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Teatro di Roma 24/25. Va tutto bene, nonostante la realtà

La Fondazione Teatro di Roma ha presentato la stagione 2024/2025, la prima con la direzione artistica di Luca De Fusco. Alla conferenza stampa erano presenti Federico Mollicone (presidente Commissione cultura della Camera dei Deputati), Miguel Gotor (assessore alla cultura del Comune di Roma), Francesco Siciliano (presidente della Fondazione), Luca De Fusco (direttore della Fondazione), Simona Renata Baldassarre (assessora alla cultura della Regione Lazio).

Al Teatro di Roma va tutto bene. A cominciare dai rapporti tra il presidente Francesco Siciliano e il nuovo direttore Luca De Fusco: il presidente durante la conferenza stampa ha raccontato che qualche giorno dopo la nomina tanto contestata i due sono andati a pranzo insieme per risolvere la situazione. E ora dunque tutto è passato, compresa quella brutta pagina in cui Siciliano parlava di riunioni abusive e carbonare e di una nomina che escludeva la città di Roma. A quanto pare va tutto bene anche per Miguel Gotor, assessore comunale alla cultura che parlava di un “tentativo di occupazione da parte della destra di una fondamentale realtà del sistema culturale romano e italiano che denunciamo e a cui ci opporremo con tutte le nostre forze”. L’ira del PD romano – oltre a Gotor era diventato barricadero anche Gualtieri – durò qualche giorno, giusto il tempo di trovare un accordo al ribasso e cominciare a vendere alla cittadinanza la bella favola: con l’arrivo di un nuovo direttore generale i poteri saranno riequilibrati. Intanto siamo a fine maggio, quel direttore non è ancora arrivato e a Luca De Fusco sono state consegnate proprio le chiavi dell’ufficio più importante, quello della direzione artistica. Quando scrivevamo che il problema non era procedurale ma culturale lo facevamo proprio in vista di una stagione come quella che è stata presentata, nella quale è assente un progetto culturale per la città teatrale, dove i nomi dei grandi artisti devono fare da richiamo al pubblico e occupare una certa casella.

D’altronde se cominciamo dalla sala grande, quella del Teatro Argentina, qui l’unico pensiero è proprio per affermazione di De Fusco quello generalista: «L’obiettivo per il Teatro Argentina è quello di rafforzare la sua identità di luogo d’elezione per il “grande teatro”, ovvero un teatro capace di guardare da una parte agli artisti di più solida capacità e fama, e dall’altra ad un pubblico ampio, composito per età e formazione, per gusti e sensibilità, ma insieme appassionato a quest’arte che abbraccia sia i classici, sia testi più legati alla contemporaneità». Su tredici spettacoli al Teatro Argentina solo 2 sono le registe, una è Chiara Noschese alla regia di November – testo di David Mamet che «sembra essere scritto proprio per Luca Barbareschi» afferma De Fusco -, l’altra è Noa Wetheim, coreografa della Vertigo Dance Company (in scena con due spettacoli), una compagnia di danza israeliana che tra le altre cose gestisce il progetto Resilience Farm, in collaborazione con il ministero della difesa, attraverso il quale fornisce programmi di assistenza e recupero per i soldati israeliani, uno dei motivi per i quali la compagnia è stata recentemente contestata a Boston. Il cartellone dell’Argentina non brilla poi neanche per l’apertura ai giovani artisti: se si escludono gli eventi di Romaeuropa Festival (e il quarantenne Marcos Morau che dirige Notte Morricone, spettacolo di apertura con Aterballetto) i registi e registe hanno tutti abbondantemente superato i 55 anni e l’ossatura della programmazione è composta da uomini sessantenni. 

Quando abbiamo chiesto conto di questi disequilibri il direttore ha risposto in questo modo: «Con quale criterio è stato fatto il cartellone? Non con il criterio della lottizzazione, di metterci tot donne… quando la proposta la trovavo interessante la mettevo in cartellone. Credo che sia mortificante anche per una regista donna sapere che è stata presa non perché la proposta sia interessante ma perché donna. Io questo lo trovo aberrante. Questo non significa il contrario, che una proposta proveniente da una regista donna sia vista con meno stima». Di certo questi non sono problemi solo del Teatro Argentina, anzi il principale palco della nuova Fondazione Teatro di Roma è specchio della società tutta e del sistema teatrale, e a quanto pare per il nuovo direttore non è neanche un problema. Però più volte durante la conferenza stampa sia il direttore che il presidente hanno paragonato il teatro nazionale romano al Piccolo di Milano prefigurando una richiesta al Ministero di una sorta di statuto speciale come quello attualmente posseduto dall’istituzione fondata da Ninchi, Grassi e Strehler; ci si chiede però se De Fusco e Siciliano abbiano sfogliato la programmazione del Piccolo e le sue produzioni.

A India va un po’ meglio, cominciano ad apparire artisti quarantenni, qualche trentenne, segnaliamo il ritorno di Biancofango, Mutaimago, Tommaso Capodanno, Teatrodilina, Claudio Tolcachir, Liv Ferracchiati, Leonardo Lidi, Arturo Cirillo, le registe donne sono poche anche qui ma almeno emerge una certa varietà generazionale e linguistica. Curioso il fatto che proprio a India manchi totalmente la danza e le espressioni del corpo in generale, quando è stato proprio De Fusco a lamentare il fatto che la danza non abbia luoghi dove esprimersi. Su India il direttore ha specificato che questa programmazione tiene conto dell’indisponibilità del Valle, spazio che una volta aperto sarà interamente dedicato alla drammaturgia contemporanea. Emilia Costantini del Corriere su questo ha chiesto una precisazione all’assessore Gotor per avere un’idea circa la data di apertura; Gotor, come si direbbe nel calcio, ha fatto melina: ricordiamo che a marzo del 2023 il Teatro di Roma convocò una conferenza stampa in cui si parlava di 18 mesi. Ora l’assessore nega quella data e la forbice temporale per la riapertura (tra l’autunno del 24 e l’inizio del 25), si appella alla complessità dei lavori (la necessità di spostare un bagno per i disabili che nel progetto originario era nel foyer, la necessità di un particolare sistema di impianto antincendio) e rilancia al giugno del 2025.

Un momento della protesta delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo riuniti in assemblea dalla fine di gennaio (qui il video)

Ma la questione più evidente, come dicevamo, è l’assenza di un progetto culturale, la scarna presentazione consegnata ai giornalisti parla di generi e settori – grande teatro, drammaturgia contemporanea, danza, sperimentazione dei nuovi linguaggi – senza calarsi all’interno di un discorso estetico o tematico più ampio. Si parla di due filoni, uno dedicato al drammaturgo Annibale Ruccello (Le 5 rose di Jennifer, regia di Geppy Gleijeses, Anna Cappelli, regia di Claudio Tolcachir e Ferdinando, regia di Arturo Cirillo) e un altro genericamente dedicato alla «cultura ebraica e insieme sulla tragedia dell’antisemitismo» con La banalità dell’amore di Savyon Liebrecht con l’adattamento e la regia di Piero Maccarinelli, A torto o a ragione, di Ronald Harwood per la regia di Giovanni Anfuso e Il Golem di Mayorga per la regia di Jacopo Gassmann.», queste due righe forse sono un po’ poco per un tema così ampio e complesso.

Un teatro nazionale è però anche ciò che produce. Su cosa investe dunque la direzione artistica di De Fusco? Le nuove produzioni più importanti vedranno un Re Lear diretto da Gabriele Lavia, Guerra e pace con la regia di Luca De Fusco, Il ritorno a casa di Pinter messo in scena da Massimo Popolizio, il già citato Notte Morricone di Morau in collaborazione con Romaeuropa e November di David Mamet con la regia di Chiara Noschese. Quest’ultimo è un progetto di Luca Barbareschi prodotto dal teatro nazionale di Roma insieme a una nuova casa di produzione fondata dall’attore che figurerà come protagonista, la Cucuncia Entertainment s.r.l. e l’operazione non può che far emergere dei dubbi quanto meno sull’opportunità etica (li solleva anche Rodolfo Di Giammarco oggi su Repubblica) di produrre uno spettacolo a Barbareschi dopo i suoi trascorsi all’Eliseo, dopo il fallimento di quel progetto che portò addirittura il Ministero a chiedere la restituzione di 847 mila euro di contributi.

Eppure sembra che vada tutto bene, si parla di rilancio, Il Messaggero ha titolato “Un nuovo inizio: sui palchi storici ritornano le star”, come a dire che senza Lavia, Servillo, Orsini, Branciaroli, Popolizio… non si può comporre la stagione di un grande teatro. Neanche la protesta delle artiste e degli artisti dell’assemblea “vogliamo tutt’altro” (sono saliti sul palco e hanno letto un comunicato) sembra spostare il direttore dalla sua apparente tranquillità e alle domande sulle inchieste di Fanpage (relative alle accuse di mobbing e molestie) e sul precariato risponde sbrigativamente che la sua è una posizione garantista (ma proprio l’assemblea nel suo intervento ha spiegato che il Teatro di Roma ha ricevuto una diffida e che non si è mosso per tentare di risolvere la situazione) e che già al Teatro Stabile di Napoli lavorò per regolarizzare un gran numero di precari e cercherà dunque di farlo anche qui. Sulla stabilizzazione del lavoro il direttore ha poi chiosato, con un’ironia classista – dall’alto della sua carica quinquennale da 150 mila euro a stagione (più le regie) –  che gli è costata un momento di buu dalla platea e che ben rappresenta la lontananza di questa gestione dal mondo reale del teatro e dal presente in cui viviamo: «Noi teatranti siamo sempre precari. Gli scritturati sono precari». Buio.

Andrea Pocosgnich

scarica i pdf con la stagione 2024/2025:

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. Vedo che il Vannacci- pensiero è diventato pratica comune.
    Noi abbiamo sempre fatto teatro in luoghi altri e per ogni pubblico, ma forse è il caso di far tornare il teatro dove non lo si vede da tempi immemori e di proporre ai più giovani di farlo ancora comunque, a lungo, forse sempre, senza aspettarsi niente, ma continuano a chiedere tutto.

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