Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 24
Nella prefazione ai Masnadieri (1781), lo stesso Schiller confessa di aver inzeppato il dramma di sottotrame per riuscire a «illustrare le passioni e i pensieri». Passioni, ancor più che pensieri, sono il catalizzatore di quella che sarebbe stata la scuola romantica, idee con cui, pochi anni prima, nella Drammaturgia d’Amburgo, Lessing aveva impastato l’identità culturale tedesca, contro il teatro di corte di Corneille e Voltaire e cantando la tragedia elisabettiana, la farsa di Molière e l’illuminismo acre di Diderot. Uno stesso progetto di metodo propone, con i consueti slittamenti da personaggio ad attore, il regista Michele Sinisi, autore di un adattamento sfrenato, urlante e complesso per il Gruppo della Creta in lunga tenitura romana all’agguerrito Teatro Basilica. Sì, perché tra gli archi di mattoncini di pietra che incorniciano lo spazio scenico nudo, al suono della sontuosa ouverture dell’opera di Giuseppe Verdi mandata da uno smartphone, il ribelle Karl Moor si presenta innanzitutto con nome e cognome dell’interprete e così faranno tutti gli altri, spezzando il racconto con note autobiografiche e un sunto rapido della funzione del proprio personaggio. Facendo persino ripetere un’intera scena senza neppure sottolinearlo, tornano gli spettri che abitano il ragionamento scenico di Sinisi: i limiti del dispositivo di finzione e però la potenza liturgica della creazione d’attore. Quasi un grimorio di formule da sturm un drang, I Masnadieri è una concitata storia di pirati in cui un rinnegato rampollo della nobiltà ducale, osteggiato dalle luciferine trame del fratello, guida una masnada di violenti guasconi a scatenare un caos assoluto che possa salvare lo «spirito tedesco» dalla cancrena benpensante. Certi tramutati in azione, altri epicamente narrati, dell’intricato ordito restano qui quasi tutti i fili: elevate al massimo volume non sono solo grida all’assalto, ma anche confessioni d’amore e ultime parole al capezzale; se la pantomima è la chiave per un rituale finale, in tono piano sono i monologhi speculativi, che danno mostra di un sottile pensiero politico, in grado di interrogare i concetti di merito e redenzione, in un mondo di maschi alfa che non s’accorge di sacrificarsi a insensati altarini, smarrendo la grana umana. La cifra usata è quella dello sberleffo che si prende gioco delle convenzioni; eppure, ancora una volta, Sinisi non si ferma qui: nudi cambi luce, una pioggia di lattine calpestate, pochi elementi di costume e oggetti sono sufficienti a questo rinnovato nerbo elisabettiano, sudicio e affascinante, dove in teatro, eduardianamente, «tutto è finto ma niente è falso». (Sergio Lo Gatto)
Prossime date in calendario tournée
Milano Teatro Fontana 6-23 giugno 2024
Visto al Teatro Basilica: da Friedrich Schiller regia Michele Sinisi rielaborazione testuale Michele Sinisi e Tommaso Emiliani un progetto di Michele Sinisi e Gruppo della Creta con Matteo Baronchelli (Schweizer), Stefano Braschi (Maximilian Von Moor), Lorenzo Garufo (Roller), Alessio Esposito, (Spiegelberg), Laura Pannia (Amalia), Amedeo Monda (Schwarz), Daniele Paternoster (Karl Moor), Jacopo Cinque (Grimm, Razmann, Schufterle), Vittorio Bruschi (Hermann), Gianni D’Addario (Franz Moor), Lucio De Francesco (Daniel, Frate, Padre Moser). scene Federico Biancalani costumi Giulia Barcaroli assistente alla regia Tommaso Emiliani grafica e comunicazione Cristiano Demurtas organizzazione Bruna Sdao produzione Gruppo della Creta – Elsinor Centro di Produzione Teatrale – Fattore k