Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24
«Isn’t necessarily a black play, it’s purely a relationship between these two women», così sul The Guardian. Bronx Gothic è una performance in assolo, scritta e interpretata da Okwui Okpokwasili nel 2014 (oggi anche documentario), ora ripresa in scena da una incredibile interprete, Wanjiru Kamuyu. Vista al Festival FOG della Triennale di Milano, è la storia di come due vite contrastano in una: evoca ricordi difficili dell’infanzia, spesso di natura biografia; la perdita dell’innocenza nel racconto di personaggi che sono però inventati. Attorno a pareti bianche circondate a terra da lampade riverse fra cocci e terriccio, una figura di spalle accoglie il pubblico in un nervoso e inquieto twerking, un prolungato tremore che si espande progressivamente come un terremoto capace di mandare in pezzi il corpo: pancia, dita, piedi, occhi e bocca. Respiro affannato e sudore: è tutto quanto sappiamo nei primi trenta minuti di questa performance. Un corpo si disfa, e finalmente si libera al racconto, alla spiegazione, ora necessaria. Segue la lettura ‘a due voci’ di appunti raccolti a terra, scambiati tra due giovanissime ragazze, appena adolescenti. Sono lettere (da qui il titolo: l’epistolario è genere letterario di molti romanzi gotici) esplicite, cupe, raccontano di corpi iniziati alla sessualità con violenza e predazione, degli apprezzamenti non richiesti, delle aggressioni verbali razziste (Okpokwasili, figlia di immigrati nigeriani, è cresciuta nel Bronx), e dei tentativi di dare senso all’orrore per restare a occhi aperti, per tenere in piedi il proprio mondo. Il corpo in scena di Wanjiru Kamuyu, gli occhi fissati sul pubblico in una denuncia uno-ad-uno, in fondo racconta dell’età dell’abisso che attende la crescita di queste due donne in corpi neri. Con una grande fiducia però nella forza delle parole, come una possibile catarsi del mondo interiore attraverso la scrittura. La cui retorica comunque non può che essere di grande pretesa emotiva, come una ricaduta che esige, e quasi pretende a forza, nel cambio di narrazione, empatia e visibilità. (Stefano Tomassini)
Visto alla Triennale di Milano, scrittura e performance originale: Okwui Okpokwasili, regia, scenografie e light design: Peter Born, interpretato da: Wanjiru Kamuyu, canzoni originali: Okwui Okpokwasili con musica di Peter Born e Okwui Okpokwasili, produzione: Sweat Variant.