Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 24
Ogni anno, secondo le statistiche Istat, in Italia si registrano circa 4.000 morti per suicidio. Nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni le morti ammontano a 468, di cui circa 200 casi al di sotto dei 24 anni, con una percentuale elevatissima tra la popolazione universitaria. Il 33% di studenti e studentesse intervistat* sperimenta ansia, il 27% depressione. Eppure, una vulgata superficiale vorrebbe gli anni dell’università i più spensierati, una fase sospesa tra la giovinezza e la costruzioni di un io sufficientemente coriaceo per farsi largo nell’età del lavoro, nella vita “adulta”. È tra l’altro proprio questa narrazione a aumentare il carico delle aspettative, in una fase storica in cui sempre più la ricerca di una posizione professionale è diventata una porta stretta, strettissima per molti percorsi di studio. Ma Shame culture ci dice che non si tratta solo di dati e congiunture. Andrea Lucchetta in regia, con Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi sul palco, ci portano, con sapiente scrittura e azione scenica, nell’infinita catastrofe di una promessa generazionale tradita, nella eco frastagliata di una piccola bugia domestica che diventa nevrosi, che diventa linguaggio interrotto tra genitori e figl*, tra amici e amiche. Ci è consegnato il ritratto delicato di una fragilità in cui è facile riconoscersi, come un acquario prezioso in cui Bisciari, Fanizzi e Grassi si muovono con precisissimo impaccio, parlandosi senza mai toccarsi, guardandosi senza mai vedersi. Così come è impossibile fissare negli occhi l’interlocutore in una delle nostre infinite videochiamate, la videocamera essendo eccentrica rispetto allo schermo, ci ricorda Bisciari, evocando alcuni spunti saggistici come materiale drammaturgico. Distogliere lo sguardo, evitare un contatto è infatti la fenomenologia diffusa della vergogna. E mentre tra le infinite applicazioni AI abbiamo a disposizione tool che reindirizzano lo sguardo verso quello dell’interlocutore, offrendoci soluzioni prima ancora che possiamo interrogarci sul problema, un piccolo dispositivo teatrale esplora la strada, più lenta e terrosa, dell’empatia. (Andrea Zangari)
Visto al Teatro Belli nell’ambito di Expo – Teatro Italiano Contemporaneo – Drammaturgia di Asilo Republic, regia di Andrea Lucchetta, scene e costumi di Dario Gessati, light designer Gianni Staropoli, video designer Igor Renzetti, musiche di Luca Nostro, sound designer Luca Gaudenzi, con Anna Bisciari, Marco Fanizzi, Vincenzo Grassi, foto di Manuela Giusto