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IL RIFORMATORE DEL MONDO (di Thomas Bernhard, regia Leonardo Capuano)

Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24

Un testo, anche un grande testo, non esiste se non in scena. E per questo ci vogliono gli attori, meglio quando sono grandi attori. Anche se il testo è Il riformatore del mondo di Thomas Bernhard. Perché senza la fragile, puerile tracotanza di Leonardo Capuano, qui anche regista, o la minuta cura dai gesti antichi di Renata Palminiello, di un’intensità scultorea, quel testo non sarebbe stato lo stesso, sarebbe rimasto pagina appena detta, non vissuta appieno come invece quella sera al Teatro Fabbricone. L’uomo entra nel buio, la sua veste bianca è bagnata di luce (da Gianni Staropoli) mentre dondola come un acrobata sugli anelli; ma se questo è un prologo, nella vicenda sconta un’immobilità, o almeno così sembra pur dando l’impressione che non muoversi sia una scelta, o un vezzo, più che una necessità; è lui il Riformatore che presto, quella stessa sera, riceverà il maggior onore: la laurea honoris causa, merito del suo magnifico testo, appunto, per riformare il mondo. La donna è serva e amante, mai moglie, il suo corpo sembra non essere corpo ma si muove con una qualità da strip comica, tratteggia la scena avvicinando lati e angoli con le sue azioni, gestisce la relazione del Riformatore con lo spazio intorno – tre cassapanche perimetrali sotto i grossi finestroni, un lampadario antico appeso in alto, una poltrona enorme e un’altra, piccola – dà l’impressione di seguire le sue indicazioni e invece le determina con una sapienza che appare svagata ma non è. Il legame tra i due, molto simile a quello che Samuel Beckett definì tra Ham e Clov nel suo Finale di partita, ha un presente ma, allo stesso tempo, ha un evidente passato: c’è un’usata consuetudine tra i due, si nota dai gesti semplici con cui lei si tocca l’abito, con cui porta degli oggetti in scena, si nota dalla dolce canaglieria in cui lui scioglie la sua apparente misantropia. “Chi soffre non è tenuto a rispettare l’etichetta”, dirà questo re di un regno perduto, diseredato in un tempo precedente, che ha bisogno, per sopravvivere, che il suo regno sia narrato, signore di un dolore mascherato. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Fabbricone. Crediti: di Thomas Bernhard; traduzione Roberto Menin; regia Leonardo Capuano; con Leonardo Capuano, Renata Palminiello; con le voci di Andrea Bartolomeo, Andrea Macaluso e Mariano Nieddu; aiuto regia Andrea Bartolomeo; assistente ai movimenti di scena Paola Corsi; sound designer Francesco Giubasso; scene e costumi Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano e Renata Palminiello; light designer Gianni Staropoli

Cordelia, maggio 2024

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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