Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 24
Ci sono storie che nella storia non ci finiscono, nascoste in un silenzio attraverso il tempo senza mai finire nei libri che la storia la raccontano, dimostrando quanto essa proprio di questi episodi – storie – sia composta. Perciò, quando partirono I treni della felicità, stracolmi di bambini e alimentati da una virtù solidale, fu un piccolo grande gesto di rivoluzione gentile che oggi, per mano e idee di Laura Sicignano, alla drammaturgia insieme a Alessandra Vannucci, raggiunge il palco del Teatro Basilica di Roma con Fiammetta Bellone, Federica Carrubba Toscano, Egle Doria. Siamo nel dopoguerra, tempo in cui la parola “treno” si associava alla morte, alla dispersione, all’esilio, mentre proprio attraverso i treni si affaccia alla cronaca una vicenda edificante che, in un’epoca di eserciti schierati e lotte di potere, è fatta invece dal popolo per il popolo. Sono le donne comuniste del Nord, precisamente dalla Lombardia e dall’Emilia, a immaginare un viaggio che trasportasse bambini di zone rese inospitali dalla guerra, costrette alla fame e in lotta per la sopravvivenza, in luoghi e famiglie in grado di accoglierli, anche solo per un tempo di riassestamento, quando a guerra finita sarebbero tornati nella loro famiglia d’origine. Lo spettacolo, che si avvale delle vibranti musiche in scena di Edmondo Romano, nasce da un’intenzione civile, quella di dar voce a una vicenda rimossa, quasi dimenticata, ma allo stesso tempo ha l’obiettivo di esprimere il carattere esemplare che queste donne hanno impresso all’Italia postbellica, veicolando il loro messaggio attraverso non solo l’interpretazione delle attrici ma per la loro propria esistenza umana. La nobile causa, insieme di coraggio e vergogna, di miseria e dignità, resa efficiente da interpretazioni solide, solo in parte raggiunge l’obiettivo, reso fosco da scelte di regia a tratti didascaliche e non in perfetto equilibrio tra il fatto storico e certe ricorrenze che paiono occasionali, tra la condizione femminile dell’epoca e il più recente e profondo dibattito sulla maternità. (Simone Nebbia)
Visto al Teatro Basilica: Drammaturgia Laura Sicignano e Alessandra Vannucci; con Fiammetta Bellone, Federica Carrubba Toscano, Egle Doria; musiche di scena eseguite dal vivo Edmondo Romano; scena Francesca Marsella; costumi Daniela De Blasio; luci, video e foto Luca Serra; tecnica Francesca Mazzarello
Gentile Simone Nebbia, ci tengo a sottolineare che lo spettacolo (la cui drammaturgia è di Sicignano e Vannucci) è basato su storie liberamente ispirate alle vite di Ida Cavallini, Rosanna De Luca, Elvira Suriani, Ada e Teresa Foschini, Maria Maddalena Di Vicino, Anna Berio, raccolte nel mio libro “C’ero anch’io su quel treno” (Solferino 2021). Mi sarebbe piaciuto che questo fosse stato scritto, per dare un’occasione di approfondimento agli spettatori che l’avessero desiderato e per ribadire che le storie, se non vengono scritte nei libri, difficilmente possono essere conosciute (e questa storia che studio da vent’anni non è presente nei libri scolastici, accademici, universitari, ma l’ho fatta conoscere con i miei due libri sul tema). Grazie per l’attenzione e saluti, Giovanni Rinaldi
https://giorinaldi.com/2021/09/16/cero-anchio-su-quel-treno-il-nuovo-libro-di-giovanni-rinaldi/