In prima assoluta al Teatro Ivo Chiesa, Teatro Nazionale di Genova, Fantozzi. Una tragedia di Davide Livermore con Gianni Fantoni. Recensione
Inizierei con un assunto impopolare: Fantozzi non è amato unanimemente, dal pubblico, dalla critica ma anche da una parte dell’ambiente cinematografico. Anzi, per esperienza, è difficile trovare nell’ambito cinefilo e artistico coloro che, oltre ad ammettere il valore storico critico del personaggio, amino i film che lo hanno reso celebre e/o conoscano la letteratura che gli dà i natali. Più volte, e con persone di età e formazione eterogenea, è capitato, addirittura e soprattutto in ambito accademico, di discutere attorno a questo personaggio, a ciò che ha rappresentato e rappresenta tuttora, ed emerge sempre un sentimento che se da un lato ne attesta l’importanza nell’immaginario collettivo e nell’uso di alcune espressioni che hanno inciso in maniera determinante nel linguaggio; dall’altro però traspare anche un lieve disagio, un misto di tristezza, chiamiamola anche pena. Ed è proprio questo aspetto il più determinante perché rivela una popolarità che non implica accettazione incondizionata quanto anche avversione, e l’equilibrio di entrambi fa di Ugo Fantozzi un homo comicus straordinario e complesso.
Fantozzi. Una tragedia da Paolo Villaggio segna la consacrazione teatrale del ragioniere; colpisce che il nuovo spettacolo coprodotto dal Teatro di Genova con Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli e Geco Animation sia proprio il primo adattamento, diretto da Davide Livermore per la messinscena dei primi tre libri che l’autore genovese ha dedicato al suo personaggio: Fantozzi (1971) Il secondo tragico Fantozzi (1974) e Fantozzi contro tutti (1979). Questa prima volta stupisce perché il legame tra questo personaggio e l’eredità comico grottesca della Commedia dell’Arte pertiene da sempre più alla storia teatrale che a quella cinematografica, basti pensare anche alla suddivisione in capitoli delle sue avventure, all’organizzazione delle parti per i ruoli, ai tipi umani presentati. Livermore, regista di classici, si cimenta questa volta con un altro grande classico, il più difficile forse, firmando anche la drammaturgia insieme a Andrea Porcheddu, Carlo Sciaccaluga e a Gianni Fantoni, anche interprete protagonista, il quale da anni sognava di portare Fantozzi a teatro, come racconta lui stesso nel libro Operazione Fantozzi.
Quattro gli atti in cui è organizzato l’adattamento con coro e epilogo, a ribadire una forma, appunto, tragica: i primi due molto entusiasmanti, rigorosi nei tempi, esilaranti nella presentazione dei personaggi e delle scene emblematiche, il terzo, e in particolare il quarto, decisamente più pesanti e ripetitivi, anche la platea sembra, col passare delle 2 ore e quaranta, più stanca e meno partecipante. Come se si fosse voluto aggiungere tutto, non lasciare fuori nulla ma con il bisogno di dover chiudere, arrivare al finale, rendendo le ultime scene un po’ prevedibili nella struttura, sfibrate e poco incisive. La sfida principale, secondo quanto testimoniato da Livermore nelle note, è quella di lavorare sulla maschera di Fantozzi consegnandola alla storia tra passato, presente e futuro: «possiamo dire che esiste la maschera teatrale di Fantozzi e il suo primo interprete è Gianni Fantoni. Sarei felice di sapere che tra vent’anni, ci saranno altri attori che si cimentano, che studiano la maschera di Fantozzi, e la interpretano». Una maschera si costruisce, si affina, si eredita, e il valore di questa operazione produttiva sta innanzitutto nella trasmissione del patrimonio d’autore e di come poi questo venga tradito nella sua riproposizione e attualità.
Coloro che si aspettano di vedere la trasposizione teatrale di quella cinematografica e letteraria resteranno delusi: certamente godranno delle scene che con affetto sono impresse nella memoria, accompagnate dalle note epifaniche della colonna sonora rimasterizzata dal suo autore Fabio Frizzi – dalla partita di tennis, alla cena al ristorante giapponese e poi il duello a biliardo, il tradimento di Pina con il fornaio, il veglione di Capodanno – ma piuttosto che nel colore locale degli anni Sessanta e Settanta, vedranno calati tutti i personaggi nelle scene minimali, geometriche e astratte di Lorenzo Russo Rainaldi con le luci colorate e sgargianti di Aldo Mantovani che restituiranno allo spettatore una dimensione fantozziana quasi metafisica, à la De Chirico, con tanto di tagli di quinte a inquadrare i quadri scenici in molteplici punti di vista. Fantoni non fa Villaggio che fa Fantozzi, l’effetto altrimenti sarebbe stato di avvilente macchiettismo, ma dà la sua versione del ragioniere, stavolta più serioso e consapevole della sua miserevole vita, tanto da chiedere pietà per la sua inedita e endemica successione di ineluttabili tragedie, tra aspirazione e frustrazione. E questo lavoro, che è d’attore e d’autore, sulla maschera di Fantozzi trova il suo contraltare in quello complementare sulle altre maschere svolto dal cast di livello che lo circonda e che eccelle per cambi di registro interpretativo, in un affilato sistema di parti e ruoli giocato con rigore da Paolo Cresta (il geometra Calboni), Cristiano Dessì (il ragionier Filini), Lorenzo Fontana (la signorina Silvani), Rossana Gay (la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare), Marcello Gravina (Cecco il fornaio), Ludovica Iannetti (Mariangela), Valentina Virando (la signora Pina). Anche l’Amleto e Sofocle dialogano allora con l’impacabile fato a cui cerca di sopravvivere Fantozzi attraverso alcune impreviste similitudini; stranianti e divertenti le invettive di Pina contro il body shaming, l’inserimento delle digressioni storiche curate dal dizionario fantozziano impersonato dalla strepitosa Simonetta Guarino, l’umanizzazione della Bianchina in una donna romana dai toni un po’ biascicanti, i costumi, dalla fattura pregiata realizzati da Anna Verde, come quelli per le palle da biliardo indossati dal cast che si agita sulla scena bianca e lunare…
Nell’incontro sul tema del lavoro, programmato parallelamente alla tenitura dello spettacolo, dal titolo L’impiegato Fantozzi: l’eroe del posto fisso e l’Italia che non c’è più, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha sottolineato quanto oggi gli sconfitti, i non tutelati, i Fantozzi contemporanei siano i precari, analizzando la crisi attuale e la regressione del ruolo dei sindacati stessi. Nel finale dello spettacolo, nel lugubre e allo stesso tempo buffonesco epilogo, è il cinismo, più romano che ligure, a farci scivolare nell’interdizione, a sperimentare il giudizio severo che si abbatte sulla platea come la nuvoletta carica d’acqua, quello stesso sentimento, chissà, per il quale si fatica ad amare Fantozzi perché incarna le nostre vulnerabilità, quell’ansia da prestazione che ci vorrebbe alla direzione megagalattica delle nostre vite e non alla subordinazione precaria da merdaccia.
Lucia Medri
Visto al Teatro Ivo Chiesa – Genova, febbraio 2024
FANTOZZI. UNA TRAGEDIA
Produzione
Teatro Nazionale di Genova, Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli, Geco Animation
Drammaturgia
Gianni Fantoni, Davide Livermore, Andrea Porcheddu, Carlo Sciaccaluga
Regia
Davide Livermore
Interpreti
Gianni Fantoni, Paolo Cresta, Cristiano Dessì, Lorenzo Fontana, Rossana Gay, Marcello Gravina, Simonetta Guarino, Ludovica Iannetti, Valentina Virando
Scene
Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi
Anna Verde
Supervisione musicale
Fabio Frizzi
Luci
Aldo Mantovani
Regista assistente
Laura Cleri
Assistente alla regia
Alessia Camera
Assistente alle scene
Francesco Isgrò
Assistente ai costumi
Francesca Sartorio
Cast tecnico
direttore di scena Vincenzo Sorbera
capo macchinista Marco Visone
fonico Luca Nasciuti
sarte Monica Rosini, Giulia Iacovacci