Questa recensione fa parte di Cordelia di dicembre 23
Andate a cercare un ritratto di Claude Cahun. Fatevi penetrare alla prima visione: qualcosa di disturbante e tenero vi confonde. Gli occhi sono tremendi, le linee ovoidali della sagoma del viso avvolgono le labbra, una fessura orizzontale che stride e taglia. Non dice ma parla, perplime e affascina, è sfuggente e impossibile da verbalizzare: è la sua resistenza surrealista dinanzi al tempo. La nettezza del volto, il cui sfondo ombrato delle foto degli anni trenta si concentra nel nero di un segno, la ritroviamo tracciata, sul pube pancia e sguardo di Alessandra Cristiani, che distesa a terra, in parallelo e di spalle, si volta con impercettibili movenze scoprendo “ciò che resta” di Cahun sul suo corpo. Il linguaggio è incarnato in lei, la lingua è muta. Non c’è articolazione verbale ma gestuale; linguistica è la posa plastica, ricurva, contratta, a nascondere proprio il volto, riferimento espressivo celato dalla chioma rossastra. Oltre la realtà, il surreale, è la perfezione circospetta con cui le braccia, avvolte in guanti bianchi, accostano al corpo una maschera bianca: nello spettatore si schiudono immaginari pittorici, fotografici, poetici che in maniera sinestetica si condensano nell’immanenza di Cristiani. La corporeità scrive ma viene anche scritta, attraverso parole che l’artista traccia con la china sul petto, gambe, piedi, braccia, per trasformare l’integrità bianca della nudità in un campo di incisione, dilatato e accogliente. Il pubblico anche sarà invitato a parlare scrivendo sul corpo dell’artista, un’azione non di marcatura ma di rivelazione incandescente. Dalla platea, il ritorno sul palco segna un cambiamento, comico, diremmo, e sanguinolento: il nero diventa rosso e si mescola alla veemenza di azioni più estatiche, spinte nell’insondabile, tra luce abbacinante e buio. Il suono compenetra la carne, che ride e piange e trema. Tutto è potenza nel piccolo grande mistero di Cristiani. Vorremmo abbracciarlo più spesso, avrebbe bisogno di più spazio per farsi spazio. (Lucia Medri)
Visto al Teatro India per Teatri di Vetro progetto e performance Alessandra Cristiani, suono Ivan Macera, musiche aggiuntive Alessandro Cortoni, luce Gianni Staropoli, produzione PinDoc, coproduzione Teatro Akropolis con il sostegno di Orbita Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza, dell’Associazione Culturale Le Decadi con il contributo di Mic, Regione Siciliana un ringraziamento speciale ad Elisa Turco Liveri e Salvatore Insana | DEHORS/AUDELA; allo spazio Gemma-scuola del corpo. Foto di Margherita Masé