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P COME PENELOPE (di e con Paola Fresa)

Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 24

Penelope ha paura dell’acqua, ma il costume lo indossa lo stesso e prova a tuffarsi, quel salto dall’odore del cloro, tra la ceramica delle mattonelle da piscina. Un salto che racchiude una vita, la sua, del figlio Telemaco, del marito Ulisse, quello delle lettere concluse con «PS: saluta la mamma». E la mamma è lei, «Penelope: anatroccola» come si definisce con una didascalia sullo sfondo, nella prima scena, a ricordare la sua goffaggine bambina rispetto alla bellezza già donna di Elena. Paola Fresa porta sul palco del Quarticciolo durante il weekend della giornata internazionale dei diritti della donna, un monologo che è una riscrittura contemporanea del personaggio omerico, che si aggiunge alle numerose attualizzazioni del mito. Ma è un mito? Seppur con una drammaturgia troppo letteraria a tratti, e poco scenica in altri, soprattutto quando i soliloqui del personaggio si fanno più riflessivi e densi; Fresa conduce Penelope in una sorta di percorso di alleggerimento di quell’aura leggendaria. La scena è scarna, con pochi oggetti: alcune sedie, un orsacchiotto e una Barbie. Simboli di famiglia, l’orsacchiotto di Telemaco chiamato “Cazzarola”, la Barbie vestita come Cenerentola a ricordare un’esistenza che fiaba non è, e che in fin dei conti nessuna vorrebbe. Fresa ci avvicina a Penelope con semplicità, una chiacchierata, al punto che ci porta con lei alla partita di calcetto del figlio, a quando viene picchiato, e ci ritroviamo poi sul letto della sua cameretta il giorno che decide di andarsene di casa lasciandola, di nuovo, sola. Ri-conosciamo Penelope scoprendo, con genuinità, il suo punto di vista su se stessa oggi ma sempre in relazione agli uomini della sua vita, il marito, il figlio e anche il padre. Forse avremmo voluto sapere di più di lei, starle vicino più a lungo nel finale, su quel bordo piscina, ad aspettare, a vivere la trepidazione per quel salto, solo suo stavolta, veramente di nessun altro; sarebbe stato un bellissimo inizio piuttosto che una conclusione. (Lucia Medri)

Visto al Teatro Biblioteca Quarticciolo: di e con Paola Fresa, in collaborazione con Christian Di Domenico, supervisione registica Emiliano Bronzino, scene e costumi Federica Parolini, luci Paolo Casati, regista assistente Ornella Matranga, una produzione Accademia Perduta-Romagna Teatri Fondazione TRG di Torino, in collaborazione con Officina Corvetto Festival,TRAC (Teatri di Residenza Artistica Contemporanea), KanterStrasse, Dialoghi_Residenze delle arti performative a Villa Manin, a cura del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia

Cordelia, marzo 2024

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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