HomeArticoliIl deserto del rimosso. L’indagine EXTRA LIFE di Gisèle Vienne

Il deserto del rimosso. L’indagine EXTRA LIFE di Gisèle Vienne

Recensione. Alla Triennale di Milano è andato in scena in prima italiana il nuovo lavoro della regista franco-austriaca Gisèle Vienne, presentato ad agosto alla Ruhrtriennale di Essen e vincitore del Premio Theatertreffen 2024. Una proposta di lettura e di sguardo.

FOG 2024 Gisèle Vienne – EXTRA LIFE © Estelle Hanania

Quando il buio nero della notte viene pervaso da una pungente e lattiginosa foschia emerge una certa sensazione di fastidio e smarrimento nella persona che vi si addentra. Il principio di un pericolo. L’ambigua insinuazione di una minaccia. L’indizio di un ricordo infestante che resiste latente nelle marginalità del pensiero. Nella sala della Triennale Milano, a partire dal fondo del palco, quella foschia immanente che tutto avvolge e che nasce proprio dalle zone d’ombra, corre lenta, avanza e si dirama, raggiunge il corpo e inaridisce i respiri, gli sguardi di chi l’attraversa per sedersi in platea. È una nebbia che confonde il visibile forse solo per stabilire un nuovo grado di attenzione nel fruitore, chiamato ora ad uno sforzo, quello di acuire lo sguardo e di dilatare l’estensione dei propri sensi.

FOG 2024 Gisèle Vienne – EXTRA LIFE © Estelle Hanania

EXTRA LIFE inizia così, immersa in questa atmosfera scura e rarefatta, illuminata a malapena dai fari di un’auto a margine del palco. Dal suo interno, emergono le voci di Claire (Adèle Haenel) e Félix (Theo Livesey), sorella e fratello che si ritrovano a parlare in macchina dopo una serata di festa, sullo sfondo sonoro di una radio accesa che trasmette un servizio sugli incontri paranormali. Gli scambi ironici sulle presenze extraterrestri sono tuttavia solo il pretesto, motore di avvio di uno scavo archeologico che i due protagonisti attuano per recuperare dalla memoria stratificata del passato quel rapporto con l’altro subito, quella relazione famigliare violata con l’incesto. Che cosa resta, oggi, di quel trauma («È come se fossimo morti fino ad ora» afferma uno dei due)?

È qui che la regista franco-austriaca Gisèle Vienne agisce, attraverso un processo basato su una dinamica drammaturgica dei corpi che si allunga e sospende nello scorrere del tempo e che si fa permanenza in atto per accogliere una dimensione introspettiva (tanto interiore quanto proiettata esternamente – al di fuori di sé – extra-life per l’appunto). Solo così – nello slow motion dei corpi e della tensione narrativa – i due fratelli possono finalmente immergersi e naufragare all’interno del rimosso, reso dal sofisticatissimo disegno luci di Yves Godin prima come un paesaggio lunare deserto, poi (attraverso una griglia di laser) come un intricato passaggio sotterraneo ed infine come le profondità viscerali di un abisso. All’interno di questo meccanismo visivo di forte impatto e caratura, la partitura musicale di Caterina Barberi è precisa e si adatta perfettamente al suo ruolo rilevatore: stimola l’emergere dei ricordi e rievoca le ripetute molestie infantili subite attraverso l’atto della reiterazione ritmica, cogliendo quelle tracce vibranti di inquietudine di cui è imbevuta tutta la pièce.

FOG 2024 Gisèle Vienne – EXTRA LIFE © Estelle Hanania

In lontananza, una sagoma si muove avanti e indietro, fantasma, proiezione o “mostro” che torna ossessivamente ad abitare il presente: Katia Petrowick è una figura misteriosa, allo stesso tempo vicina e lontana, reale o fantasticata, con la quale Claire e Felix intraprendono una danza estatica di incontri e scontri, composta da corpi che cadono e poi si rialzano e da una gestualità allucinata, tutta tensioni del busto, diagonali spezzate, movimenti rallentati, disarticolati e accasciati, che esprimono, sfuggendo o portando alle estreme conseguenze – nella lentezza dei loro movimenti scomposti – tutto ciò che è contenuto nelle loro soggettività, dai traumi sepolti al desiderio di liberarsene. In questo senso, la regista lavora su una forma eterea, vaporosa, in cui nulla è completamente esposto: il dolore, la distruzione e la lacerazione sono latenti, così come i tentativi languidi di sfuggirvi.

Riempito della potenza delle immagini, il palcoscenico radicale di Gisèle Vienne si satura di stimoli estetici e percettivi, andando forse a perdere – in questo caso specifico – una certa lucidità e organicità di racconto. In un articolo uscito su Les Echos, per esempio, viene sottolineato come il potere fascinoso dell’installazione sonora e luminosa (definita XXL) abbia messo parzialmente in ombra il potenziale narrativo dell’ infanzia distrutta dei due ragazzi. Su Le Club de Mediapart si parla, invece, di una certa sfocatura dei segni dovuta all’uso della parola e dei dialoghi, come se l’artista si fosse impigliata nel tappeto che lei stessa aveva tessuto («Le verbe n’est certes pas la colonne vertébrale des spectacles de Gisèle Vienne, mais, cette fois, ce manque entraîne un certain brouillage des signes, comme si l’artiste se prenait les pieds dans le tapis qu’elle a tissé»). E ancora, su L’Œil d’Olivier si dice: «Extra Life non raggiunge l’intensità tormentata de L’Étang, né la potenza di sfogo di Crowd. Il pezzo rimane innegabilmente bello» («Extra life n’atteint pas l’intensité trouble de L’Étang, ni la puissance exutoire de Crowd. La pièce reste d’une indéniable beauté»). C’è, insomma, qualcosa che sfugge in questo nuovo lavoro di Vienne, forse un’entropia portata all’estremo, dovuta a una disarticolazione narrativa che parte dai dialoghi per investire poi la drammaturgia dei corpi (la figura del dramaturg, per esempio, è un problema tutto moderno. Per un approfondimento, qui il saggio di Alessandro Pontremoli, Problemi di drammaturgia della danza), che si fa vaporosa, rizomatica, disorganica e a cui si contrappone, invece, un bisogno tutto odierno di aggrapparsi per bene al reale, di dargli un ordine che non sia solo seducente attrazione visiva e sonora, ma che sia anche vera storia di corpi da raccontare.

Andrea Gardenghi

 Visto alla Triennale Milano 16-17 marzo 2024

EXTRA LIFE

Idea, coreografia, regia, scenografia: Gisèle Vienne / creato in collaborazione con e recitato da: Adèle Haenel, Theo Livesey, Katia Petrowick / musiche originali: Caterina Barbieri / sound design: Adrien Michel / luci: Yves Godin / testi: Adèle Haenel, Theo Livesey, Katia Petrowick, Gisèle Vienne / costumi: Gisèle Vienne, Camille Queval, FrenchKissLA / marionette: Etienne Bideau-Rey, Nicolas Herlin / stage manager: Antoine Hordé, Philippe Deliens / sound manager: Adrien Michel, Géraldine Foucault Voglimacci / light manager: Samuel Dosière, Iannis Japiot, Héloïse Evano / si ringrazia: Elsa Dorlin, Etienne Hunsinger, Sandra Lucbert, Romane Rivol, Anja Röttgerkamp, Sabrina Lonis, Maya Masse / assistente: Sophie Demeyer / direttore tecnico: Erik Houllier / produzione e tour: Alma Office – Anne-Lise Gobin, Camille Queval, Andrea Kerr / amministrazione Cloé Haas, Giovanna Rua / coproduzione: Ruhrtriennale, Théâtre National de Bretagne – Centre Européen Théâtral et Chorégraphique, MC93 – Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis, MC2: Grenoble – Scène nationale, Théâtre national de Chaillot, Maillon – Théâtre de Strasbourg, Tandem – Scène nationale de Douai, Points Communs – Nouvelle Scène nationale de Cergy Pontoise, CN D Centre national de la danse, Comédie de Genève, Le Volcan – Scène nationale du Havre, Centre Culturel André Malraux- Scène nationale de Vandoeuvre lès Nancy, NTGent, Printemps des comédiens – Cité du Théâtre d’O Montpellier, Festival d’Automne à Paris, Comédie de Clermont, International Summer Festival Kampnagel – Amburgo, Triennale Milano – Milano, Tanzquartier Wien, La Filature, Scène nationale de Mulhouse / con il supporto di: Dance Reflections by Van Cleef and Arpels / la compagnia Gisèle Vienne è supportata da: Ministère de la culture et de la Communication – DRAC Grand Est, Région Grand Est, Ville de Strasbourg, Institut Français (tournée internazionale) / Gisèle Vienne è associated artist a TNB – Théâtre National de Bretagne, Chaillot – théâtre national de la danse, MC2 Grenoble, Volcan – Scène nationale du Havre

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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