Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 24
Se un utile compendio è l’ intervista rilasciata qui, è difficile ricondurre Wonder Woman di Antonio Latella ad altri modelli del nostro teatro. Si respira sì un’aria non italiana, ma la vis post-drammatica di questo esperimento è quasi totalmente dedicata alla produzione del dato, più che del segno; proposta al pubblico è un’organizzazione semantica, mentre la sintassi resta nuda e graffiante.
Il palco scarnificato accoglie, condotte da una marcia che solca la platea illuminata a giorno, Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti, quattro giovani attrici che, programmaticamente, non portano (ancora) un nome di richiamo. In nero, con scarpe col tacco rosse, in una schiera rotta soltanto da sintetici movimenti espressivi e reciproco scambio di sguardi e assensi, il gruppo scandisce, in un rigoroso coro dall’alto volume e dal ritmo incalzante, la sentenza delle giudici che hanno assolto il branco di strupratori ai danni di “Nina”, ritenuta “troppo mascolina” per subire violenza sessuale. Si passa poi al kafkiano interrogatorio della giovane peruviana, per tornare sulla replica delle giudici alle proteste seguite. Nel quadro finale la tensione è montata da una svolta performativa, tra simulazioni di sfilate in simbolici costumi tradizionali e una danza tribale che sfocia negli slogan delle manifestazioni femministe, in cui si punta il dito contro la responsabilità dello script sociale, che è di tutte e tutti noi.
Fatto di Eumenidi che diventano Erinni, il nòmos distorto di questa polis contemporanea, che ha ormai stuprato il concetto di giustizia, genera una nuova Wonder Woman, amazzone che è tutte le amazzoni, supereroina il cui lazo della verità strangola un’umanità che continua a mentire a se stessa. Nel testo lirico di Federico Bellini e Antonio Latella, sciolto in agili versi che sono insieme rap e sputi, non c’è grottesco, ché «non è più tempo di andare per il sottile». E nella prova di quattro infaticabili testimoni, per il potere della sineddoche, ci raggiunge un urlo, un insulto, una fiera bestemmia. Non è uno spettacolo, è la sineddoche di un’infuriata manifestazione di preghiera umanitaria. (Sergio Lo Gatto)
Visto al Teatro Astra Crediti: Crediti di Antonio Latella e Federico Bellini regia
Antonio Latella con Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti costumi Simona D’Amico musiche e suono Franco Visioli movimenti Francesco Manetti, Isacco Venturini produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Stabilemobile