Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 24
Si è da poco tenuto al Libero Camera 701, della romena Elise Wilke, per un progetto in collaborazione con PAV / Fabulamundi Playwriting Europe. Il titolo allude a una stanza d’albergo in cui si svolgono le vicende di varie coppie di passaggio: un non-luogo allo stesso tempo aperto e chiuso rispetto all’esterno. L’elegante ambiente déco vagamente anni Settanta, arredato da Mario Chiappara, è la sede fissa di vicende le quali, nel loro continuo succedersi, si presentano invece come effimere, transitorie. «Una camera d’albergo non possiede il calore di una casa. Ci si sente soli, immersi nella propria esistenza scandita da amore, delusione, fallimento, paure»: al suo interno si svolgono vicende tutto sommato quotidiane, ma che dal quotidiano fuggono in virtù di qualche singolare e ironica specificità. Un matrimonio di convenienza, un’imprevedibile lezione di spogliarello, un suicidio sventato, una relazione che da professionale sembra divenire ambiguamente affettiva. La stanza dell’hotel diviene dunque lo spaccato di un umano colto nei limiti della propria irredimibile contemporaneità. In toni da commedia brillante, gli interpreti (Federica D’Angelo, Giuseppe Lanino, Nicolò Prestigiacomo, Silvia Scuderi) portano in scena un pugno di nevrosi e speranze: la regia (di Luca Mazzone) le organizza tutte con equilibrata misura, strutturando l’intera rappresentazione intorno al cadenzato svolgersi dei rapporti tra i personaggi. Rapporti fondati sullo scambio di sensazioni e sentimenti: sono questi a rappresentare il vero e unico fulcro della vicenda drammatica. In fondo è su un tono di accattivante superficie che il racconto vuole svolgersi: Camera 701 diverte il pubblico mantenendosi su un’ironia delicata e sempre conciliante, tratteggiata a tinte pastello (Tiziana Bonsignore).
Visto al Teatro Libero, Palermo. Crediti: di Elise Wilk, traduzione Loredana Chircu, scena e regia Luca Mazzone, con Federica D’Angelo, Giuseppe Lanino, Nicolò Prestigiacomo e Silvia Scuderi, costumi Lia Chiappara, elementi scenici Mario Chiappara, luci e suoni Michele Ambrose. Foto di Giulia Mastellone