Recensione. Il regista, autore e attore romano torna in scena con uno spettacolo in cui la speculazione sull’arte e sul ruolo dell’artista sono sempre al centro della scena. Visto al Teatro india.
Nel panorama teatrale italiano esiste un artista trentenne che si è ritagliato uno spazio molto particolare, di contestazione e dissacrazione del sistema stesso. Già nel 2018 Leonardo Manzan collezionava premi (compreso quello sulla circuitazione InBox) grazie allo spettacolo IT’s App to You. O del solipsismo che dirigeva e interpretava con la compagnia Bahamut. In quel caso l’ attore e regista si alzava dalla platea per dichiarare la propria teoria sul solipsismo, secondo la quale l’universo sarebbe stato semplicemente un riflesso creativo dell’unica mente generatrice, la sua. Ma è con Cirano deve morire e Glory Wall che dalla Biennale di Venezia si mette in mostra a livello nazionale, diventa in breve l’autore che spara a zero proprio sul panorama in cui si sta affermando. In Glory Wall (evidentemente influenzato dalla pandemia che era in atto) chiudeva la quarta parete con un muro dal quale fuoriuscivano arti e oggetti e metteva alla gogna il teatro contemporaneo, la creazione, la critica. Nessuno veniva risparmiato, in una sorta di giudizio universale alle arti performative, improduttivo e incapace di approfondire le questioni che sembrava avere a cuore. In questo nuovo lavoro, che ha debuttato al Teatro India, Manzan torna a mettere in scena le contraddizioni del sistema dell’arte, ma con un paio di differenze nette rispetto al lavoro precedente: la caustica ironia prende il sopravvento sulla critica scomposta, il ragionamento si fa più affilato e radicale.
Mi accorgo, mentre scrivo, di essere caduto nella trappola del dispositivo: anche io non posso fare a meno di parlare dello spettacolo senza occuparmi di Leonardo Manzan, senza ripetere il suo nome, senza parlare di lui. La performance denuncia proprio la presenza ingombrante dell’artista e del dato autobiografico nell’arte di oggi attraverso l’esposizione fisica e autobiografica del suo creatore. La scena è occupata solo da un piedistallo, una sorta di base, come quelle usate per innalzare le statue, alla sua destra Paola Giannini interpreta un’operatrice museale, a guardia dell’importantissima opera d’arte, l’autore stesso; inoltre sul fondale, nel buio, si intravede il corpo di un altro personaggio seduto in lontananza. Una figura ambigua e per certi versi inquietante, interpretata da Rocco Placidi, non si muoverà mai, rimarrà seduta. In cuffia ascoltiamo una voce – è dell’autore ovviamente -, ci racconta la vita e il genio Manzan, sin da piccolo, da quando gli insegnanti volevano fargli saltare la quinta elementare per mandarlo subito alle medie trovando però l’opposizione dei genitori, fino ai successi teatrali odierni; un esercizio di hybris e spacconeria pari solo a quello di rimanere per più di un’ora completamente nudo su quel podio, a farsi ammirare, ad incarnare il paradosso dell’arte che non riesce a fare a meno della carne dell’artista (rappresentata anche dalle sue vicende personali) e allo stesso tempo impersonando la soluzione, che per Manzan sta proprio nella necessità di ricreare una distanza tra chi crea e chi fruisce. L’artista deve risalire sul piedistallo, spiegherà nel finale prendendo parola dopo il lungo silenzio. Dobbiamo ricordare che la pièce è ideata (così risulta in locandina) anche da Giannini e Placidi, nonostante il comico egocentrismo emblematico già nel titolo: Uno spettacolo di Leonardo Manzan, con il sottotitolo Leonardo Manzan dirige Leonardo Manzan in una delle produzioni più attese dell’anno: il nuovo spettacolo di Leonardo Manzan.
Mentre l’artista con il suo corpo giovane e una forma fisica invidiabili se ne sta sul piedistallo, la drammaturgia testuale prosegue intercettando anche l’interazione col pubblico: naturalmente non si capisce quanto all’autore interessino davvero le risposte a una serie di domande e indicazioni poste al alla platea o quanto sia tutto un diversivo, d’altronde lui è sempre sul suo podio e un accenno di sorriso compare di tanto in tanto sotto i baffi. Vengono fatti alzare solo gli addetti ai lavori, coloro che superano un certo reddito, quelle e quelli che hanno pagato il biglietto, e così via… siamo noi che ci divertiamo con Manzan o è Manzan che dal suo piedistallo si diverte a guardarci? Per non sbagliarmi tento di disinnescare il gioco non partecipando, con la consapevolezza che in una platea minuta e con la maggioranza di un pubblico partecipe l’astensione rischia di essere ancora più visibile. Come al solito questa strana opera contiene già la critica che dovrebbe analizzarla: emerge in tempo reale, facendo illuminare due spettatori e lasciando apparire in voce i loro pensieri sullo spettacolo. E se nei primi minuti l’evento promette sbadigli rari e noia potenziale, vista la povertà del linguaggio teatrale messo in atto, nel prosieguo fortunatamente intrattiene con intelligenza, e il tempo di fronte alla statua umana dell’artista passa senza grandi inconvenienti anche grazie all’ironia disseminata a pioggia: le battute sul solito Favino, le sagaci riflessioni su Cattelan e la famosa banana venduta per 120mila dollari; la biografia che diventa territorio comico. Ma anche grazie a un altro paio di trovate interattive, la pausa nella quale vengono offerte sigarette al pubblico che può fumare proprio sul palco vicino all’opera e poi l’asta finale in cui per davvero, e con tanto di contratto da firmare, verranno venduti pezzi dell’opera e del suo creatore: un autografo, un selfie con l’autore (da riscuotere subito, in scena), una cena dopo spettacolo con Manzan a 70 euro, menù compreso, in un crescendo che non risparmia la vendita stessa dell’artista e del suo corpo per una notte (acquisto effettuato da uno spettatore in prima fila per centinaia di euro), scatenando attesa e ilarità.
Intrattenimento colto, gioco dadaista, ironico e tagliente sul nulla, grande presa per i fondelli che rischia di fagocitare tutto, anche la riflessione più necessaria, il lavoro di Manzan è tutto questo senza voler essere qualcosa di più. Rimane la curiosità di capire cosa potrà inventare questa intelligenza radicale e iconoclasta nel momento in cui vorrà guardare al mondo invece che alle storture del sistema artistico. Perché se è vero che lo sguardo critico di Manzan si è affilato e si è spostato dalla particolarità del teatro contemporaneo di Glory Wall al mondo generico dell’arte (infilzando i paradossi più visibili, quelli delle arti visive), la contestazione come modello e contenuto ha bisogno di essere spasmodicamente originale, di esibirsi in forma nuova rispetto a quello che è stato fatto nel passato perché ha a che vedere con le forme concettuali della creazione artistica e il rischio dunque di cadere nello stereotipo va tenuto sempre in considerazione.
Andrea Pocosgnich
Marzo 2024, Roma, Teatro India
Uno spettacolo di Leonardo Manzan
Leonardo Manzan dirige Leonardo Manzan in una delle produzioni più attese dell’anno: il nuovo spettacolo di Leonardo Manzan
di e con Paola Giannini, Leonardo Manzan, Rocco Placidi