Hangar Teatri di Trieste ha organizzato l’edizione zero di Come pesci volanti – Festival di teatro emergente. Una riflessione
Hangar Teatri è il nome di battesimo dato nel 2017 all’ex carrozzeria che sorge in via Pecenco – quartiere popolare e geograficamente centrale di Trieste ma socialmente decentrato rispetto al centro turistico – quando l’associazione di promozione sociale Teatro degli Sterpi APS e il CUT (Centro Universitario Teatrale) hanno dato vita a questo fondamentale presidio culturale e formativo per il capoluogo friulano, che per l’avvio d’impresa ha potuto contare sui fondi operativi del POR FESR 2014-2020. La lontananza di Hangar Teatri rispetto alla geografia teatrale nazionale è un dato di fatto: chi si sposta dalle principali città del centro nord deve considerare più cambi treno, e/o pullman, comprendenti una finale e lunga tratta, panoramica però, tra Venezia e Trieste. Tuttavia la lontananza non è affatto sinonimo di distanza, al contrario, lo sforzo del collettivo di nove persone fisse alla direzione insieme a diversi collaboratori e collaboratrici è tale che non solo Hangar Teatri è diventato un luogo di prossimità sul territorio d’appartenenza, ma ha saputo avvicinarsi anche alle restanti regioni culturali, intercettandone le compagnie e creando un vero e proprio luogo di scambio culturale in un quartiere di Trieste chiamato, non è un caso, frazione Mondo Nuovo.
Conosciuti per la prima volta lo scorso anno in occasione del debutto romano dello spettacolo María da loro prodotto, per la regia e adattamento di Elena Delithanassis con Marco Palazzoni e Ilaria Santostefano (che sono anche nella direzione di Hangar Teatri) abbiamo colto l’invito a partecipare all’edizione zero di Come pesci volanti – Festival di teatro emergente che, come espresso nel titolo, «vuole infatti rendere omaggio a tutte le compagnie che con fatica e tenacia si immergono ogni giorno nelle sale prove, nuotando tra difficoltà tecniche e organizzative, per riuscire poi ad emergere con le proprie creazioni». La rassegna, realizzata nell’ambito del progetto Cantiere Cultura del Centro Universitario Teatrale di Trieste e finanziata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, è solo una delle iniziative multidisciplinari portate avanti da Hangar Teatri, inserite coerentemente in un’azione a più livelli che va a impattare su aree tematiche riguardanti la creazione artistica, l’inclusione delle diverse comunità, la rigenerazione urbana, le reti che dal locale si estendono alla sfera nazionale e internazionale.
Dal teatro alla musica, passando per la danza e la poesia, e poi corsi di teatro dai 3 anni fino a quelli avanzati per gli adulti, corsi di voce e public speaking e di yoga, quindi saggi, ma anche concerti e cinema. Queste e altre «le eliche» che definiscono la funzione assolta da Hangar Teatri considerata innanzitutto un servizio alla cittadinanza da parte dell’assessorato alla cultura del comune triestino, e la quale negli ultimi anni sta dialogando anche competitivamente con gli altri luoghi teatrali del capoluogo.
Come pesci volanti è già un azzardo nel nome perché non univoco e contenente una similitudine, ciononostante incuriosisce, è immaginativo e fantasioso. Rispettando l’offerta culturale di molti festival, anche in questo caso al cartellone di spettacoli si aggiungono due masterclass, la prima di danza contemporanea curata da Pablo Girolami, coreografo e direttore artistico della compagnia IVONA, e la seconda di scrittura teatrale a cura di Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani, che in un incontro tenuto dal giornalista Roberto Canavesi hanno presentato il loro ultimo testo Legami edito da Editoria & Spettacolo. Dall’organizzazione è stato richiesto espressamente alle compagnie e agli ospiti coinvolti di provare a essere presenti in tutti e tre i giorni, partecipando reciprocamente tanto alla visione degli spettacoli che alle due masterclass affinché si potesse fruire insieme della programmazione e darne una restituzione condivisa, volta a comprendere punti di forza e debolezze. Approccio niente affatto banale, tantomeno scontato, che comporta un investimento notevole di risorse, tempo e economie.
Già gli spettacoli del primo giorno sembrano gettare le basi di una proposta artistica che accende l’attenzione su temi caldi della contemporaneità collocandosi nel presente con due scritture molto diverse tra loro. Ersiliadanza porta in scena Chameleons, progetto e coreografia di Laura Corradi insieme ai danzatori Midori Watanabe, Gessica Perusi, Alberto Munarin e Tommaso Cera; e poi Fragileresistente de Il turno di notte, drammaturgia originale di Silvia Pallotti e Tommaso Russi. Nel primo lavoro è centrale, ma davvero troppo vasto, il tema del cambiamento e come questo coinvolga, modifichi, subordini l’essere umano a una serie di ordini, relazioni, schemi rispetto ai quali l’ensemble tenta un percorso di convivenza. Attraverso partiture fluide di modern dance, linguaggio che tuttavia meriterebbe una maggiore pulizia nell’esecuzione, il progetto inizia bene per poi confondersi in un’abbondanza di segni e temi, dalla guerra all’inclusione di genere, alle relazioni interpersonali, rappresentati con poca nettezza e con l’inserimento poco chiaro di alcune battute pronunciate in tre lingue diverse. Anche in fragileresistente la posta in gioco è molto alta. Il tema intergenerazionale è affrontato attraverso le attitudini esistenziali di un ragazzo e di una ragazza che investigano la relazione con un padre assente, incapace di comprendere l’immobilismo che caratterizza questo tempo. La drammaturgia all’inizio è molto precisa nelle prime scene, è all’insegna dell’invettiva – interessante la scelta del 25 aprile come spartiacque ideologico e sociologico – ed è sapiente nel gusto registico e matura nella scelta degli oggetti scenici, il divano e la ghiaia, e degli effetti visivi che questi creano. Purtroppo però, la scrittura vira poi verso una rassegnazione d’animo dei due protagonisti che decade nella retorica del tragico e rischia di essere sepolta dall’inerzia, facendo perdere il bersaglio che all’inizio sembrava invece molto chiaro.
Prosegue con coerenza tematica la selezione degli spettacoli anche per il secondo giorno, con Preferisco il rumore del mare di Balt Collettivo che propone una riflessione acuta senza velleità moralizzatrici sul capitalismo calandola in un assurdo beckettiano “a due livelli”. Sul primo livello della narrazione, in una Londra grigia e bagnata dalla pioggia, un lavoratore uomo (Alessandro Balestrieri) e una disoccupata donna (Elonora Paris) si incrociano incidentalmente. Nel secondo livello invece, due enti (sempre Balestrieri e Paris) in impermeabile lungo percorrono a testa china i lati di una forma quadrata tracciata a terra con il timore di avvicinarsi al centro. L’essenzialità di un canto, di un sorriso, di avvicinarsi e guardarsi negli occhi diventano semplici ma eclatanti gesti di riappropriazione e di libertà. Prodotto da Gommalacca Teatro, scritto da Dino Lopardo con Mario Russo e Alfredo Tortorelli, Affogo (Finalista al Premio Inbox 2024) è un «monologo polifonico» che fa parte della Trilogia dell’odio Affogo Rigetto Cesso – la morte si conquista giocando. È uno spettacolo di formazione che, grazie all’interpretazione di un attore versatile e poliedrico (Mario Russo), biomeccanico per qualità attorale e autoriale e prestanza fisica, indaga i temi della «solitudine, del genere, dei rapporti familiari, della società corrotta e del bullismo» sorretto da un’accurata regia, scrupolosa nel dare senso agli stratificati elementi sia scenici che testuali, e nel far dialogare la presenza di Russo con l’assenza simbolica del fratello (Tortorelli). Due i luoghi del ricordo: una vasca da bagno della casa dei maligni zii di Nicholas, il protagonista, e poi la piscina comunale. Un interno casalingo quindi e un esterno comunitario sono i due poli attorno ai quali si costruisce – con quadri scenici ambiziosi e affascinanti che aggiungono al grottesco una screziatura pulp – un’attenzione socio antropologica che tocca sensibili altezze poetiche e provoca, anche, il riso, incentrata sulla tossicità delle relazioni, sulle storture dei legami filiali, sul confine labilissimo tra vittima e carnefice perché entrambi figli, e nipoti, di una cultura della violenza che ferisce, arrabbia, imprigiona.
Nel cartellone dell’edizione zero di Come pesci volanti la componente tematica dei progetti scelti, di quelli che abbiamo avuto la possibilità di vedere, possiede un segno distintivo e, per gli argomenti affrontati, si presenta già di per sé come facente parte dell’attualità, tanto per il contenuto che per la forma. E proprio sulla forma, che in alcuni degli spettacoli è risultata spesso confusa, poco a fuoco o sovraccarica di un eccesso di riferimenti, si potrebbe lavorare con dei momenti di discussione al termine degli spettacoli che potrebbero mettere in comunicazione diretta il pubblico, le compagnie e gli operatori. Il teatro emergente è una categoria che rischia di comprendere progetti e autorialità che restano “in emersione” per molto, troppo, tempo, quando in realtà sono anni che lavorano, sperimentano, ricercano, investono. E non per causa loro, non solo e non sempre per demeriti artistici ma per via della situazione asistemica delle politiche culturali, della mancanza di una rete di accoglienza e di investimento, dell’impasse della distribuzione e della mancanza di certezze da parte dei finanziamenti pubblici. Per tale ragione, quando si organizzano festival e/o reti di supporto al teatro emergente è sempre un atto di coraggio e di investimento propositivo, in virtù del quale la responsabilità aumenta, l’aspettativa anche, e non è mai semplice riuscire poi a sostenere effettivamente quell’emersione per darle respiro, progettualità e futuro. Tuttavia, l’edizione zero è un bel numero: non è ancora niente ma può essere tutto.
Lucia Medri