Questa recensione fa parte di Cordelia di giugno 24
Mauro Lamantia è Gramsci. Gli somiglia moltissimo, la chioma folta, i tipici occhiali. Eloquio insieme energico e posato, accogliente e vibrante. Interrompe un chiacchiericcio che si fonde con quello degli spettatori in sala: ci siamo tutti, siamo in un’affollata assemblea. Abbiamo fallito, ci dice. Dobbiamo ritentare, resistere, credere che le regole si possano riscrivere. Serve immaginazione, serve cultura, serve bellezza. Consapevolezza e capacità creativa. Il suo lungo monologo finisce, l’assemblea è sciolta, ha acceso sguardi di malinconica nostalgia. Cosa abbiamo visto? Dalla platea si alza una voce scura, ironica, scurrile. Ha un bomber e dei jeans ora Lamantia, è Nino. Sta aspettando di entrare in commissariato per ricevere domande cui risponderà con schietta indolenza. Nino ha scritto gay sulla faccia di Gramsci. Ma non sa perché lo ha fatto. Anzi lo ha fatto senza un vero motivo. Ridicolo cercare un significato politico al gesto: sarebbe un’ennesima forzatura radical chic. La realtà è molto più concreta. Nino è di casa in commissariato, ma non ha mai fatto davvero qualcosa di male. La sua lingua è scattante e pronta come quella di Gramsci, ma parla da un orizzonte in cui le speranze non sono svanite: non ci sono mai state. Il fallimento è un’eredità generazionale, non qualcosa su cui meditare. Allora quello che importa è galleggiare, tirare avanti come si può, non deludere troppo la mamma. Farsi solo le domande che possono servire a qualcosa. Quella malinconica nostalgia diventa amarezza. La giustapposizione dei due monologhi nella drammaturgia di Iacopo Gardelli non innesca un esplosivo: piuttosto un annichilente presa di realtà. Dove sono cadute le parole di Gramsci? In quale salotto televisivo sono rimaste rinchiuse? Con grande abilità e generosità Lamantia si muove tra i due personaggi, in una convincente prova attoriale che non propone soluzioni, speranze, spunti da coltivare, ma restituisce una fotografia spietata. Di quei valori, di quelle idee, di quelle speranze non resta che vernice su un muro. (Sabrina Fasanella)
Visto a Primavera dei Teatri, Teatro Vittoria. Con Mauro Lamantia. Drammaturgia Iacopo Gardelli. Regia Matteo Gatta. Produzione Studio Doiz e Accademia Perduta / Romagna Teatri. Tecnica e voce Mattia Sartoni. Costumi e scene Gaia Crespi