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Ogni angolo ogni pietra 2024. Assisi dei poeti, Assisi dei fantasmi

Ogni angolo ogni pietra, festival itinerante ideato e organizzato da Piccolo Teatro degli Instabili, racconta, da quattro anni, una Assisi “invisibile”. Una riflessione

Foto Andrea Cova

C’è un’altra Assisi dentro Assisi. La prima a intravederla è stata Fulvia Angeletti, direttrice artistica del Piccolo Teatro degli Instabili, durante il lockdown del 2020. Quel lungo e forzato ritiro ha aperto – come a volte accade quando la visione consueta è interdetta o oltraggiata – la strada al miraggio. Accanto alla Assisi claustrale, sacra e turistica, accanto a quella intima, fatta delle familiarità e delle convenzioni di chi la abita ogni giorno, esiste e scompare una Assisi dei fantasmi. Provare a dirla è già smarrirla. Però è forse possibile inseguire, per un po’, la sua ombra, costruire una macchina che catturi qualcosa della sua traccia.
Già in passato, Angeletti aveva lavorato sul confine (valga, a titolo di esempio, la trilogia pasoliniana del 2019, un’indagine per strappi sulla spiritualità irrazionale dei luoghi) e, con coraggio e con cura, si è rimessa all’opera, ha iniziato a progettare la macchina.
Durante questa estate il festival itinerante Ogni angolo ogni pietra – ideato e organizzato insieme a Samuele Chiovoloni, che dei singoli eventi ha curato le regie – ha festeggiato la sua quarta edizione e un afflusso di spettatori sempre in crescita, che ha costretto a moltiplicare le repliche, qualche volta a calmierare gli ingressi.
C’è una poesia di Eugenio Montale che – lo penso da anni – descrive bene questa sensibilità all’invisibile: si apre con un monito («Non muoverti»), si conclude con una domanda («Piangi?») e racconta di «fiori d’ombra /non visti, immaginati» e di una «finta realtà» che, come una membrana, avvolge un altro mondo, delicato e impossibile a dirsi.
C’è da inventare un espediente, e non è detto che debba essere complesso, c’è da chiedere un atto collettivo di fiducia: esisterà senz’altro un momento in cui perderemo la facoltà di distinguere tra una finzione e un’allucinazione.

La prima tappa di OAOP 2024 si svolge a giugno, nelle serate più luminose dell’anno, quelle appena precedenti il solstizio. Si intitola Città di Poeti, in onore di un saggio del 1954 di Gemma Fortini, giornalista e studiosa di storia francescana, oltre che traduttrice di Properzio. Proprio le elegie di Properzio dedicate a Cinzia hanno una posizione di privilegio – accompagnando la struggente performance del danzatore Paolo Rosini – nel tessuto di voci poetiche che si intrecciano, si fondono e si sovraimprimono nel corso della passeggiata. Tra le altre, quelle di Metastasio, di George Herbert, di Maria Luisa Fiumi: versi provenienti da epoche lontane tra di loro (caratterizzati, quasi a margine, dal fatto che i loro autori e le loro autrici hanno toccato o lambito la storia assisana) e recuperati per mezzo di un sofisticato lavoro di archivio prima e di montaggio poi, infine affidati alle voci degli interpreti, quelle dal vivo e quelle diffuse dai dispositivi elettronici. I “camei vocali” di Fabrizio Gifuni e Maria Paiato non appaiono neppure tali, tanto sono integrati all’ordito complessivo, preziosi non impreziosiscono. C’è una semplicità antica nell’atto di procedere insieme, come in una meditazione, ciascuno isolato dalle proprie cuffie, dunque prossimo e lontano a chi gli cammina a fianco, quasi libero di sostare, forse di sviare, di indugiare per qualche istante in più su di una visione, di soppesare intimamente la risonanza di un ascolto comune. A commuovere è l’artigianalità così onesta della costruzione del tutto, la devozione con la quale ciascuno onora il tassello del quale è incaricato e la scelta di distendere l’intensità del sentimento in una mappa di visioni, assistita da un disegno acustico limpido e curato. Come se il mistero non avesse bisogno, per manifestarsi, che di un ambiente propizio e calmo, e come se i fantasmi non avessero bisogno di essere evocati ma solo di essere lasciati esistere, nella grazia della compresenza, intesa alla maniera di Aldo Capitini nei termini di «qualche cosa di sacro che noi non vediamo chiaramente, ma sentiamo».

Foto Andrea Cova

Un mese più tardi, l’appuntamento è di nuovo serale, sulla soglia del bosco, nei pressi del sentiero che conduce alla Rocca Minore. Le giornate hanno già iniziato ad accorciarsi, ma l’indietreggiamento della luce è ancora impercettibile. È difficile descrivere Segnaletica per occhi spenti. Si può definire una performance itinerante, che si svolge in un rapporto uno a uno tra attore e spettatore e che prende le mosse da alcuni testi nati all’interno del laboratorio Onironautici urbani, anch’esso condotto da Samuele Chiovoloni, nelle settimane precedenti. L’idea del sogno lucido – sognare sapendo di stare sognando – ha un valore iniziatico e si allaccia, nella sua lunga tradizione, anche al pensiero orientale che intende lo stato di veglia come un’illusione ospitata dentro il sogno, invertendo (o, meglio, riallineando) il rapporto di dominio tra la realtà e la condizione onirica. Scrivere in uno stato semi-ipnagogico è stato l’intento, farlo nei giardini di Assisi l’anomalia.
Questi brevi testi sono divenuti la drammaturgia consegnata ai performer che (per sei serate, organizzate in quattro sessioni ciascuna) hanno accolto gli spettatori – che è strano definire tali, visto che li attendevano bendati – sul limitare del bosco. Lasciarsi condurre in un luogo ignoto, privati del senso sovrano e del controllo, da un essere umano sconosciuto è, allo stesso tempo, un atto di profondo affidamento e una cessione di potere. Il sentiero è però ospitale, avvolto dai suoni e dagli odori, i sensi sono acuiti e l’inedita intimità corporale è favorita dalle lievi irregolarità del terreno che richiedono, a volte, un soccorso silenzioso.

Parte dell’incarico dell’interprete è orientare il viaggio: si tratta di selezionare i testi, ma anche di determinare la qualità del tocco e l’andamento del passo, a partire dalla reattività della persona accompagnata, di assecondarne, oppure di osteggiarne, l’andamento, di rimanere in ascolto delle risposte involontarie del suo corpo, di provocare la sua resistenza, o di proteggere la sua vulnerabilità.
Avverto qualcosa di profondo e incatturabile che permane quando, sola e ormai sbendata, percorro in silenzio la discesa che mi riconduce al punto di partenza. È qualcosa di ancora ulteriore al bene misterioso della vicinanza umana e al dono sereno di poter giocare all’aperto. Deve avere a che fare con il segreto dei luoghi, e con la promessa di non violarlo.

«C’è un limite al dolore/ in quel limite un caro conforto/ un’improvvisa rinunzia al dolore. / Il pianista cerca un fiore nel buio/ e lo trova, un fiore che non si vede/ e ne canta la certezza. /Il gioco è questo: cercare nel buio/ qualcosa che non c’è, e trovarlo» (Ennio Flaiano).

Ilaria Rossini

OGNI ANGOLO OGNI PIETRA
ideato e organizzato da Piccolo Teatro degli Instabili – Assisi
con il sostegno di Città di Assisi
direzione artistica Fulvia Angeletti
regia Samuele Chiovoloni

CITTÀ DI POETI
regia Samuele Chiovoloni
progetto sonoro originale di Gianfranco De Franco e Nicola Fumo Frattegiani
con la partecipazione straordinaria in voce di Fabrizio Gifuni e Maria Paiato
con Federica Bocchini, Amedeo Carlo Capitanelli, Ludovico Rohl, Paolo Rosini, Francesco Bolo Rossini
con le voci di Mauro Cardinali, Caterina Fiocchetti, Daphne Morelli, Giulia Zeetti
e con la compagnia del Piccolo Teatro degli Instabili (Stella Bastianelli, Lucia Betti, Susanna Caponi, Marta Carloni, Laura Ciammarughi, Mascia Esposito, Giordano Gattolin, Rita Gratani, Francesca Leila, Chiara Santarelli, Davide Santucci, Alessandro Sposini).
testi di Giovanni Bini Cima, George Herbert, Maria Luisa Fiumi, Louis Le Cardonnel, Giuseppe Leonelli, Pietro Metastasio, Piero Mirti, Sesto Aurelio Properzio
supporto di produzione Maira Grassi
direzione tecnica Marco Andreoli
grafica Francesco Mancinelli
illustrazioni originali Stella Bastianelli
scenografie, oggetti, costumi Claudia Rossetti, Vanessa Cuccagna
collaborazione ai movimenti Daphne Morelli

SEGNALETICA PER OCCHI SPENTI
regia Samuele Chiovoloni
con Maria Aisa, Stella Bastianelli, Lucia Betti, Susanna Caponi, Marta Carloni, Laura Ciammarughi, Alessandra Comparozzi, Mascia Esposito, Rita Gratani, Francesca Leila, Ludovico Marcucci, Laura Pannacci, Aurora Panzolini, Valeria Piccioni, Damiano Rocco, Chiara Santarelli, Alessandro Sposini.
testi di Peter Bartlett, Corinna Bartoletti, Roberto Becchetti, Silvia Belloni, Maurizia Berardi, Antonio Biondi, Elisa Boccacci, Marta Carloni, Barbara Chianella, Luca Chiavini, Miriam Checconi Sbaraglini, Samuele Chiovoloni, Elisabetta Ciancaleoni, Silvia Contini, Rita Costanzi, Arianna Farinelli, Carlo Floris, Laura Frascarelli, Alen Majakovskij Galante, Paola Giorgi, Anna Laurà, Michele Leombruni, Ludovico Marcucci, Anna Laura Matarangolo, Simone Pettirossi, Silvia Pianesi, Elvira Pompili, Damiano Rocco, Claudia Rossetti, Franco Rossetti, Ilaria Rossini, Chiara Santarelli, Sandra Sarti, Chiara Scilipoti, Alessandro Sposini, Daria Vì.

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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