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RUA DA SAUDADE (coreografia di Adriano Bolognino)

Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24

La riflessione di Adriano Bolognino sul sentimento affermativo della nostalgia per eccellenza più indefinibile e inappropriabile, è una composizione fatta tutta a contrasto. In Rua da Saudade visto tra il molto pubblico della sala grande del Comunale di Vicenza (così si sostengono i giovani artisti!), l’idea funziona benissimo: perché per il coreografo campano non si tratta tanto di un sentimento, ma invece di un improvviso momentaneo abisso, come l’inciampo in una caduta, l’ossessiva ripetizione in un gesto di scaramanzia, l’immobilità in uno stupore che resiste, l’anticipazione apotropaica nel nero, tutto per scongiurare il buio. La ricerca di una difficilissima armonia. Espressamente ispirato alla «poetica di Fernando Pessoa e la sua grande creazione estetica: l’invenzione degli eteronimi» (non personaggi ma parti di personalità, segmenti di soggettività inesplosi), qui Bolognino dimostra una maturità piena di curiosità e di sapienza, in cerca di libertà. Quattro danzatrici di diverso-colore-vestite: Rosaria Di Maro, Noemi Caricchia, Sofia Galvan e Roberta Fanzini, dànno così vita ad altrettante forme dell’inquietudine in traccia del proprio fantasma. Se la maggior parte dei pezzi musicali sono lirici, anche di un minimalismo gentile, fino al Satie più riconoscibile e d’atmosfera, la danza all’opposto è invece costruita per schemi, ed è prevalentemente geometrica, la gestica quasi sempre scattosa a volte pure rigida, con il baricentro basso in un andirivieni di veloci ripartenze (che piacerebbero senz’altro ad Arrigo Sacchi). Il disegno luci azzeccatissimo è di Gianni Straropoli: non le avverti, tutto sembra immobile sotto una luce quadrata che invece detta le situazioni proprio solo quando serve. Vi è anche una lunga parte in silenzio, che è una difficile eppure necessaria, tensiva transizione: il desiderio che si fa largo tra le tenebre. Bolognino ha una incredibile capacità di invenzione, con una decisa preferenza per ben orchestrati assieme, un sincrono ossessivo che è collante ma al momento giusto spezzato in singolarità quasi sempre danzate però tra mille spigoli, e mille pieghe. Figure della mente di una vita in potenza. (Stefano Tomassini)

Visto al Teatro Comunale di Vicenza, coreografia Adriano Bolognino, danzatrici Rosaria di Maro, Noemi Caricchia, Sofia Galvan e Roberta Fanzini, luci Gianni Staropoli, costumi Tns Brand, dramaturg Gregor Acuña-Pohl, testi a cura di Rosa Coppola, produzione Torinodanza Festival/Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione I Teatri Reggio Emilia\Festival Aperto, Orsolina28, Cornelia.

Cordelia, maggio 2024

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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