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Femininum Maskulinum, Sepe torna nella Germania degli anni ’30

Presentiamo con un articolo in media partnership il nuovo spettacolo di Giancarlo Sepe prodotto dal Teatro della Toscana che andrà in scena al teatro della Comunità di Roma e poi alla Pergola di Firenze.

Foto Manuela Giusto

La storia, intesa come sequenza di eventi correlati dalle azioni umane e dalle coincidenze di tempo e spazio, è una tela su cui dipingere continuamente riflessioni e pensieri diversi, recuperando fonti da discutere, confrontare, talvolta anche contestare, affinché il gesto dell’arte porti infine a tirarne fuori una storia nuova, non più limpida, più netta, ma certamente arricchita di un passaggio di visione che solo il tempo successivo le può donare. Ecco che il teatro di Giancarlo Sepe, in passato come in questo prossimo Femininum Maskulinum prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana che debutterà al Teatro La Comunità a Roma il 3 aprile 2024, come una sonda del tempo si cala nell’epoca che precede la dittatura nazista in Germania, o meglio al centro d’Europa, per mettere in luce la condizione della società di allora e comprendere con maggiore profondità, infine, le ragioni di una simile conseguenza che ha squarciato il secolo Novecento. Il periodo storico, per il regista campano, non è certo una novità; già negli anni Settanta Herman (Berlino Anni ‘30) e Accademia Ackermann, così come i più recenti Werther a Broadway e Germania Anni ‘20, cercavano di porre attenzione sulla cultura tedesca e più precisamente sulle cause nascoste di un avvento le cui previsioni, forse, non furono lungimiranti.

Foto Manuela Giusto

Ma se in Germania Anni ‘20 l’attenzione sugli anni della delusione che seguirono all’esperienza della Repubblica di Weimer, ossia di un governo socialdemocratico, si focalizzava principalmente sulle reazioni di una generazione che uscendo dal decennio post bellico veniva veicolata verso la cultura di un “uomo forte” al comando di un possibile revanscismo, questo nuovo spettacolo si arricchisce di uno sguardo sulla reazione degli artisti che in quella Germania avevano il vantaggio di un’opinione stimata, il successo di pubblico e allo stesso tempo il favore del mondo intellettuale, avevano dunque l’opportunità di dissentire ma contemporaneamente il timore che il dissenso portasse conseguenze via via più pericolose.

Foto Manuela Giusto

L’artista che maggiormente incarna, secondo Sepe, questa condizione è di certo lo scrittore Thomas Mann; l’autore di capolavori come La morte a Venezia o La montagna incantata, forte del Premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1929, sarà tra i pochi a decidere di non fuggire dopo il fatidico 30 gennaio 1933 in cui Hitler prese il potere, dando così vita a una repressione del pensiero divergente e delle libertà individuali come mai prima di allora; Mann era fin troppo noto soprattutto fuori di Germania per essere a rischio, nonostante la sua condizione esistenziale lo ponesse particolarmente in pericolo: omosessuale, sposato con una donna ebrea, i figli Erika, socialista, e Klaus erano anch’essi omosessuali, ma allo stesso tempo il suo successo significava anche grandi guadagni per l’editore tedesco, quindi portando benefici economici sembrò necessario digerirne l’autorità, nonostante le intemperanze dello stile di vita dell’intera famiglia lo ponessero al di fuori degli strumenti di controllo del nascente regime.

Foto Manuela Giusto

Ma l’attenzione di Sepe, oltre che sull’autore dei Buddenbrook, si concentra anche su un altro artista, il regista Billy Wilder, ebreo austriaco che proprio a Berlino nel 1929 muoveva i primi passi di una carriera in divenire, osservando quel mondo dal punto di vista di un ballerino per donne sole nei cafè chantant; proprio Wilder, che diventerà un grande regista hollywoodiano nei decenni successivi dirigendo capolavori come Viale del tramonto o Sabrina, nel 1929 fornisce dei riferimenti filmati sull’epoca che mettono in evidenza un certo stile di vita, partecipando come sceneggiatore alla scrittura di un film muto dal titolo Uomini di domenica, girato da Robert Siodmak e Edgar G. Ulmer. Ma se Wilder, il cui vero nome era Samuel, nel 1934 decise di espatriare verso gli Stati Uniti, Mann attese il 1936, anno in cui il regime gli tolse la cittadinanza tedesca e dunque, formalmente, lo costrinse all’esilio.

Foto Manuela Giusto

Sullo sfondo di entrambe le vicende, tuttavia, ci sono gli Stati Uniti d’America. Il modello americano, per la Germania che usciva distrutta dal primo conflitto mondiale e che non aveva molti alleati nell’Europa a cui doveva rifondere un ingente debito derivato dalla fine del primo conflitto, rappresentò durante gli anni Venti un efficace obiettivo di rinascita economica che, tuttavia, proprio in coda al decennio, nel 1929 della crisi globale delle banche a partire dall’esplosione di Wall Street, mostrò la propria natura illusoria; eppure i prestiti delle banche statunitensi, che permettevano alla Germania di competere sul mercato nonostante il salatissimo conto delle spese belliche e l’accanimento delle soluzioni punitive, furono il veicolo attraverso cui durante quegli anni giunse in Europa il profumo di un intero stile di vita, attraente e leggero, ricco di una cultura moderna lontana dalla vecchia secolare auctoritas eurocentrica.

Foto Manuela Giusto

Il senso di libertà, individuale e collettiva, su cui gli Stati Uniti avevano fondato la propria origine tardo settecentesca e che, sulla base del precedente ideale illuminista, aveva raggiunto nuovamente l’Europa pre e post napoleonica, durante il primo Novecento si articolava finalmente con le attività del tempo libero, tra le quali un’acquisizione culturale ora priva dell’erudizione come unico campo d’azione. Ne è esempio proprio il piccolo film documentario firmato anche da Billy Wilder – non a caso poi sovrano indiscusso della commedia brillante nel cinema di Hollywood – che metteva in luce i comportamenti del popolo tedesco nella quotidianità, mostrando il cambiamenti dei costumi nelle più piccole azioni, che fossero poi esemplari dei cambiamenti in atto a livello globale. Non poteva sapere, Wilder, quanto lontano sarebbe arrivata quella indagine. Berlino, la Germania tutta, cambierà definitivamente in pochi anni, quella sensazione di libertà lascerà presto il passo alla disaffezione, l’intrattenimento stringerà all’angolo la cultura del pensiero libero, trasformandolo, nel sangue e nel dolore, in pensiero unico.

Redazione

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3 > 21 APRILE FEMININUM MASKULINUM uno spettacolo di Giancarlo Sepe

con (in ordine alfabetico) Sonia Bertin, Alberto Brichetto, Lorenzo Cencetti, Chiara Felici, Alessia
Filiberti, Ariela La Stella, Aurelio Mandraffino, Giovanni Pio Antonio Marra, Riccardo Pieretti,
Alessandro Sciacca, Federica Stefanelli
e con la partecipazione di Pino Tufillaro
musiche Davide Mastrogiovanni | Harmonia Team
scene Carlo De Marino
costumi Lucia Mariani
disegno luci Javier Delle Monache
assistente costumista Isabella Melloni
scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia del Teatro della Pergola
macchinisti realizzatori Duccio Bonechi, Cristiano Caria, Francesco Pangaro, Filippo Papucci
produzione Teatro della Toscana
foto di scena Manuela Giusto

Dal 3 Al  21 APRILE
FEMININUM MASKULINUM
uno spettacolo di Giancarlo Sepe

INFO
Dal martedì al sabato ore 21 | domenica ore 18 (lunedì riposo)
Teatro La Comunità
Via Giggi Zanazzo 1, Roma
Info e prenotazioni
06 581 7413 – teatrolacomunita@gmail.com

www.teatrolacomunita.com

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