Recensione. Antonio e Cleopatra diretto da Valter Malosti, in scena con Anna Della Rosa. Visto al Teatro Arena Del Sole di Bologna. Ora in tournée a Bolzano, Torino, Genova, Napoli, Venezia, Lugano, Milano.
I primi minuti dello spettacolo suggeriscono un approccio grottesco, ma anche acido e impertinente: Antonio e Cleopatra sono in piedi su due catafalchi marmorei ornati, hanno pose esageratamente ieratiche e le loro battute vengono sottolineate da risate e applausi in sottofondo. Sono i protagonisti di una commedia decadente più che di una tragedia shakespeariana. Peccato che questa idea si affievolisca nel prosieguo dello spettacolo, fino a sparire totalmente.
Antonio e Cleopatra è uno dei testi meno frequentati di William Shakespeare, eppure è uno di quelli con un personaggio femminile tra i più solidi, la leggendaria e misteriosa Cleopatra, la donna che fa innamorare il guerriero dei due mondi. Uno dei problemi maggiori, per eventuali messinscene del testo, sta nel numero dei personaggi e nella trama piena di capovolgimenti di fronte. Roma, Alessandria d’Egitto, ma anche la Siria, si rispondono in un montaggio alternato che impedirebbe eventuali cambi di scena.
E infatti Valter Malosti e i suoi utilizzano un escamotage proprio della convenzione teatrale moderna: talvolta i personaggi rimangono in scena sotto luci più tenui mentre l’entrata degli altri, in luce piena, evidenzia lo spostamento geografico. In questa versione la complessità drammaturgica shakespeariana viene semplificata, con il risultato però di appiattire tutto sul binomio Antonio-Cleopatra. Certo, sono i protagonisti, ma nelle pagine dell’autore elisabettiano attorno ai due si muove tutta una trama di complotti che ha l’ambizione di conquistare il potere, di avere il mondo ai propri piedi. L’assenza del plot politico in cui Antonio, Ottavio e Pompeo stringono patti dividendosi le geografie conosciute, prima di un banchetto della pace, tiene fuori dal palco un aspetto – geopolitico – che rende il testo un grande affresco storico e una metafora più che contemporanea sul potere globale.
Nelle note di regia il direttore di Ert afferma di essersi innamorato di quest’opera, spiega l’idea di lavorare con pochi attori e attrici tagliando dunque decine di personaggi, come voleva fare Peter Brook in una versione del ‘78, cita Giordano Bruno, immagina un Egitto che «assomiglia più all’Oriente che al Nord Africa». Per Malosti, Antonio è un tragico buffone: nella prima parte dello spettacolo, di fatti, lo interpreta con un sorriso stampato, alienato dalla realtà e perso nei baccanali d’amore con Cleopatra. Nadia Fusini, autrice della traduzione insieme al regista, mette in evidenza la riflessione sul teatro propria di Shakespeare e presente anche in questo testo, la teatralità del personaggio di Cleopatra e la sua ambiguità.
Eppure, nonostante tutte le interessantissime tematiche contenute nel libretto, poco rimane in mente nei giorni successivi della visione di questo spettacolo, se non alcuni sprazzi che però non riescono a fondersi in una versione organica appellandosi troppo facilmente a dei cliché, il grottesco appunto è uno di questi, ma pure la teatralità, la riflessione sull’atto della rappresentazione del teatro shakespeariano, sono questioni ormai poco innovative e forse anche abusate. La scena di Margherita Palli è affascinante di certo, ma è senza appigli drammaturgici facilmente rintracciabili, se non in un generico altrove; il palco è un luogo di ispirazione metafisica, di imponente e minimalista razionalismo, con un segno distintivo, un’apertura circolare, come un grande oblò, al di sopra di un portale dal quale transitano i personaggi grazie a una piattaforma su binari. E poi la solita idea di mescolare le epoche che qui si manifesta nell’uso di alcuni costumi moderni o delle parrucche settecentesche dei due protagonisti, strizzate d’occhio postmoderne che anche in questo caso non sembrano radicate in una coerenza drammaturgica.
Antonio a un certo punto entra in scena con uno spolverino di pelle rossa, Ottavia con gonna bianca e tacco e quando farà ritorno dal fratello Ottavio lo farà con una valigia stile anni ‘40. Oppure nel finale, quando Cleopatra compare di fronte a uno specchio con una sigaretta in mano e una pistola, come fosse una diva del cinema hollywoodiano, prima che il suo compagno emerga dal buio in giacca nera con in mano una rosa. Sfasature e citazioni che rischiano di essere contrappunti estetici senza profondità soprattutto se si pensa al resto dell’ambientazione, alla scenografia dal richiamo metafisico, al misterioso Oriente di cui parla Malosti o alle corazze e alle tuniche romane degli altri personaggi. Come nel caso degli applausi e delle risate da sitcom della prima scena – che non torneranno durante lo spettacolo – sembrano scelte poco organiche, disseminate per colpire o per far sì che in platea si moltiplichino curiosamente gli interrogativi su tali scelte.
Gran parte delle prove recitative non si stagliano da un panorama poco sorprendente: le eccezioni sono rappresentate da Anna Della Rosa che dimostra come al solito personalità e capacità di sfumare toni e sentimenti, anche nelle scene di maggiore ironia (si veda quella in cui chiede a un messaggero come sia fatta la nuova moglie di Antonio, Ottavia, intelligente pezzo comico); emerge anche l’eleganza ironica di Massimo Verdastro. L’interpretazione di Valter Malosti invece subisce una compressione a causa di un abbassamento di tono vocale annunciato anche dalla voce off prima dell’inizio dello spettacolo. La lotta intrapresa da Marco Antonio contro Ottavio, la guerra di cui si riempiono le pagine shakespeariane nella seconda parte dello spettacolo, ha un corrispettivo umanissimo e quotidiano che apre uno spazio quasi commovente nel mestiere dell’attore: se il suo personaggio deve lottare contro le armate di Cesare, l’interprete Malosti deve intraprendere un corpo a corpo continuo con la propria voce continuamente spezzata da un problema alle corde vocali. Ce la mette tutta, ma si tratta di quasi tre ore di spettacolo e sembra già tantissimo che sia riuscito ad arrivare in fondo senza diventare afono, tale è stato lo sforzo.
Non esplode questo spettacolo prodotto da Ert, rimane una patina di freddezza e distacco – a causa anche della solita amplificazione vocale (lo spiegano bene su operateatro.it), ormai tratto distintivo delle produzioni da grande palco, qui nel suggestivo tappeto sonoro di GUP Alcaro. Una freddezza che si allevia solo addentrandosi nella seconda parte del lavoro, quando con l’avanzare della guerra la drammaturgia si fa più coinvolgente e serrata. Shakespeare è Shakespeare e, come direbbe Harold Bloom, si salva, resistendo, quasi, ad ogni interpretazione.
Andrea Pocosgnich
Bologna, Teatro Arena del Sole, gennaio 2024
Prossime date in calendario tournée:
dal 08/02/2024 al 11/02/2024 TEATRO STABILE DI BOLZANO – BOLZANO
dal 13/02/2024 al 18/02/2024 TEATRO STABILE DI TORINO – TORINO
dal 22/02/2024 al 25/02/2024 TEATRO NAZIONALE DI GENOVA – GENOVA
dal 02/03/2024 al 10/03/2024 TEATRO BELLINI – NAPOLI
dal 14/03/2024 al 17/03/2024 TEATRO GOLDONI – VENEZIA
dal 20/03/2024 al 21/03/2024 LAC – LUGANO ARTE E CULTURA – LUGANO
dal 04/06/2024 al 09/06/2024 PICCOLO TEATRO MILANO – TEATRO D’EUROPA
Antonio e Cleopatra
di William Shakespeare
uno spettacolo di Valter Malosti
traduzione e adattamento Nadia Fusini e Valter Malosti
con Anna Della Rosa, Valter Malosti Danilo Nigrelli, Dario Battaglia, Massimo Verdastro, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic
scene Margherita Palli
costumi Carlo Poggioli
disegno luci Cesare Accetta
progetto sonoro GUP Alcaro
cura del movimento Marco Angelilli
maestro collaboratore Andrea Cauduro
assistenti alla regia Virginia Landi, Jacopo Squizzato
assistenti alle scene Marco Cristini, Matilde Casadei
assistenti ai costumi Simona Falanga, Riccardo Filograna
chitarra elettrica live Andrea Cauduro
arpa celtica live Dario Guidi
Visto ieri sera a Bolzano. Assolutamente condivisibile quanto scrivi.