Al Maggio Musicale Fiorentino è andato in scena con grande successo di pubblico un trittico musicale tutto modernista ma catturato nella rete di una danza ancora oggi capace di stupore e meraviglia.
Difficile da dimenticare la bella serata al Maggio Musicale Fiorentino della Compagnia Zappalà Danza nella Trilogia dell’estasi. Per vari motivi, ma eccone almeno due. Da una parte, perché il coreografo catanese rimette al centro delle sue creazioni più vaste e complesse (anche in termini produttivi) la forza liberatrice e senza confini della fantasia. Dall’altra, la tenace volontà di provare a cambiare o spostare le abituali condizioni estetiche, anche azzardando e spingendo la composizione su misure che non accettano patti servili con lo spettatore, se non attraverso l’emancipazione liberatrice della dismisura. È una sfida, piena anche di responsabilità. Perché sono, questi, tempi di moralismo sciatto e conformismo opportunista, e il pericolo è quello di un ritorno al rancore benpensante che mentre si richiama ai seri valori della profondità, sempre si tratta invece dell’apologia del suo contrario. Adorno ha ben descritto, nella natura di un tale rancore, lo squadrismo in erba del fascista di domani.
Il palco è allestito a proscenio con piccoli teschi decorati, e avranno il loro scopo successivo, mentre la scena riproduce gigante la foto b/n di una metropoli con sovraimpressi disegni e scritte pop, in un progetto luci sempre perfettamente contestuale, il tutto pensato dallo stesso coreografo, Roberto Zappalà (sempre in combutta drammaturgica con Nello Calabrò). I mirabili costumi, che stratificano differenti immaginari musicali e cinematografici e chissà che altro, sono realizzati in collaborazione con Veronica Cornacchini. Le tre partiture non sono interrotte nel loro alternarsi, ma introdotte e cucite insieme da silenzi e da inserti di Techno Party (Tujamo, Vinne & Murotani) danzati in transizioni dinamiche anche fredde e piene di lontananza, capaci però di proporre una nuova logica coreografica, quella della ragnatela: per fili intensi, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. È la perdita dell’equilibrio e della successione ordinatrice, a favore dei materiali che affluiscono da ogni parte: tutto è preda.
In generale le tre edizioni musicali scelte sono estremamente lungimiranti (ossia in felice connubio con la composizione coreografica, senza inutili guizzi o sorprese, dunque lontane dai personalismi interpretativi della più recente prassi orchestrale, tutta tesa a riscattare le partiture dalla danza per cui sono state scritte). La prima affrontata da Zappalà è l’Après-midi d’un faune di Claude Debussy. È un assolo di Filippo Domini, giocato in uno spazio ristretto al centro di proscenio (per intensificarne l’intimità, le effusioni piene di calore, la presenza minuta eppure importante e seducente), ma tenuto in gioco da alcune figure mascherate che stanno immobili, per lo spazio. Il danzatore si avvicina e circonda circospetto la luce, prima di esserne catturato in un ruzzolone che produce una sorta di fioritura, poi ancora resistenza e scoperta in una progressiva eruzione di capriole e scivolate piene di un libero virtuosismo, fra scatti improvvisi e calcolati ritardi. Si celebra qui l’estrema promessa di autonomia nel restare appartati dal mondo. Ed è una vera gioia per gli occhi: Domini è per me danzatore dell’anno. Il suo danzare è un vero dono, tra velocità dei giri, il rapido controllo dello spazio, la piena consapevolezza dei suoi mezzi, la complessa sinuosità del movimento che può ingarbugliare di chi guarda i pensieri.
Col Boléro di Maurice Ravel si riparte con uno squadrone di 14 interpreti sotto alti mantelli e incappucciati, su importanti tacchi, che dal fondo in penombra si addossano al proscenio. È espressa citazione da Kubrick, ma qui all’inizio sembra un lento rito monacale, circolare e notturno, meditativo e pensoso. I volti sono maschere anonime, le disposizioni in linea si alternano senza velocità. Poi, una volta a proscenio, il nudo improvviso erompe dai mantelli, l’effetto è notevole, imprevisto, ma poi l’atmosfera apparentemente perturbante della danza a coppie che subito si crea diventa sobria e dimessa, come in una sorta di balera per nudisti, e che infatti non scandalizza proprio nessuno, ma invece getta un sentimento di sospensione dal tempo musicale che incalza ora pieno di malinconia. Qui l’intuizione più luminosa dell’intera serata, con il successivo denudamento di altre coppie, e di partecipazione al ballo di coppia, in concomitanza col montare della linea melodica del brano. È un sabba messo a nudo, la lingua dei nervi di Baudelaire, senza rimedio, «in una accorta commistione di satanico e celeste» (così Calasso presentava Mon cœr mis à nu). Al termine: il dubbio che tutto non sia mai avvenuto.
Quattordici corpi a terra, caduti chissà da dove: è l’avvio del Sacre du Printemps nella versione di Zappalà. Opera tutta corale, di continue invenzioni cinetiche, di progressivo risveglio dei corpi, forse in un nuovo Eden, che è però subito inferno e sacrificio, in un canone di fiamme. Qui danzatrici e danzatori sono restituiti a noi in tutta la loro forza collettiva: scatta allora l’occhio a riconoscere, ritrovare i volti noti, e scoprire quelli nuovi. Per esempio: due danzatori di recente ingresso in compagnia, Samuele Arisci e Thomas Sutton, non potrebbero essere più diversi; per altezza, per intensità della presenza, per energia e qualità del movimento… Eppure, qui stanno insieme benissimo, in una unità nella varietà che non è solo di natura estetica. Ma di comunità. Non si perdono di vista mai. E forse qui più che altrove, in questa rincorsa finale d’assieme si raggiunge l’estasi che informa il titolo intero di questa Trilogia.
Ancora del Sacre, ma è tempo di finale: questa enorme fastidiosa rete bianca, appesa in alto fin dall’inizio della serata, visibile sempre come fosse un inutile enfio cimelio di una scenografia chissà forse abbandonata, sulle note conclusive della partitura stravinskjiana cade finalmente su tutto l’ensemble che si è raccolto dimesso al centro del palco, sciogliendosi perfettamente nel significato della sua così persistente materialità. Davvero un’ultima incredibile idea riassuntiva: la cattura del rito, la pacificazione dei contrasti, una cultura dell’armonia come sospensione e caduta. Il bottino dell’imperfetto.
Stefano Tomassini
TRILOGIA DELL’ESTASI
Coreografo, regista, set e luci Roberto Zappalà
Danza e collaborazione Samuele Arisci, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Andrea Rachele Bruno, Corinne Cilia, Filippo Domini, Laura Finocchiaro, Anna Forzutti, William Mazzei, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Thomas Sutton, Alessandra Verona, Erik Zarcone
Costumi Roberto Zappalà in collaborazione con Veronica Cornacchini
Drammaturgia Nello Calabrò
Realizzazione costumi Majoca
Realizzazione scene Peroni S.p.a.
Goatmask Giada Russo Art Atelier
Direzione tecnica Sammy Torrisi
Tecnico luci David Garaffo
Assistenza tecnica Maka Dansoko, Muthoor Oma
Compagnia Zappalà Danza
Prossime date in calendario tournée
24 e 25 settembre 2024 |Teatro Elfo Puccini /Festival MilanOltre Milano
6/13 ottobre 2024 | Teatro Massimo Bellini /Stagione di Opere e Balletti Catania
12 novembre 2024 | Teatro Comunale, Bolzano
15 novembre 2024 | Teatro Rossini, Pesaro
16 febbraio 2025 | Teatro Municipale / Fondazione Teatri di Piacenza, Piacenza
19 febbraio 2025 | Teatro Ariosto /Fondazione I Teatri, Reggio Emilia
22/23 febbraio 2025 |Fondazione Ravenna Manifestazioni, Ravenna