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LA MORTE A VENEZIA (di Liv Ferracchiati)

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio 24

FESTIVAL DEI DUE MONDI Spoleto 11 luglio 2024 © Andrea Veroni

«L’occhio è la forza. Fare dell’inconscio un discorso è come omettere l’energetica» scrive Jean François Lyotard in Discours, figure (1971). È in una prospettiva simile – una resa al cospetto dei limiti della parola – che Liv Ferracchiati, in scena nei panni di Gustav von Aschenbach, filtra il racconto di Thomas Mann, impiegando un elemento nuovo nel suo teatro, la videocamera manovrata a mano, per duplicare e sovraesporre il movimento e l’incanto di Alice Raffaelli, Tadzio contemporaneo. Il tema viene dall’antichità classica: la psicologia omerica è fondata sull’idea che la possessione – intesa come esperienza di trasformazione erotica e misterica («plenus deo») – si realizzi in una dimensione contemplativa della grazia plastica dei corpi, trascendendo, almeno nel momento estatico, la dualità che contrappone apollineo e dionisiaco. Ferracchiati si muove su questo confine, in uno studio attorno alla possibilità di esondazione di una forza entro l’altra: il parlato registrato della prima parte, la sua grazia quasi di maniera, sconfina nella voce viva e trafitta della seconda. Il momento di passaggio è affidato a Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina, sintetizzata però sulle frequenze dello spavento, un po’ à la Cronenberg. Se dell’inconscio non si può fare – vedi sopra – un discorso, il potere della parola sembra permanere (oltre che come tentativo) soprattutto nella sua purezza di fatto fonico e ritmico, dotato dunque di un’espressività più “spaziale” che logica. Eppure i limiti del linguaggio, come Wittgenstein vuole, sono i limiti del mondo e, in questa logica, la deposizione, da parte di Ferracchiati, dell’ironia – da sempre impiegata, nella sua ricerca, come strumento di controllo e di sollievo, e come “appiglio esistenziale” – appare anche una rinuncia ai propri domìni. Simile all’atto di coraggio che serve per spingersi oltre i confini del noto, e al disarmo con il quale ci si predispone alla contemplazione di un vuoto, all’ascolto di un silenzio, alla morte. (Ilaria Rossini)

Visto a Chiesa di San SimoneSpoleto Festival dei Due Mondi, prima assoluta. Crediti: ispirato a  La morte a Venezia di Thomas Mann; drammaturgia e regia Liv Ferracchiati; con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli; movimento Alice Raffaelli; dramaturg Michele De Vita Conti; aiuto regia Anna Zanetti e Piera Mungiguerra; assistente alla drammaturgia Eliana Rotella; scene Giuseppe Stellato; costumi Lucia Menegazzo; luci Emiliano Austeri; suono  spallarossa; voce di Tadzio Weronika Młódzik; consulenza letteraria Marco Castellari; produzione  Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro – Teatro di Rilevante Interesse Culturale, Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini; in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano -Teatro d’Europa.

Cordelia, luglio 2024

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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