Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 24
Capita spesso, anche ai più smaliziati in ambito tech, che nel turbinio quotidiano di release di prodotti e servizi ci si trovi spiazzati di fronte alla crescita apparentemente illimitata del potenziale di nuovi strumenti e linguaggi. Ogni slittamento imposto da un “progresso” genera un nuovo passato, più netto e concreto del futuro stesso. È possibile che questo strapparsi del tempo ci restituisca parziale nozione di tutte quante le altre faglie, di quello stesso limbo di chi è stato, in altri tempi, spinto fuori dal proprio presente. Nel 1916, Eleonora Duse recitò nell’unico film della sua carriera, Cenere, tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda. La presenza della divina scorre sullo schermo accompagnato da uno strano senso di estraneità al mezzo: un’enfasi certamente teatrale, ma anche, all’opposto, un’asciuttezza naturale antitetica al vago espressionismo di Febo Mari, già divo del cinema muto, regista e attore nei panni del protagonista del film. Immersa nel tempo, fuori dal tempo, dis-misura dello iato tra due linguaggi, quella prova di curiosità diventa un atto paradossale di autonegazione. Non troverete nulla di me in questo film, chioserà Duse nelle lettere cui Fiorenza Menni presta la sua consueta formidabile voce, doppiando i gesti e i movimenti privi di parola della pellicola. La performance gioca con la forma del cineconcerto: lo schermo sul fondale, Menni e, al suo fianco, Luca Maria Baldini al dj set, in uno straziante atto sinestetico che trasferisce il senso dall’immagine al suono, parole e musica, come per rendere assente l’immagine – che forse per questo è trasfigurata in sostanza emozionale dal recoloring dell’originale con filtri a dominante prima blu, poi gialla e poi rossa. L’impronta drammaturgica mima sapientemente la volontà di autosottrazione della Duse ad ogni livello: la presenza vocale e corporea di Menni è sempre discreta e misurata; il toccante tappeto musicale di Baldini commenta nitidamente il film senza mai occupare il centro della scena. A lunghi tratti, il girato sul fondale mostra le smagliature della pellicola lungo l’asse centrale, come un fuoco che mangia la figura di Duse. Resta quell’assenza al centro di tutto. (Andrea Zangari)
Visto all’Angelo Mai voce Fiorenza Menni; musiche originali e sonorizzazione dal vivo Luca Maria Baldini; ideazione e regia Cosimo Terlizzi ; prodotto da Ateliersi, Luca Maria Baldini, Cosimo Terlizzicon il sostegno di Asolo Musica e Asolo Art Film Festival in collaborazione con Agorà