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IVAN E I CANI (regia di Federica Rosellini)

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio 24

È uno dei luoghi simbolo di Cilentart Fest, Perito, il paese in cima a una lunga salita che da una minaccia di abbandono sta tornando a vivere anche grazie alla presenza dell’arte. Proprio qui, nel punto più alto affacciato sulla vallata, Federica Rosellini ha offerto le parole di Ivan e i cani, monologo tratto dalla fiaba nera della drammaturga inglese Hattie Naylor, tradotta da Monica Capuani. Ivan racconta a ritroso la propria storia di degrado, solitudine, violenza, ma anche di un grande e inatteso amore, una solidarietà che lo unisce ai cani con cui ha condiviso la vita di strada: Belka, Vano, Strelka, Ruslan e Kugya. Rosellini è immobile, ha le gambe larghe incastrate tra due tavoli in legno grezzo, poco più che cavalletti improvvisati; affronta il testo in forma di reading, ma attraverso una regia da tavolo aziona una partitura sonora compatta e rugosa, che tesse con le parole una trama fitta; immagini insostenibili si susseguono nel racconto e anche la voce dell’attrice, come la sua postura, non si inarca mai a sottolineare, ma resta tesa ad affondare lentamente nell’ascolto con sapiente equilibrio, lasciando che emergano le emozioni altrui senza tradire le proprie. È una storia struggente e affascinante di vita al margine in cui si avvertono il freddo, il buio, la puzza, la sopraffazione, Ivan cerca di sopravvivere in una condizione di disperata indigenza che solo la foto di Svetlana, una donna che sogna sia sua madre, può attenuare, mantenendo il suo legame con la vita. L’incontro con il primo dei cani, nella depressione urbana dei sotterranei di Mosca, fa nascere una inattesa e silente consonanza: scoprire la medesima condizione permette a Ivan di sentire la fratellanza e il sostegno che non ha mai avuto in casa propria, oppresso dal patrigno come sua madre, che non sa e non può difenderlo. Ivan, rifiutato dal mondo di sopra, trova nel mondo di sotto gli strumenti per una sopravvivenza in difetto, diventa parte del branco e così scopre di saper opporre, alla forza di un potere vessatorio, una speranza insopprimibile. (Simone Nebbia)

Visto a Cilentart Fest 2024. Crediti: un testo di Hattie Naylor; traduzione di Monica Capuani; sound design Federica Rosellini; voce registrata in russo Laura Pasut; performer e regia Federica Rosellini

Cordelia, luglio 2024

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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