Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24
Come arriva la rabbia? Nasce con noi o appare a un certo punto? Come riesce a prendere il sopravvento su tutto il resto? Che cos’è una macchina della gioia? “Sbucci” non è un’indagine sull’uomo, né la sua caricatura; gli sbucci sono le prime ferite, quelle da cui ognuno di noi si è rialzato, chi piangendo, chi con fierezza, orgoglioso di portare addosso, su gomiti e ginocchia, i segni delle prime battaglie. Sono stati gli sbucci a dare l’incipit alla nostra strategia di sopravvivenza. La compagnia pistoiese, che con questo spettacolo chiude la stagione Agorà 23-24, ha scelto di ripartire dall’infanzia attivando una serie di laboratori nelle scuole elementari e chiacchierando con i bambini e le bambine per calarsi, di nuovo, nei loro panni. Facendo un balzo all’indietro verso l’infanzia, proseguendo a ritroso fino ai primi atterraggi sui ginocchi, Gli Omini restituiscono un’immagine limpidissima del pensiero “bambino” che ci descrive – noi, tutte le generazioni precedenti – con disincanto, senza retorica. Questi esseri umani, che noi percepiamo senza futuro, si confrontano sulla scena con dei robot di cartone, scatole magiche e aliene, che producono per lo più interrogativi sulla specie umana ma che, con inaspettata empatia, rispondono ai desideri dei piccoli offrendo loro la possibilità concreta di veder realizzate aspettative e immaginazioni. Così dalla bocca di un grande Bobi – robot gigante che domina la scena – vengono fuori personaggi come la “Mama” cioè la versione femminile del Papa, o una grande e sguaiata cicogna con la sindrome di Peter Pan. Bobi non giudica mai, guarda con curiosità allo srotolarsi di emozioni contrastanti dei bambini e delle bambine; su tutte la più importante pare proprio la rabbia, quella che a un certo punto della vita arriva e fatica ad andare via. Ma anche la perplessità rispetto alla vita degli adulti. Sbucci è un palcoscenico per la prossima generazione, è un vastissimo mondo dei sogni e delle paure in cui possiamo specchiarci, è l’antologia dei sentimenti che abbiamo provato e ci fanno sentire tanto lontani dai piccoli che hanno il potere di farci ritornare, finalmente, vulnerabili. (Silvia Maiuri)
Visto alla Sala Giulietta Masina di San Giorgio di Piano (BO)– Crediti: Una produzione de Gli Omini con il sostegno di Teatro Metastasiodrammaturgia Giulia Zacchini con Francesco Rotelli e Luca Zacchini