Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 24
Giunsero i terrestri su Marte, per la drammaturgia di Pierfrancesco Franzoni e Giacomo Bisordi (e il testo a cura della compagnia) si presenta agli occhi della platea come una continua sorpresa: l’oscillazione degli stati d’animo, lo stupore, la curiosità di mettere a fuoco gli eventi, la dilatazione dei tempi drammaturgici e l’utilizzo in profondità dello spazio. L’idea è quella di lavorare sul tema del viaggio verso il pianeta rosso e parallelamente utilizzare questa possibilità per una vera e propria ricerca sui linguaggi teatrali. La prima scena è nell’oscurità, i tre astronauti (Giulia Heathfield Di Renzi, Gaia Rinaldi, Francesco Russo) entrano dalla platea in mezzo al fumo, calcano il palcoscenico accorgendosi che è un palcoscenico, nel quale la bandiera non può essere piantata. Nella seconda parte la scena si apre e i tre si ritrovano in un luogo che è una sorta di deposito, ci sono un televisore a tubo catodico in cui verrà trasmesso Pippi Calzelunghe (ma solo in audio), una numerosa quantità di scatole, in cui i tre viaggiatori troveranno i resti di un altro mondo e i frammenti di un compleanno d’infanzia. Non si tratta di un mondo sconosciuto, ma del nostro, di qualche decennio fa. Il viaggio su Marte è diventato un viaggio nel tempo oppure la squadra ha trovato qualcuno che è arrivato su quel pianeta prima di loro e poi è scomparso? E se quei ricordi appartenessero all’infanzia dei tre viaggiatori? Nel primo quadro la parola testuale interveniva come voce off, qui la voce torna dal vivo ma per pronunciare singole parole, le urla di un gioco reiterato al parossismo: “palla! palla!” grida come un ossesso l’astronauta alle prese con un solitario e violento ping pong. Arriverà poi una conferenza stampa – nella bellissima profondità di India, al limitare dell’uscita di fondo – che però non chiarirà nulla. «La Terra è la culla dell’umanità, ma non possiamo rimanere nella culla per sempre.» dirà uno dei tre. C’è una libertà compositiva unica in questo spettacolo e una richiesta, anche al pubblico, di mollare gli ormeggi per farsi trasportare in luoghi divertenti e poco tranquillizzanti. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro India: regia ed ideazione Giacomo Bisordi drammaturgia Pierfrancesco Franzoni e Giacomo Bisordi testo a cura della compagnia con (in o. a.) Giulia Heathfield Di Renzi, Gaia Rinaldi, Francesco Russo, scene e costumi Marco Giusti e Alessandra Solimene, suono Dario Felli, video Igor Renzetti, assistente alla regia Paolo Costantini