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OLD FOOLS (di Tristan Bernays, regia di Silvio Peroni)

Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 24

Silvio Peroni cambia testo per non cambiare mai: la scena, la drammaturgia, l’interpretazione attoriale si muovono su binari riconoscibili, familiari che fanno dell’ordinarietà e verosimiglianza le direttrici perseguite, da sempre, dal regista. Anche in questo caso la drammaturgia di partenza è quella britannica: Old Fools di Tristan Bernays parla di Tom e Viv; i protagonisti sono una coppia, si incontrano, si conoscono, decidono di passare la vita insieme, hanno dei figli e poi anche nipoti finché, in vecchiaia, sopraggiunge la malattia, in questo caso l’Alzheimer, come accadeva pure in Costellazioni di Nick Payne, altro adattamento firmato da Peroni. Quella di Tom e Viv è un’esistenza normale per quanto puntinata da tragici e dolorosi avvenimenti che vediamo succedere dinanzi a noi nel consueto montaggio scenico, avanti e a ritroso nel tempo, operato da Peroni. La scena è vuota con solo una pedana reclinata a occupare lo spazio sulla quale si muovono, volteggiano, e scivolano, Marco Grossi (Tom) e Marianna de Pinto (Viv) i cui momenti di vita, letteralmente, si accendono e spengono illuminati dal disegno luci di Claudio de Robertis. Oltre all’empatia, alla naturalistica immedesimazione nei personaggi, alla fisiologica narrazione di eventi quotidiani, al dolore per quelli più turbolenti, cosa resta? Ormai, dopo una quindicina di anni, queste storie cosa possono continuare a dirci se non che direttamente o indirettamente le abbiamo vissute anche noi? C’è ancora bisogno di questo realismo dei primi anni Duemila? Peroni non troverebbe più sfidante parlare di questo presente con altre storie? In teatro potremmo osare di più di quello che propone una fiction, che certo è ben scritta e recitata ma il cui miele che stringe gli abbracci, compatisce le lacrime, intenerisce gli sguardi del pubblico rischia di allontanarsi dalla poesia e quindi risultare assai indigesto, dopo anni di riconoscibilità autoriale, dopo una ventina di minuti in cui la struttura diventa prevedibile e dopo che sappiamo già come andrà a finire. (Lucia Medri)

Visto al Teatro Argot: di Tristan Bernays, Traduzione Noemi Abe, Con Marianna de Pinto e Marco Grossi, Regia Silvio Peroni, Musiche Oliviero Forni, Luci Claudio De Robertis, Scene Riccardo Mastrapasqua, Assistente alla regia Lara De Pasquale, Costumi Monica De Giuseppe, Progetto grafico Cristina Gardumi, Con il sostegno di Teatro Kismet/Cittadella degli Artisti. Un ringraziamento particolare ad Associazione Alzheimer Italia Bari.

Cordelia, marzo 2024

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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