardo, in tutto sono morti più di sessanta persone. Per noi è semplicemente inimmaginabile cercare solo di capire quale possa essere lo stato d'animo del popolo tunisino che rischia di perdere anche la più più importante fonte di approvvigionamento economico, il turismo. E a leggere il bollettino di avvertenze della Farnesina sul sito Viaggiaresicuri.it si capisce che nella propria valigia il turista dovrebbe riporre anche una cospicua quantità di coraggio, oltre che di buon senso.
D'altra parte, concettualmente, non ha tutti i torti il creativo tunisino che ha diffuso sul web la campagna shock affidata al motto “smettereste di andare nella Grande Mela?” corredata dall'immagine degli attentati alle Twin Towers del 2001. Inoltre il governo ha assicurato di aver approntato le necessarie misure di sicurezza. Di certo questo non ha impedito, si legge su un articolo dell'Huffington Post del 10 luglio, una vera e propria emorragia di turisti (confermata anche dal reportage pubblicato qualche giorno fa su Tempi), con la perdita di un milione di pernottamenti e la dissipazione di preziosi posti di lavoro. Se questi dati non vedessero un'inversione di tendenza l'Isis avrebbe collezionato una delle sue più importanti vittorie.
Ora vi starete chiedendo cosa c'entra tutto questo con il teatro. La risposta ce la fornisce la piccola casa editrice fondata da Mattia Visani e dedicata al teatro, Cue Press, che nell'ultimo periodo ha dato alle stampe – digitali ma anche cartacee – una serie di guide per visitare alcune delle città più interessanti del mondo. La collana è curata da Andrea Porcheddu e per ora vede tre volumi dedicati a Milano, Parigi e Tunisi. La sfida è quella di attraversare la metropoli a partire dai palcoscenici; come suggerisce Porcheddu «i teatri sono anche spazi e architetture capaci di svelare tracce di civiltà passate, luoghi meravigliosi per passare una serata e lasciarci raccontare, attraverso la loro storia e i loro spettacoli, la vita stessa della città».
Le 43 pagine dedicate a Tunisi sono firmate da Anna Serlenga – studiosa e regista che proprio qui ha scelto di lavorare fondando il collettivo teatrale Corps Citoyen – e si avvalgono anche dei testi di Monica Ruocco e Erica Batellani. Il titolo inquadra già la pluralità teatrale che sarà protagonista del viaggio: “Tunisi. Piccola guida performativa”. E infatti l'autrice ci porta da subito nel mezzo degli avvenimenti contemporanei presentandoci la nuova Tunisia: «La toponomastica non mente: come, negli anni dell’indipendenza dal colonialismo, Avenue Gambetto diventa Avenue Mohamed V, l’Avenue Marcelin Bertholo si trasforma in Rue Chadli Talala, la Rue Courbet in Avenue de Palestine, così la centralissima Place 7 Novembre, inaugurata all’avvento del regime di Ben Alì, viene ribattezzata Place 14 Janvier, in omaggio alla Rivoluzione del 2011. Una Rivoluzione discussa, dagli esiti ancora incerti, ma che ha modificato radicalmente il ruolo e le forme della produzione artistica cittadina».Ma non può esserci presente senza la memoria dei tempi bui: «un’intera generazione di poliziotti in borghese si è formata al buio delle sale teatrali della città, di cui conosceva autori, vizi e virtù.». Qui sta la forza di questo volumetto, nel tentativo costante di raccontare luoghi e culture in continuo movimento, espressioni artistiche che devono confrontarsi con la nuova libertà e con la produzione occidentale ricreando i propri segni linguistici senza dimenticare il passato.Come nelle migliori guide turistiche non manca uno spazio dedicato alla preparazione del viaggio, al calendario dei festival (da quelli istituzionali al Festival de Théâtre Experimental de Medenine) e una lista dei luoghi da non perdere, dalla quale emerge una geografia artistica vivace ed estesa. Alcuni di questi luoghi li ritroviamo negli “itinerari”, vera e propria scoperta di spazi, artisti e generazioni teatrali.A suggellare la completezza della pubblicazione troviamo gli utili compendi sulla gastronomia locale, sulla storia della relazione tra teatro e città e un interessante scritto di Monica Ruocco che inquadra il legame tra l'Islam e le pratiche teatrali.Al di là del viaggio, la guida è una lettura piacevole e non priva di riflessioni centrali (oggi ancor di più alla luce delle recenti stragi) per comprendere la complessità del presente tunisino, non a caso Anna Serlenga nelle prime pagine scrive :«la Tunisia della transizione democratica si trova ad oggi in un bivio storico, che vede all’orizzonte almeno due differenti progetti di società: uno laico e progressista, contrapposto a uno islamista e conservatore. Questi due progetti si trovano a lottare sul battleground, come direbbe Chantal Mouffe, dello spazio pubblico e delle libertà individuali e collettive. Sui corpi dei cittadini, in completa crisi identitaria.»
ESCURSIONI TEATRALI
Il teatro sulla Francigena. Recitare con lentezza
Quinta di copertina. Il libro di Simone Pacini racconta Teatro su due piedi, progetto di "pellegrinaggio teatrale" lungo 300 chilometri di Via Francigena, tra Toscana e Francia.
Nel 2013, l’allora direttore del Metastasio Teatro Stabile della Toscana Paolo Magelli delinea un progetto di formazione insieme a Pierre Debauche, alla guida del Théâtre École d’Aquitaine: Il teatro su due piedi “parte”, è proprio il caso di dire, il 22 maggio 2013 a Lucca e percorre la Via Francigena per “arrivare” ad Agen, in Francia, il successivo 23 giugno.
Esce oggi per Silvana Editoriale il libro Il teatro sulla Francigena. Trenta attori in cammino dalla Toscana alla Francia, scritto da Simone Pacini, fondatore di fattiditeatro e qui autore di un appassionato e partecipato racconto.
Come scrive Magelli nell’introduzione, «quindici giovani attori diplomandi della scuola di Agen avrebbero lavorato insieme a quattordici attori italiani». Dopo un laboratorio condotto da Debauche e da Marcello Bartoli, direttore della Scuola Magnolfi, i due gruppi «si integrano artisticamente, linguisticamente e umanamente», presentando per i borghi uno spettacolo di strada. In questo «pellegrinaggio culturale» lo spettacolo mescola materiali di Boccacccio, Goldoni, Fo, include musica dal vivo e improvvisazione.
I circa trecento chilometri di Via Francigena toscana e di Lot-et-Garonne, che includono anche una tappa in Corsica e una a Marsiglia, vengono raccontati da Pacini divisi in brevi capitoli, come le tappe delle guide del celebre Cammino. «La felicità è nella via», ricorda Pacini citando nientemeno che il Buddha, e questo sembra essere il motto di un tale diario di viaggio. In 85 pagine agili e leggere, inframezzate da scatti in bianco e nero (di Egisto Nino Ceccatelli, Filippo Bardazzi e dello stesso Pacini), passano i volti di giovani attrici e attori, il suono delle loro suole, si vede il meteo cambiare, si scorge la Val d’Orcia, si frequentano bar e osterie, si dorme in campeggio o nei conventi. E, sera dopo sera, si dà il benvenuto a un nuovo pubblico, incuriosito e sorpreso di fronte a questo «teatro povero, antico, camminante». Così Andrea Porcheddu, nel suo articolo citato in appendice, parla di questo progetto come di una «scuola notevole».
Ne Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, il filosofo Byung-Chul Han sostiene che in questa modernità «non c'è più distinzione tra qui e altrove». Il progresso ci racconta l’unico senso possibile del procedere, oggi, quello verso un “qui” migliore o diverso. Di un progetto di formazione coraggioso, in cui la lentezza del camminare permette al gruppo di procedere amalgamando lingue ed emozioni attraverso la potenza del teatro, Simone Pacini costruisce un documento originale e prezioso, tra la guida turistica e il diario sentimentale.
Sergio Lo Gatto
IL TEATRO SULLA FRANCIGENA
autore Simone Pacini
editore Silvana Editore
anno 2018
pagine 85
prezzo 10,00€
TeatroNatura. Vedere e ascoltare nel teatro di Sista Bramini
QUINTA DI COPERTINA. TeatroNatura. Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto "Mila di Codra". A cura di Maia Giacobbe Borelli
Il teatro di Sista Bramini mira ad attraversare i luoghi cogliendone l'essenza più profonda, un «teatro di ricerca e allo stesso tempo un teatro di repertorio», come lo definisce la stessa autrice, che sonda «la morfologia fisiologica, la situazione culturale» del luogo prescelto.
Il libro TeatroNatura, edito da Editoria&Spettacolo per la curatela di Maia Giacobbe Borelli, attraversa il teatro di Sista Bramini in sette saggi, una selezione di immagini e un appendice che contiene il testo dei Canti in Mila di Codra, il più recente spettacolo della compagnia O Thiasos e un carteggio tra Sista Bramini e Dacia Maraini, autrice di quel testo a partire da La figlia di Iorio di D'Annunzio.
Il volume divide i contributi in due nette prospettive: una prima parte di Riflessioni teoriche, che ospita saggi di Maia Giacobbe Borelli, Roberta Gandolfi, Luciano Mariti e Fabrizio Magnani, un'altra incentrata sulle Pratiche, in cui le voci di Sista Bramini, di Camilla Dell'Agnola e di Sonia Montanaro passano poi la parola a un diario degli attori e a una conversazione di gruppo condotta da Borelli.
O Thiasos TeatroNatura nasce nel 1992 «allo scopo di indagare – si legge sul sito della compagnia – attraverso gli strumenti dell'arte teatrale, la relazione tra arte drammatica, coscienza ecologica e ambiente naturale». Si tratta di un lavoro che mette in radicale discussione le forme e i ruoli con cui entrano in relazione i sistemi drammaturgici, registici e di composizione musicale.
Il paesaggio è dunque visto come un vero e proprio personaggio, sottolinea Borelli nel saggio introduttivo, non «come mera scenografia», ma come parte integrante della drammaturgia poetica e delle azioni, un «paesaggio come manifestazione di sé, della propria cultura, del proprio modo di rapportarsi con i propri spazi vitali». Interessante è guardare all'installazione di un percorso di narrazione in spazi non urbanizzati come alla traslazione dello spettatore da una realtà ordinaria a una non ordinaria, «un mondo simile al sogno dove il familiare può diventare estraneo ma dove anche, al contrario, la dimensione fantastica diventa familiare e il mito riappare».
Roberta Gandolfi compie invece un viaggio a ritroso nella tradizione del recupero delle dimensioni pastorali, rurali ma anche semplicemente di integrazione tra narrazione musica e canto, attraverso le storie del teatro e della danza, dai Pastoral Players alle utopie della rappresentazione di personaggi come Isadora Duncan, Rudolf Laban, Mary Wigman o Pina Bausch.
Luciano Mariti interpreta queste esperienze da un punto di vista estetico, analizzando una condizione dello spettatore «non frontale ma immersiva» che porta all'acquisizione di «nuove sensibilità e potenzialità tecnologiche» volte a inglobare uno spettatore invitato a perdersi «attraverso “effetti” che lasciano impressioni di presenza». Analizzando la presenza dell'attore, l'apertura a una partecipazione organica al paesaggio, la circolarità dell'ascolto, si parla del vedere-come teorizzato da Wittgenstein, della «dinamica delle atmosfere» sapientemente isolata da Čechov, fino a un affascinante richiamo all'Atmosferologia di Tonino Griffero, che vede la «significatività atmosferica del luogo immanente all'oggetto» esprimersi a livello delle qualità sensibili. Come sottolinea Fabrizio Magnani nel suo saggio improntato all'antropologia visuale, si tratta di un «processo in divenire» di cui occorre farsi partecipi.
Il resto del volume è tutto da leggere e da guardare: attraverso i racconti dei protagonisti e le immagini a colori è possibile effettuare un primo accesso a un'esperienza di teatro totale che chiede sempre di più allo spettatore, la leggerezza necessaria per abbandonarsi alla fruizione di un racconto, di una memoria perduta, di una sorta di modulo di vita all'interno della materia performativa. Forse questo intende Sista Bramini quando si dichiara interessata a indagare «la morfologia fisiologica, la situazione culturale che impregna» un paesaggio come personaggio.
Sergio Lo Gatto
Il 22 gennaio 2016 è prevista una giornata di studi su Teatro e Natura all'Università Sapienza di Roma.
TEATRONATURA - Il teatro nel paesaggio di Sista Bramini e il progetto "Mila di Codra"
a cura di Maia Giacobbe Borelli
prefazione di Dacia Maraini
scritti di Maia Giacobbe Borelli, Roberta Gandolfi, Luciano Mariti, Fabrizio Magnani, Sista Bramini, Camilla Dell'Agnola, Sonia Montanaro, Jacopo Franceschet, Valentina Turrini, Veronica Pavani, Luca Paglia, Carla Taglietti, Azzurra Lochi, Gabriele Di Camillo, Piera Degli Esposti.
edizione Editoria&Spettacolo, Spoleto 2015
pagine 290, Euro 20.00
ISBN 978-88-97276-72-2
ESTATE, TEMPO DI FESTIVAL
In giro per festival. Guida nomade agli eventi culturali, di Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino, Altreconomia (2023)
È uscita in primavera la seconda edizione della guida In giro per festival, sommario cartaceo della piattaforma Trovafestival. Un libro agile, tascabile, che accompagna spettatori, lettori, appassionati di cinema e arte in un percorso di oltre 350 festival italiani. La prefazione di Paolo Fresu dedicata alla contagiosità della cultura ci introduce alle sezioni regionali, ognuna delle quali si conclude con un’ulteriore proposta di itinerario tematico: per categorie artistiche, certo, ma anche per sentieri meno scontati, come i festival al femminile o LGBTQ+, i festival interculturali, quelli in alta quota, quelli “per nerd” e tanti altri. La pubblicazione, anche quest’anno sostenuta dalla collaborazione con Altreconomia e da una curata campagna di media partnership, ci restituisce la ricchezza, quasi la sovrabbondanza, delle iniziative culturali festivaliere italiane. L’estate è il cuore dei Festival, che si rincorrono e sovrappongono da una città all’altra; tuttavia, per il turista appassionato, non mancano le occasioni invernali o di mezza stagione per immergersi in vere e proprie maratone culturali. All’incessante lavoro di mappatura e censimento che Alonzo e Ponte di Pino instancabilmente conducono, si affianca un’azione trasversale importante di dialogo e incontro tra le realtà organizzatrici, come per esempio è avvenuto con gli incontri primaverili che hanno dato vita alle Linee guida per festival sostenibili: un punto di partenza per ragionare sulla sostenibilità, non solo ambientale, delle iniziative festivaliere in relazione e al pubblico e ai territori. La dimensione dei festival in Italia è in continua espansione: le cause di questa proliferazione sono numerose ed eterogenee, come è emerso nel corso di iniziative come il seminario Fuoco cammina con me organizzato nel 2022 da Kilowatt Festival. Un ambito non semplice da comprendere e analizzare, composto da istanze e organizzazioni con obbiettivi, proporzioni, impatti molto diversificati, e che necessita di essere costantemente monitorato per non sfuggire di mano. In questo la guida nomade è utile sia per avere una panoramica di questo fenomeno, sia per accompagnare lo spettatore spaesato in viaggio per paesi e città, all’insegna di un più cosciente turismo culturale.
Il Terzo Millennio del Premio Scenario: trent’anni di linguaggi, cronaca, analisi e ricordi
Quinta di Copertina. Scenari del Terzo Millennio – L’osservatorio del Premio Scenario sul giovane teatro è il volume curato da Cristina Valenti in occasione del trentennale del premio edito da Titivillus. Recensione
«In una società dove predominano gli X Factor in ogni disciplina, dal cibo alla scrittura alla musica, Scenario appare sempre più come un’isola a sé, una zona franca, non idilliaca né a tutti i costi priva di posizioni diverse o in contrasto tra loro, un luogo però dove il “noi” prevale ancora sull’“io” individualista ed esasperato che accompagna ogni nostro gesto sociale».
Alle parole di Marco Baliani si affida il primo approccio di lettura a Scenari del Terzo Millennio – L’osservatorio del Premio Scenario sul giovane teatro, volume edito da Titivillus per la collana Quaderni di Scenario curato da Cristina Valenti (con contributi di Laura Mariani, Viviana Santoro, Fabio Acca, Cira Santoro, Dario Ghiggi, Anna Fantinel), già docente presso il Dams di Bologna, direttore artistico e poi presidente dell’Associazione Scenario.
Scritto e pubblicato in occasione del trentennale del premio omonimo, il testo ripercorre la storia dello stesso dall’istituzione nel 1987 sino al passato recentissimo, con un focus specifico sugli elementi e le dinamiche che hanno caratterizzato il definirsi del suo contesto negli anni Duemila. In un accrescersi di sistemi di premiazione non sempre accreditati e accreditabili, non necessariamente riconoscibili e riconosciuti, Scenario continua a rappresentare uno dei riferimenti più stabili per formazioni preesistenti e neo-formazioni, per codici ed estetiche in definizione, per artisti e lavori della “nuova” scena, per la generazione di artisti under 35, ma anche per studiosi, appassionati, addetti ai lavori. Occasione di presentazione, di confronto, di condivisione, di coltura, ma anche camera di concrezione, possibile osservatorio di stili, tematiche, direzioni che nel tempo ha incluso e riconsegnato, distillato e visto espandersi l’ordinarietà di ricerche non sempre determinanti, ma pure nomi o spettacoli che segnano ancora la realtà teatrale contemporanea, che ad essa si sono ascritti come significativi snodi immediati e prospettici.
Diviso in tre parti, il percorso che prende corpo non vuole essere semplice computo di restituzioni o evenemenzialità performative, elenco di protagonisti o asettica catalogazione di schede e titoli, denunciando un grado di prossimità che non abdica a una certa osservazione critica, quantunque partecipata. Il dramma, il personaggio, il coro, la performance e la “post-performance”, la nuova percezione del senso politico, la resistenza, l’idea di infanzia come disposizione dello spirito e dello sguardo, questi sono solo alcuni dei termini, alcune delle prospettive di lettura tanto dell’excursus artistico che Scenario ha delineato nel tempo quanto della sua trattazione ripercorsa dalla scrittura. All’orditura scalare di cronologia e chiavi di interpretazione si intrecciano la nascita di Scenario Infanzia e Premio Scenario per Ustica, componendo un quadro d’insieme di intenzioni e presupposti, di forme e risultati.
La prima metà del volume – con una sezione di apertura dedicata ad Emma Dante, vincitrice nel 2001 con mPalermu – fonda l’“indagine” su un processo di analisi stilistica e poetica a rintracciare traits d’union o differenziali sia estetici che argomentativi fra alcuni dei premiati: made in italy di Babilonia Teatri, La timidezza delle ossa di pathosformel, Pink, Me & The Roses di Codice Ivan, M.E.D.E.A. Big Oil di Collettivo InternoEnki, Due passi sono di Carullo-Minasi, Gianni di Caroline Baglioni, Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro di Giuliano Scarpinato, Made in Europe di Angela De Mattè, Bau#2 di Barbara Berti, Un eschimese in Amazzonia Liv Ferracchiati, InFactory di Matteo Latino. Proprio a Latino è dedicata la conclusione di questa prima parte, con un ricordo firmato da Stefano Casi dell’attore e autore pugliese scomparso nel 2015: «Le parole di Matteo, recitate con quella voce dal timbro così speciale in cui riecheggiava un’adolescenza in qualche modo ferita, arrivavano come una preghiera o come un lamento e al tempo stesso con una forza incisiva e una potenza che spezzavano il cuore, con una maturità e una capacità di elaborazione lontana anni luce dal giovanilismo e dal generazionalismo imperanti, e con la capacità di penetrare come un coltello nelle carni».
Dopo una corposa galleria fotografica un secondo e un terzo capitolo, più tecnici e consuntivi: quello delle “indagini statistiche” è ricostruzione, attraverso veri e propri dati numerici e grafici, dell’andamento delle partecipazioni e delle candidature utili ad uno sguardo che abbia come poli la provenienza geografica, la fascia anagrafica, i tipi di formazione, i luoghi e le tipologie di lavoro; le pagine di “materiali” invece trovano specifiche immagini fotografiche da accompagnare ad alcune note rispetto ai progetti finalisti o ai vincitori (dal 2001 al 2017) con le relative giurie; in calce al volume la lista di tutti i vincitori o le segnalazioni speciali a partire dalla prima edizione.
La panoramica di un percorso, di un momento lungo trent'anni: trent'anni di volti, corpi, scritture, laboratori, linguaggi, visioni, numeri, espressioni, incontri, cambiamenti...
«Ma il Premio Scenario è nato su alcune premesse, e nel suo evolversi ha mantenuto alcune peculiarità che, pur con tutte le buone intenzioni, nessun altro modello similare ha saputo o potuto eguagliare. In questa scelta compositiva si evidenziava che occorreva occuparsi dei “teatri”, a tutto campo, e che in gioco erano linguaggi plurimi, diversificati, dove il “testo” era la performance concreta che i partecipanti mettevano in atto nel loro mostrarsi. Non si premiava una scrittura ma una drammaturgia fondata sullo stare in scena».
Marianna Masselli
SCENARI DEL TERZO MILLENNIO – L’OSSERVATORIO DEL PREMIO SCENARIO SUL GIOVANE TEATRO
a cura di Cristina Valenti
editore Teatrino dei Fondi/Titivillus Mostre Editoria 2018
anno di pubblicazione 2018
343 pagine
prezzo 18 euro
LE VOCI DEL SUQ. Dal 1999 l’intercultura in scena, di Giulia Alonzo, Oliviero Ponte di Pino, Alberto Lasso e Carla Peirolero, Altreconomia (2023)
Questo libro vorrebbe essere un Suq. Nella prima riga della prefazione risuona la sensazione del metter piede nel Porto Antico di Genova durante le giornate del festival che da venticinque anni si affaccia sul mar Mediterraneo. ‘Le voci del Suq. Dal 1999 l’intercultura in scena’ curato da Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino, sguardo critico scientifico, e da Alberto Lasso e Carla Peirolero, direzione artistica del festival, ha questa vocazione: restituire il clima di festa, di spazio di incontro, di public art su “un’idea di socialità che crea convivenza”.
È questo oggetto-luogo che su carta, nell’edizione di Collana Storie di Altreconomia, vuole raccontare l’impresa culturale, politica, economica, di incontro che è stata ed è il festival. E lo fa costruendo un dizionario scritto da chi il festival lo ha vissuto in questi anni, in una mescolanza di lingue e suoni: dalla A alla Z si passa così dalla parola Ndaje/Incontro di Mohamed Ba a Città di mare di Goffredo Fofi, da Drammaturgia di Andrea Porcheddu a Poesia di Pippo Del Bono che fa risuonare Mahmoud Darwish, da Memoria di Amir Issaa a Esistenza di Don Andrea Gallo. Tra sguardi laterali sul contemporaneo, parole in farsi, lingala, arabo, portoghese, bambara, cinese, genovese, tra ricette del Maghreb e dei Balcani, si arriva alla sezione delle immagini tra corpi, scenari, botteghe e danze.
L’ultima parte del libro è un racconto del progetto politico e culturale del Festival, della sua genesi e storia – che affianca la dimensione artistica a quella sociale e educativa - fino alle produzioni della Compagnia del Suq. Chiudendo il libro, sulla copertina, l’attrice Akhoyanta Joy in “Madri Clandestine” continua a guardare avanti, decisa, sorpresa, meravigliata.
BACK TO SCHOOL
Crescere spettatori: il teatro va a scuola, a cura di Agnese Doria e Francesco Brusa, Luca Sossella Editore (2022)
Chiunque lavori con la scuola sa perfettamente quanto il teatro sia al contempo una grande esigenza di confronto tra l’esteriorità e l’interiorità degli individui in formazione ma anche un grande equivoco nella formulazione della stessa esigenza, troppe volte confusa con uno sciatto intrattenimento da uscita didattica che raramente sa esercitare il nutrimento necessario. È a fronte di questa urgenza che il gruppo di lavoro critico Altre Velocità, formatosi nel 2005 e operante in tutta Italia ma con un focus continuativo in Emilia Romagna, ha inteso concepire l’intero corpo di attività formative svolte negli ultimi dieci anni nelle scuole, per poi farle oggi confluire in un libro dal titolo Crescere spettatori, appena uscito dall’editore Luca Sossella, a cura di Agnese Doria e Francesco Brusa. A partire dall’esperienza diretta vissuta in varie scuole d’Italia, incontrando ragazzi dai 6 ai 19 anni, il libro si compone di articoli molteplici che sappiano attraversarla ma senza dimenticare una compiutezza di concetto utile alla formalizzazione di una teoria educativa. Infatti il testo, a partire da esperienze più o meno fugaci di presenza nelle scuole, oltre a offrire spunti per trattare “da fuori” il teatro nelle classi dà anche l’opportunità di fornire elementi utili agli stessi insegnanti, perché possano guidare i ragazzi in una presenza più costante e generativa. L’elemento che maggiormente emerge, da questa indagine, è la volontà di mostrare il lavoro come tramite tra la scena e la scuola, cercando non di impartire insegnamenti categorici, ma di stimolare alla partecipazione, all’evanescenza, a quello che Lorenzo Donati nella prefazione chiama giustamente “spaesamento”.
“Marco Martinelli, la non-scuola e il lusso della vita”, quinta di copertina di Aristofane a Scampia, di Marco Martinelli, Ponte alle Grazie (2016)
QUINTA DI COPERTINA. Il regista e drammaturgo Marco Martinelli con il suo ultimo libro Aristofane a Scampia immagina un altro modo per raccontare i nostri tempi.
In un mondo che propone poco più che la propria sopravvivenza e dove l’egemonia del declino troneggia tra claudicanti strategie del sorpasso, il racconto di Marco Martinelli sulla sua “non-scuola” è un antidoto corale alla stagnazione. Un antidoto che è smarrimento, perché del perdersi e ritrovarsi fa il proprio metodo, perché della paura di sbagliare e dell’imbarazzo dell’errore fa ricchezza.
Venticinque anni di non-scuola per il Teatro delle Albe, un’esperienza nata per sfida e con qualche perplessità, ma senza esitazione: nel libro Aristofane a Scampia (pubblicato lo scorso settembre per i tipi di Ponte alle Grazie) diventano racconto generoso, mai supponente.
Perché il rischio della supponenza c’è quando si parla di adolescenti o dei metodi per “salvarli dal mondo”, c’è soprattutto quando il proprio lavoro pare funzionare, non solo per i ragazzi ma per il teatro intero che, senza troppe strategie, non ripropone la vita per imitazione, ma la percorre esplorandone gli eccessi, i vuoti, le frenesie e l’effervescenza. Martinelli racconta un teatro che non è per ragazzi, ma è la loro scoperta al di là del limite imposto dalla società e dagli sguardi degli adulti. È un gioco teatrale che somiglia molto a quello dei bambini, quando non ci sono occhi esterni a dirigerne i percorsi, ma solo qualcuno che con loro attraversa i confini.
La pace di Aristofane arriva a Scampia, l’Ubu di Jarry beve i cocktail delle discoteche romagnole poi sbarca a Chicago, in un melting pot di culture dove pistole giocattolo provano a sovvertire le gerarchie del potere, e infine si ricrea nel villaggio africano di Diol Kadd, sedotto dal sole e dai colori. Scegliendo mille occasioni e altrettanti modi di non accomodarsi nelle sale delle istituzioni, la non-scuola ha trovato il proprio punto di fuga là dove le orme dei ragazzi parlano di attraversamenti e sconfinamenti. Bisognerebbe imparare quel "Noboalfabeto" (21 lettere pensate come abecedario per la non-scuola) dove la A appartiene all’Asino che sappiamo essere “d’oro” e non privo di intelletto nel racconto classico di Apuleio.
I classici, appunto, ma quando della spontaneità avevano tutta l’effervescenza, quando ancora non sapevano di essere classici. Il racconto della vita del giovane Shakespeare, di un tormentato Aristofane, di un visionario Molière contagia gli adolescenti e, dai versi di Matteo Maria Boiardo al giovane Majakovskij o ai cori ultras urlati a sguarciagola dai ragazzi di Scampia, il teatro torna a parlare della vita, o meglio ancora della “messa in vita” lontano dalla “scena”.
Lo firma Martinelli, ma Aristofane a Scampia ha l’aspetto di un racconto corale, la sua armonia, le piccole stonature e i diversi timbri, la danza di Ermanna Montanari, la costanza delle Albe e la ricchezza di tutte le “guide” che si sono messe in gioco in venticinque anni. Senza paura di sbagliare, non temendo le contraddizioni che il fare sempre implica, Martinelli ci racconta della non-scuola e dello spazio percorso senza strategie di prudenza. L’adolescenza non è più tabù innominabile, semmai è la bussola per seguire un diverso teatro e farne furore.
La particolare necessità della non-scuola è il riempimento di uno spazio assente, è il Farsi luogo di cui Martinelli già ci ha parlato, dove l’invisibile è il motore della visionarietà di chi alza lo sguardo. È in questo terreno dell’impossibile che il teatro può permettersi di attraversare i limiti senza indicare grandi strade, ma esibendo il lusso della vita.
Aristofane a Scampia
Editore: Ponte alle Grazie
pp. 163
euro 14,00
Isbn: 978-88-6833-573-1
Data di pubblicazione: settembre 2016
La scrittura e la scuola. Intervista a Claudia Castellucci
Quinta di copertina Speciale. In occasione della rassegna di danza May Days nella quale è andato in scena a Parma il ballo Verso la specie, abbiamo intervistato Claudia Castellucci a proposito del suo libro Setta. Scuola di tecnica drammatica pubblicato da Quodlibet nel 2015.
Claudia Castellucci, fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio insieme a Romeo Castellucci e a Chiara Guidi, ha maturato una profonda esperienza nella creazione di scuole drammatiche intese non come luoghi né come metodi, ma come percorsi di trasmissione della conoscenza. Limpido, ironico e serio, il volume pubblicato dalla casa editrice Quodlibet nel 2015 è un prodotto editoriale particolarissimo che contiene la sintesi di oltre quindici anni di impegno nella prassi scolastica, ovvero una pratica volta alla creazione e alla trasmissione di una conoscenza approfondita del ritmo, del corpo e del suo movimento. Il testo, redatto nel corso di tre anni, propone un approccio che a prima vista sembrerebbe essere teso a raffreddare la materia di cui tratta, tuttavia dalle pagine di Setta. Scuola di tecnica drammatica emerge il sentire caldo, umano e approfondito della riflessione che nasce attraverso la pratica quotidiana intesa come spazio di relazione, di contatto e di ascolto.
La scrittura di un testo implica una creazione preliminare che consiste nello stabilire un rapporto con la scrittura. Qual è stata la genesi di questo libro?
Avevo a disposizione una collezione di appunti dedicati a lezioni che ho fatto nel corso del tempo, ma avevo ben chiaro di non costituire un’antologia. La composizione l’ho pensata in relazione a una lettura che, data la natura del libro, dovesse essere prossima a quella di un manuale o a quella di un prontuario che all’occorrenza venisse utilizzato: una lettura vicina a un esercizio o a un’immaginazione di esercizio, che potesse essere frequentato nella mente, non soltanto fisicamente. Si tratta quindi di una scrittura spettrale che riguarda sia chi in maniera pedissequa tratti questo libro come un esercizio da mettere in pratica immediatamente, sia chi tratti questo libro come una narrazione di atti che rimandano a pensieri. È stato per me importante scrivere questo libro come un andamento, accompagnando una continuità di scorrimento delle parole adeguata a un ritmo, che è quello della lettura. La preoccupazione principale di queste lezioni è quella di costituire un ritmo nella giornata scolastica; di conseguenza dovevo riuscire a ottenere la stessa qualità ritmica, dinamica, attraverso la lettura. Ho scelto le parole in base al ritmo, o, per meglio dire, la scelta delle parole si trova in una dimensione ancora più profonda. Prima di questo c’è la scelta dell’alternarsi degli esercizi e dei pieni e dei vuoti che le parole stesse portano e comportano, e del grado di attenzione che questi esercizi richiedono anche solo alla lettura; e anche di una certa ironia, nel senso strutturale della parola, non in senso scherzoso. Poi, c’è la scelta terminologica, che è per me fondamentale qui, come lo è nelle lezioni, per il semplice fatto che è indispensabile intendersi quando parliamo. Man mano che costruisco il libro, adotto dei termini e anche delle famiglie di termini che tra loro si rafforzano per costituire un panorama coerente, dove è possibile orientarsi.
Nel suo libro si parla di scuola e viene bandita la parola metodo. A che cosa è dovuta questa scelta?
La parola “metodo” rispetto a “scuola” è fortemente indicativa di una direzione assodata. C’è un aspetto che viene tagliato fuori da subito che è quello della contraddizione e della libertà, anche dal metodo stesso. Quindi la parola metodo ho dovuto allontanarla per il semplice fatto che, pur essendo le giornate scolastiche preparate rigorosamente, pur avendo quindi un’apparenza fortemente metodica, non possono dirsi legate a un metodo: la ragione è che verrebbe esclusa dall’origine la possibilità della contraddizione rispetto a una direzione. La parola più corretta è "scuola" perché accentua l’aspetto di questa tipica relazione umana -che è speciale, e veramente definibile solo con la parola scuola: un insieme di persone che decide di stare insieme a studiare, con il solo motivo di studiare e di provare determinati tratti di conoscenza. Non può esserci, dunque, un metodo, perché esso è qualcosa di esauribile e di esaurito, ed è bastevole a se stesso proprio perché si fonda su un sistema. La scuola si basa su tesi, non può dirsi sistematica. Il sistema, se c’è, è quello ritmico. Il ritmo è un sistema, ma il ritmo stesso è una parola complessa rispetto al metro, per esempio. Quindi forse la differenza che c’è tra la parola scuola e la parola metodo è la stessa che corre tra ritmo e metrica: la metrica è basata su una regola normativa e normante, assolutamente regolare e fissata, prefissata, e sa già qual è il proprio orizzonte. Il ritmo è senz’altro regolare, metrico, ma è più libero del metro, perché poggiandosi sul metro realizza una nuova normativa, che è propria. La stessa cosa avviene per me con la scuola, dove il motivo e l’orizzonte di questa riunione umana è legato allo studio e alla prova in comune. Naturalmente è importante che in questa relazione vi sia qualcuno che si prepara, mettendo a punto la giornata e il ritmo. Ma questa preparazione serve solo come base per un ballo che si inaugura, sì, con chi prepara, ma che è aperto a una trasformazione che si attua durante la scuola stessa e assorbe tutte le modificazioni e gode della contraddizione, veramente, non per una generica apertura verso qualcosa di indefinito, ma perché è così che succede la moltiplicazione del ritmo, di conseguenza succede anche una libertà problematica nei confronti dello studio.
La struttura interna del libro, divisa in “giornate”, è particolare per il modo in cui orienta il lettore. Come è nata?
L’idea delle giornate serve per dare un’idea vivida di andamento temporale. Il numero di 59 giornate è arbitrario, nel senso che in generale le giornate sono state di più, mentre lungo l’anno sono di meno, una trentina. La durata scolastica è determinata invece dallo scolaro stesso, che decide quando è ora di finire; e anche io sento che viene un momento in cui è giusto concludere. Anche questo denota il fatto che non vi potrebbe essere un metodo, perché il metodo, sebbene rinnovato e attualizzato, è un marchio che procede nel tempo, invece queste sono opere che si concludono per poi magari riaprirsi in altri modi o secondo altre tendenze. Quella delle giornate era un’idea vivida di tempo che scorre e quindi anche di una certa esemplarità spiccia — prima giornata, seconda, etc. — ma c’è anche un certo progresso, nel senso che ci sono esercizi che non possono essere fatti se prima non se ne sono fatti altri. È un progresso in senso storico, e, più che un miglioramento, ha un senso di completamento; certe cose c’è bisogno di farle in maniera scalare, progressiva. Nel libro è importante la parte finale, quella degli indici, dove ipoteticamente il lettore può comporre la giornata che crede. Se uno ha bisogno di dedicarsi maggiormente a una determinata e specifica istanza, può concentrarsi e andare a cercare quel tipo di angolatura. C’è un elenco delle materie, c’è l’elenco dei discorsi e quindi uno può formarsi la propria storia scolastica. È un esempio che viene a essere, e si configura, così come accade nella scuola reale e fisica; praticato come un motivo principiante, che serve per cominciare qualcosa che poi si sviluppa con la mente -nel caso della lettura, e quindi andando a sfogliare, non necessariamente in modo progressivo. La determinazione della propria giornata è determinata in base alle necessità della propria fisicità.
Gaia Clotilde Chernetich
SETTA. SCUOLA DI TECNICA DRAMMATICA
autore Claudia Castellucci
editore Quodlibet, Macerata
anno 2015
pagine 440
ISBN 9788874626557