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I vecchi e i giovani. Piazza direttore dello Stabile catanese

Alle dimissioni di De Fusco dalla direzione dello Stabile di Catania, segue la nomina di Graziano Piazza. Intanto nel capoluogo si sono organizzate delle forze indipendenti che avanzano nuove istanze.

Foto da teatrostabilecatania.it

Spesso scrivere di fatti ed eventi dalla Sicilia costringe a una visione duplice. Da un lato, si ha la sensazione di occuparsi di cose poste all’interno dei confini nazionali; dall’altro, sembra di muoversi all’interno di un territorio che ne è completamente escluso. La vita sull’isola sembra sempre sottoposta a nuovi sommovimenti rivolti al futuro e a una catalessi in grado di incorporarli sistematicamente. Guardiamo al nuovo con disincanto, come nella fatale e oziosa convinzione che in fondo gli entusiasmi siano comunque mal posti. Eppure vale sempre la pena fissare lo sguardo su quanto, nonostante tutto, sembra avanzare in una nuova direzione.

Foto da www.teatrostabilecatania.it

A volte i fatti nazionali si ripercuotono, a cascata, anche in questo spicchio di Mediterraneo. La complicata nomina di De Fusco alla direzione generale del Teatro di Roma ha avuto tra le sue conseguenze, tra l’altro, un mutamento degli equilibri (presunti) a Catania, del cui Stabile De Fusco era appunto direttore artistico dal 2021, anno in cui era subentrato a Laura Sicignano. Così delineava il proprio indirizzo: «La letteratura siciliana […] è una mia grande passione e non a caso Pirandello è l’autore che con più assiduità ho messo in scena. Penso si debba quindi ripartire dal dna di questo glorioso teatro, dai suoi Pirandello, Brancati ma anche dai grandi romanzi siciliani adattati a teatro e diffondere la letteratura siciliana in Italia e all’estero». Questo punto di vista è problematico per una vasta serie di motivi. Da un lato, esso dimostra la voluta indifferenza (se non la deliberata ignoranza) di quanto adesso sia cultura siciliana, viva e attuale, a spese degli interessanti autori e artisti locali la cui colpa è anzitutto quella di respirare ancora. Dall’altro, non distingue tra letteratura e letterarietà, che stronca in genere la possibilità di un sguardo contestuale nel guardare sia agli autori citati, sia al nostro tempo attraverso di essi. Con un’ulteriore conseguenza, in Sicilia: il perpetuarsi di narrazioni e prassi artistiche superate e stereotipizzanti – parola che non si rimarcherà mai abbastanza. Nei cartelloni dei capoluoghi oltre Palermo e Catania, una tale impostazione ha effetti disastrosi, con l’apertura a forme di stampo addirittura amatoriale.

Nei momenti successivi alle dimissioni di De Fusco si è costituita un’assemblea di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo. Come risulta dalla lettera aperta indirizzata alla presidente Rita Gari Cinquegrana, l’assemblea ha avanzato con chiarezza alcune istanze, tra le quali: la pubblicazione del testo del bando e dei nominativi di tutti/e i candidati/e per la carica di direttore o direttrice, nonché di quelli di quanti avrebbero fatto parte della commissione che si sarebbe occupata della valutazione dei curricula. Ma anche «La convocazione di un’assemblea pubblica […] in cui una rappresentanza del CdA illustri il progetto culturale pensato per il teatro, le linee guida per la ricerca del profilo più adatto alla guida di tale progetto e i criteri che intende applicare durante il processo di selezione». Tra le altre richieste: la riapertura di una scuola di recitazione, l’apertura a forme performative come la danza, il sostegno alle realtà indipendenti del territorio. Ci spiegava Claudio Zappalà della compagnia Barbe a Papà, tra le realtà promotrici del comitato: «Un teatro stabile ha il dovere di creare una relazione con quanto avviene intorno. È necessario sostenere realtà parallele e indipendenti e tutti gli altri linguaggi oltre la prosa», e aggiungeva: «non capiamo perché di questo bando non se ne parli. Non risulta neppure pubblicato sul sito istituzionale. Ma ci interesserebbe sapere quali sono le idee di programmazione del CdA, o se oppure l’idea è di non andare oltre una programmazione a singhiozzo che non può definirsi “progettualità”». Da marzo ad ora, risulta che il comitato non abbia ricevuto risposta.

Graziano Piazza – Foto da www.teatrostabilecatania.it

Durante il periodo di vacanza sono stati fatti diversi nomi. Tra gli altri: quello di Giovanni Anfuso, proposto dal Comune, di Guglielmo Ferro, di Orazio Torrisi, già direttore del Teatro Brancati; ma anche quello di Francesco Bellomo, già direttore artistico del Teatro Pirandello di Agrigento. Certo non una rosa di soggetti votati a indirizzi innovativi. Inoltre, in un articolo di Maria Elena Quaiotti, su freepressonline.it, si richiede senza troppe vie di mezzo: “Fuori la politica dal Teatro Stabile”. Infine, la scelta (abbastanza imprevista) è ricaduta sull’attore e regista Graziano Piazza, alla sua prima esperienza in tal senso. Lo raggiungiamo al telefono. Si dice «felice e onorato. Per me la nomina rappresenta l’occasione per tornare a una radice che mi appartiene» – il riferimento è alle origini siciliane della sua famiglia. «Per questo ho deciso di partecipare al bando. In quarant’anni avrei potuto intraprendere senz’altro attività di direzione. Ma qui il fatto di aver presentato domanda ha ragioni più profonde. Qui sento che il teatro deve trovare una ri-appartenenza». Se per la prossima stagione la programmazione non può che essere quella prevista dal piano triennale già avanzato da De Fusco, Piazza intende concentrarsi sulle possibilità offerta dalla Sala Futura dello stesso Stabile, destinata alla ricerca, con un piano di attività “collaterali”, per un teatro «che non rimanga chiuso, ma che si apra anche al Mediterraneo e dunque alla posizione della Sicilia nel Mediterraneo». Questo è senz’altro un bene: forse l’Isola appare più comprensibile se la sua cultura viene inquadrata in tale dimensione, piuttosto che in un’esclusiva ottica italiana o europea. Per quanto riguarda poi l’aspetto della formazione: «Certamente rifondare la scuola è tra i miei obiettivi, ma devono esserci le risorse. Dirò di più: non penso soltanto a una scuola per attori, ma proprio a una scuola delle arti e dei mestieri per operatori. Bisogna consentire la crescita di una civiltà del teatro, e lo dico da uomo di teatro».

Ci è sembrato che esperienza di vita e visione direzionale si confondano appena, nelle parole di Piazza, e non è necessariamente un male. Piazza continua, insistendo sull’aspetto identitario: «Il teatro deve ri-appartenere a Catania. Questo è un teatro pubblico e deve essere un’istituzione per i cittadini, per il territorio. È necessario ristabilire un rapporto col territorio». E come? «Attraverso la tradizione. L’innovazione è già nella tradizione, nel segno di codici e scritture siciliane in grado di veicolare nuovi concetti di contemporaneità». Rispetto al rischio di promuovere una narrazione stereotipata dell’Isola, Piazza assicura che si guarda bene dal fornire “immagini oleografiche” e parla piuttosto di una «continuità della diversità», ribandendo tuttavia di non volere “rotture”. Proprio questo è tra i punti nevralgici della questione; non a caso il comitato si è espresso a più riprese sull’esigenza di una visione che inglobi anche la contemporaneità: «Ne sono venuto a conoscenza dopo la nomina. Questa è la mia posizione: voglio essere un uomo di dialogo e apertura. Gli attriti servono a poco, mantengono uno stato di bisogno. Non ho una storia legata a fazioni, io guardo solo al merito. È una grande occasione. Siamo tutti artisti, siamo allo stesso modo al servizio di un’idea».

Foto di Antonio Parrinello

D’altronde, anche il comitato catanese è interessato anzitutto al dialogo; a differenza di quanto è avvenuto a Roma, l’intento è quello di discutere senza alzare i toni. Crediamo che davvero dall’incontro tra questi due poli possa nascere una bella novità, e ci auspichiamo che il confronto possa avvenire al più presto e in modo fruttuoso. Ma deve essere una novità, e nuove devono essere le forme di questo incontro tra la tradizione e il contemporaneo, il cui rapporto è in fondo uno tra i temi più presenti nel dibattito insulare, anche al di là della scena. Concludiamo con un’immagine che Piazza ci teneva proprio a raccontare, al termine del nostro dialogo: «C’è una peculiarità a Catania: questo è un luogo che vive l’energia di uno dei più grandi vulcani del mondo. Energia di attrito, come magma che può essere micidiale e violento, ma che è anche dentro di noi e allora può essere ricchezza». Ricordiamo che la natura, da queste parti, non perdona; e l’energia, se non adeguatamente convogliata, consuma e si consuma.

Tiziana Bonsignore

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