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Il Teatro di Roma e oltre: tra cultura e responsabilità sociale

Non solo Teatro di Roma: le proteste intorno alla nomina della nuova direzione comprendono anche una serie di problematiche che a partire dalla cultura investono altre questioni riguardanti la socialità.

Foto di Claudia Borgia

Quello che sta accadendo attorno al Teatro di Roma non nasce adesso, ma è il risultato di una defibrillazione continuativa dello stato culturale della Capitale. A più riprese e con movimenti e tempi diversi, questa complicata città ha visto l’emersione di spinte rivendicative, di processi di gestione alternativa degli spazi, di presidi artistici reagenti rispetto l’impasse istituzionale. Negli ultimi venti, venticinque anni le politiche culturali romane hanno creato disuguaglianze, precarietà, chiuso luoghi significativi, complicato il lavoro di coloro che nutrono da sempre il panorama artistico culturale cittadino e aumentato le difficoltà di accesso per coloro che vorrebbero, o avrebbero voluto, prendervi parte. Si sta quindi determinando un fenomeno carsico, lento graduale depressivo, che rischia giorno dopo giorno di erodere la qualità e la molteplicità dell’offerta culturale, di ledere al professionismo e alla ricerca, di portare quindi alla resa i luoghi finora “sopravvissuti” e di stroncarne sul nascere di altri.

Foto di Claudia Borgia

Come abbiamo testimoniato negli scorsi giorni su queste pagine, la nomina di De Fusco al Teatro di Roma – risultato di velleità egemoniche post fasciste e dell’inettitudine parassitaria del PD – si configura come l’ennesimo strappo tra le istituzioni e quella parte di città, cultura e terzo settore che dopo anni di urgenza, richiesta di dialogo e trasparenza vede il teatro nazionale chiudersi in un atteggiamento reazionario. La “questione Teatro di Roma” non riguarda soltanto l’ente pubblico con sede in via dei Barbieri, ma è la sineddoche per il tutto di una crisi iniziata da tempo (leggi anche Valle, Eliseo, Mattatoio. Roma tra promesse e chiusure) con cui deve fare i conti, al contrario, un tutto vivo e plurale che in questi anni è cresciuto in maniera inversamente proporzionale alle logiche avvilenti delle politiche culturali, un tutto che ha presentato una e più “scene” dall’elevata qualità e fermento artistico, dalla militante postura inclusiva, intersezionale, femminista e antifascista del mondo, e lo ha fatto in zone eterogenee e distanti tra loro sul territorio della Capitale. Ripercorrendo gli eventi dell’ultima settimana, la risposta a questo tutto è stata lo schieramento degli agenti di polizia in tenuta anti sommossa e della Digos davanti le porte del Teatro Argentina mentre all’interno si teneva il CdA; la chiusura degli spazi di libero accesso al Teatro India con all’ingresso controlli d’identificazione per coloro che erano andati a distribuire dei volantini per spiegare al pubblico cosa stesse succedendo, per presentare alla città una narrazione dei fatti diversa e ulteriore a quella della stampa; e poi il formale e cerimoniale ricevimento in Campidoglio dell’Assemblea Costituente dei Lavorat_ dello Spettacolo, avvenuto lo scorso primo febbraio.

Foto di Claudia Borgia

Quest’ultimo episodio ha ulteriormente evidenziato la distanza tra le parti: il sindaco Gualtieri e l’assessore alla cultura Gotor non hanno dato chiarimenti in merito alla responsabilità dello schieramento di polizia e dopo aver improntato un discorso che non teneva affatto in considerazione le precedenti richieste di interlocuzione hanno risposto, all’oltre centinaio di presenze, molte delle quali rimaste fuori, che si procederà alla modifica dello statuto per aggiungere alla figura di un direttore artistico quella di un direttore generale nominato dal Comune stesso. Gualtieri ha dichiarato: “Se l’accordo sulla modifica dello Statuto del Teatro di Roma non verrà rispettato usciremo dalla Fondazione e verrò con voi a fare i picchetti ovunque, faccio una guerra mondiale, ma conto che sarà rispettato”. Piccola postilla: scorrendo la legge nazionale ancora in vigore sui Teatri Pubblici del Ministro per il Turismo e lo Spettacolo Carlo Tognoli del 1990, nel paragrafo dedicato alla Direzione dei Teatri Pubblici viene specificato che è previsto solo un Direttore Generale, per cui lo statuto di qualsiasi teatro pubblico deve uniformarsi obbligatoriamente a questa legge nazionale. Sarà allora formalmente una consulenza e non una direzione? Ma la consulenza ha ben altre responsabilità rispetto alla direzione, e poi, che fine fanno le domande presentate per la manifestazione di interesse che non comprendeva certo questa doppia carica? Inoltre, i termini di una simile procedura sono davvero molto lunghi, minimo cinque mesi, e nel frattempo De Fusco si sarà ben insediato. Di fronte a ciò che si configurerebbe da parte delle istituzioni come la messa in atto di una grande mistificazione volta a legittimare una mera spartizione di potere, e di assenza di risposte fattivamente interlocutorie, è sana e fisiologica conseguenza che l’Assemblea Costituente dei Lavorat_ dello Spettacolo risponda #vogliamotuttaltro.

Si potrebbe allora obiettare che tra musei, festival, teatri, concerti, fondazioni, cinema ecc ecc Roma non sia affatto una città priva di cultura e che dia ai residenti e non la possibilità di fruire di una moltitudine di eventi, vero. Che questi luoghi sono partecipati e che non manca quindi l’offerta culturale; che molte produzioni, distribuzioni, compagnie, personalità artistiche lavorano e continuano a farlo da anni restando per il territorio dei punti di riferimento, vero anche questo. Ma come avviene tutto ciò? Su quali sforzi e condizioni? Quali sono le premesse strutturali di accesso e continuità e qual è la qualità del lavoro? Allora cosa sta succedendo e cos’è questo tutt’altro da rivendicare?

Innanzitutto si attesta la numerosa partecipazione. La volontà, che casomai va anche di pari passo col dubbio e lo scetticismo, di prendere parte a un’azione di pensiero condivisa, collettiva, autoconvocata e autodeterminata, la quale è attraversata da una convergenza di realtà molto diverse tra loro, di diversi territori, che lavorano a Roma ma non solo, che annoverano anche personalità riconosciute del panorama artistico nazionale. Alla qualità si accosta la quantità: le assemblee – la prima tenutasi alla Città dell’Altra Economia, la seconda davanti al Teatro di Roma mantenuta viva di voci per oltre 4 ore, e la terza di domenica scorsa negli spazi di Spin Time, occupazione abitativa che dal 2012 è un presidio sociale e culturale per Roma e che ospita 150 famiglie – hanno coinvolto dalle 200 alle 300, 350, persone, di varia estrazione professionale e artistica, anagrafica e militante, anche nuove generazioni che parallelamente stanno organizzando riunioni di approfondimento e comprensione riguardo le politiche culturali. Di fronte a quello che è stato dichiarato in assemblea come un «disastro culturale» che parimenti a quello ambientale ha rotto gli argini, e considerato l’attuale clima governativo volto ad annichilire qualsiasi manifestazione di dissenso rispetto allo status quo; ciò che stanno mettendo in atto questi corpi e le loro idee è una nuova ridefinizione della responsabilità culturale che deve essere innanzitutto responsabilità sociale.

Foto di Claudia Borgia

La costituzione di questa lotta, l’organizzazione dei suoi momenti di confronto, l’impegno che la logistica richiede, l’esaltante attivismo che proviene da più fronti e che da anni, non da oggi, si distinguono per militanza e coerenza ha adesso un’enorme opportunità. “Con tutto quello che succede nel mondo voi parlate di teatro?” “Sì perché non è solo teatro”. E non perché la quotidianità a livello locale, nazionale e internazionale sia meno incisiva, ma perché, nella prossimità, si vuole cambiare quello che ha dimostrato di non funzionare, che è stato esasperato e che si vorrebbe diverso per il presente e per il futuro. Si vuole, da quanto emerso nell’ultima riunione, procedere verso un’azione sostenibile innanzitutto, che non sia solo performativa ma estesa nel tempo, e che possa incarnare appunto la contraddizione. Non si parte da zero ma si continua il lavoro di anni addietro per cui la nomina osteggiata di De Fusco è al momento uno dei piani, ma non il privilegiato, di un fuoco che accende temi nevralgici come il dibattito sul reddito, sull’agibilità, le assicurazioni, la defiscalizzazione, la gestione economica del lavoro culturale attraverso un sistema di microcredito, e poi, l’attuazione della delibera 104 per l’apertura degli spazi, la maggiore trasparenza riguardo le assegnazioni dirette e i ritardi o slittamenti dei bandi, quindi una piattaforma onnicomprensiva di stabilizzazione del lavoro.

Questo è l’avvio di una mobilitazione che comprende, ma prescinde, la nomina di una direzione artistica respinta da buona parte degli addetti ai lavori in virtù di una presa di posizione trasversale che si ribella al ricatto della precarietà, in tutte le sue accezioni, culturali, sociali, artistiche, abitative. Continueremo a seguirne e sostenerne il corso in una prospettiva che auspichiamo possa andare anche oltre la città di Roma e che possa essere alimentata, come sostenuto dall’Assemblea, da nuovi e vivi fuochi anche a livello nazionale.

Lucia Medri

Partecipa all’assemblea aperta online Accendere i fuochi, venerdì 9 febbraio ore 17.30

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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