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UNA GIORNATA FATALE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA (di E. Barba, L. Gleijeses e J. Varley)

Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24

Sul sito di Lorenzo Gleijeses, nella scheda dello spettacolo Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, leggiamo due generose testimonianze di Eugenio Barba e Giulia Varley, numi tutelari del ben noto, e certamente singolare per fisionomia, percorso artistico di Gleijeses. Nessuna concessione panegirica, ma la condivisione di tutte le perplessità e degli stalli nell’accompagnare un percorso frastagliatissimo. Impossibile inquadrare lo spettacolo in una fisiologia produttiva, nemmeno citando il famoso progetto 58° PARALLELO NORD, che dal 2015 al 2020 ne è stato incubatore, raccordando sentieri e sensibilità complesse quali quelle degli stessi Barba e Varley, Michele Di Stefano, Chiara Lagani, Luigi de Angelis e altri… Tentacolare? Certamente non meno della stessa esperienza di visione, che restituisce tutta l’evenemenzialità dell’atto creativo, fino alla domanda più larvale e destabilizzante: che senso ha questo stare in scena? La questione dell’identità e del dubbio dilagano nell’ombra sin dai primi movimenti, quando Lorenzo-Gregorio tituba sull’orlo di un fascio di luce, lasciando esordire a brani l’epifania del proprio corpo. Un corpo disciplinato e maniacale nel suo apparire prima ancora che nella partitura coreografica – è chiaro che Gleijeses nuota nel mare auto-fictionale mentre si annoda al cordone ombelicale della propria biografia da figlio d’arte, del suo rapporto con la figura-mito di Barba, della scelta professionale sospesa tra la comoda carreggiata del mestiere e il sentiero della “ricerca”. Sotto il filtro kafkiano, i 70’ minuti mettono in scena tutta la fatica di recidere quel cordone, insieme all’ambiguo piacere di lasciarsene nutrire, fatica che però si riversa sul pubblico. Una rappresentazione, dunque, la cui forza e raffinatezza drammaturgica (potenziate dai suggestivi disegni sonori e luminose di Mirto Baliani) restano imbrigliate dalla stessa autoevidenza della storia-viaggio che è il lungo lavoro a monte. Un sentiero che vale la pena risalire, ma di cui a pochi spettatori, forse, è comoda e chiara la traccia. Di tanto travaglio resta evidenza nel titolo, in quel “fatale” che sovrascrive “qualunque”, come l’amara nota a margine di un’ennesima incertezza. (Andrea Zangari)

Visto a Teatro India | regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley; con Lorenzo Gleijeses; musiche originali e partiture luminose Mirto Baliani; coreografia Michele Di Stefano; voci off Eugenio Barba, Geppy Gleijeses, Maria Alberta Navello, Julia Varley; movimenti di scena Manolo Muoio; consulenza drammaturgica Chiara Lagani; scene Roberto Crea; foto di Rebecca Lena; produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con Gitiesse Artisti Riuniti

Crediti completi

Cordelia, maggio 2024

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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