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Hannes Langolf. Intimità e dialogo, le parole e i corpi

Recensione Hannes Langolf, coreografo, regista e performer internazionale, tedesco con base a Londra (tra le altre cose ha fatto parte di DV8 Physical Theatre), ha portato in scena al Teatro Arena del Sole  (oltre che al Bonci di Cesena) How About Now, spettacolo coprodotto da Ert.

Foto Hugo Glendinnig

Quando si è in procinto di tuffarsi in mare da uno scoglio si ha la sensazione di essere osservati e una speciale adrenalina pervade tutto il corpo. A distanza da quel momento, se si chiudono gli occhi, si può ritornare all’attimo prima del salto: si può sentire l’aria calda estiva appiccicarsi addosso insieme allo sguardo dei bagnanti, si può avvertire il brivido che precede l’atto di arrendersi alla gravità, il battito cardiaco aumentare, gli occhi strizzati nel sole accecante, il petto proteso già verso il vuoto. Quanti di noi, adesso, ritrovandosi in bilico, salterebbero? Affrontare il vuoto sarebbe come accettare di venire a patti con l’ignoto. La crescita personale di ognuno avrà, quasi sicuramente, comportato la perdita di una parte di noi, una parte che credevamo caratterizzante. Eppure è andata, siamo diventati, a un certo punto, persone nuove e diverse che spesso temono il salto.
Se Hannes Langolf e Andrew Muir abbiano usato la metafora del salto per indurre lo spettatore a questa interpretazione non è detto; però la paura del salto, e quindi dell’ignoto, ha sicuramente a che fare con How About Now, uno spettacolo complesso, basato su una stratificazione di significati e tematiche ricchissima in cui diversi linguaggi lavorano coerentemente insieme.

Foto Hugo Glendinnig

Il testo di Muir, scritto insieme a Langolf, ha per protagonisti due estranei che una notte si incontrano in un vicolo e iniziano a parlare. Uno dei due, il più giovane, risulta subito molto invadente, l’altro, sulla quarantina, è riservato e sembra non volere essere lì, incastrato in una situazione che gli è scomoda e forse insolita: avere una conversazione con un venticinquenne. A sipario aperto i due stanno chiusi dentro a una enorme gabbia di vetro, quattro pareti trasparenti e il soffitto illuminato a ricordare lo schermo di uno smartphone o una nube tossica che incombe sulle loro teste. La vita che svolgeranno nei sessanta minuti seguenti sarà sempre, inesorabilmente, condizionata da quella luce.

Foto Hugo Glendinnig

Nelle intenzioni del coreografo Hannes Langolf, in scena con Ed Mitchell nel ruolo del ragazzo, la relazione tra i due è inevitabile e funzionale a descrivere le dinamiche di potere tra uomini. Il personaggio da lui interpretato è un uomo schivo, pieno di dubbi e insicurezze sia sul proprio aspetto che sulle proprie scelte; crescendo ha perso fiducia in se stesso e nel prossimo, ora ha paura. In uno dei momenti più evocativi dello spettacolo dice di ricordare quanto gli piacesse, da giovane, tuffarsi in mare e quanto ora sia invece terrorizzato dal salto. L’altro, al contrario, sembra più spavaldo, sicuro di sè. La sua figura alta e l’atteggiamento duro danno l’idea di un giovane uomo determinato a viversi il presente. Con le sue domande insistenti tende a mettere all’angolo l’interlocutore in uno scontro fatto di parole e danza che, però, non sono mai in simbiosi: al contrario il gesto è generativo di senso, sottintende qualcos’altro, un significato sconosciuto che non passa attraverso il linguaggio. I due infatti si imitano nel gesto, alzano insieme le spalle, si abbassano sulle caviglie, stirano il collo verso destra, ruotano su se stessi, seguendosi, quasi come in un corteggiamento tra animali. Ma le loro parole, pur non parlando di nulla – poichè il testo non segue un filo logico – sono in conflitto. Assistiamo a una lotta tra chi vuole dimostrare di essere il più forte, più al passo coi tempi, meno spaventato dal futuro, più consapevole del proprio sè. I dialoghi sono basilari, le informazioni che i due si scambiano non rendono la profondità di quello che i loro corpi stanno trasmettendo. Ma è proprio attraverso la parola che si arriva al momento climax dello spettacolo: il giovane (Mitchell) ha registrato la voce dell’altro per montare le sue frasi in un disorso che sembra una molestia e svela di averlo pubblicato online al culmine della loro conoscenza, proprio quando lo scontro aveva portato l’altro (Langolf) ad aprirsi e confidarsi.

Foto Hugo Glendinnig

Era un gioco, uno scherzo, qualcosa che succede con frequenza regolare nel sistema di valori contemporaneo. E però la manipolazione è tale da provocare un incendio: come un pupazzo di paglia il personaggio interpretato da Langolf cade lentamente a terra, circondato dal fumo che presto riempie la gabbia di vetro. Il nuovo stato delle cose è la nebbia. Dopo un lungo momento di sospensione i due riprendono a danzare e parlare ma noi vedremo solo le loro ombre cercarsi e sentiremo le voci riscoprirsi. “Mi vedi?” dice la prima ombra all’altra. E allontanandosi ripete: “Mi vedi adesso?”. E ancora quando ormai non possiamo più vederla perché avvolta nella nebbia: “Che mi dici di adesso?” (“How about now”). Quando tutto è meno chiaro e le ombre hanno preso il sopravvento sulla nitidezza iniziale i due uomini si avvicinano. “Posso toccare la tua testa?” sentiamo dire al ragazzo. E in questo gesto c’è la scoperta e c’è la vulnerabilità esposta, una forma del tutto inaspettata di fiducia nell’umanità.

Foto Hugo Glendinnig

Il fumo che pare provocato da un incendio non è mai, in realtà, legato alle fiamme. In scena non c’è una simulazione del fuoco reale. Per capire il riferimento di questa scena si deve ritornare al 1953, anno in cui Max Frisch scrisse Omobono e gli incendiari raccontando la storia di un uomo che accoglie a casa sua due giovani piromani. L’ambiguità del rapporto tra i due e il protagonista è sintomatica di un certo tipo di manipolazione: quella ideologica che si impossessa della sicurezza e dei diritti del cittadino come aveva fatto la dittatura comunista a Praga in quel momento storico. Quest’opera è stato il punto di partenza di Langolf, che ci ritorna proprio sul finale dello spettacolo sottolineando quanto l’intrusione di qualcosa di estraneo sia pericolosa, ma anche quanto la rottura di un equilibrio possa essere l’occasione per abbracciare quel nuovo stato delle cose. Riflette, questo finale, il grande desiderio dell’artista di fare un’opera ottimista, priva di cinismo. Riporto, a tal proposito, un estratto dell’intervista di Marco D’Agostin dal foglio di sala del teatro Arena del Sole di Bologna (ripresa da La Lettura del Corriere della sera di marzo):
M.D.: Che relazione c’è tra l’intimità del dialogo che i due estranei costruiscono durante la notte e tutta la gravità del mondo che li adombra?
H.L.: Ripenso al momento in cui qualcosa si rompe tra loro, ma decidono di rimanere assieme. Rappresenta il mio punto di vista sulla questione: viviamo in un mondo cosi impregnato di informazioni sulla tragedia incombente che preferisco sedermi con qualcuno, abbracciarlo, parlare, oppure guardare un estraneo e sorridergli. C’è un potenziale nello stare, piuttosto che nell’andarsene.

Silvia Maiuri

How About Now

ideato e diretto da Hannes Langolf
coreografia Hannes Langolf con Ermira Goro e Ed Mitchell
con Hannes Langolf e Ed Mitchell
assistente alla creazione Ermira Goro
drammaturgia Andrew Muir
scenografia e costumi Loren Elstein
sound design e composizione Jethro Cooke
lighting design Joe Hornsby
responsabile di produzione Ryan Funnell
direttore di scena Chloe Astleford
direttore tecnico Jake Hughes
realizzato con il sostegno finanziario come parte di DV8 Physical Theatre’s Legacy Commissions
sostenuto da Arts Council England e Stanley Thomas Johnson Foundation
con il supporto di Jeff Garner
prima fase di ricerca progettuale sostenuta da The Place
produzione Moonwalking Bear Productions
coproduzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
docenti della Compagnia Laure Bachelot, Baptiste Bourgougnon, Tina Afiyan Breiova, Ching-Ying Chien, Beth Edwards, Liam Francis, Yen-Ching Lin, Christina May, Hannah Rudd, Jeannie Steele
ricerca progettuale sostenuta da Charles Antoni, Alessio Bagiardi, Sam Coren, Sonya Cullingford, Kath Duggan, Chris Evans, Valentina Formenti, Joel Mesa Gutiérrez, Yen-Ching Lin, Ed Mitchell, Louis Partridge, Marta Rak, Lewis Walker
si ringraziano Tamsin Ace, Wendy Houstoun, Mitch James, Rike & Lendschi Langolf, Conor Marren, Liz Mischler, Lloyd Newson, Tom Patullo, Nancy Rossi, London College of Fashion, Artsadmin per Moonwalking Bear Productions
produttore Louise Eltringham
sviluppo del progetto e fundraising Jenna Lambie Ridgway
Lo spettacolo è in inglese, sottotitolato in italiano.

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