Intelligenza artificiale e teatro: interroghiamo le opere recenti della compagnia catalana Agrupaciòn Señor Serrano (Una isla vista al festival Colline Torinesi) e dell’artista Kamilia Kard (Toxic garden/Dance dance dance e HERbarium-Dancing for an AI viste al Festival dello Spettatore) per riflettere sulle relazioni tra A. I. e scena performativa.
Il tema che viene dibattuto da quando si è passati dall’uso di computer che fanno quello per cui sono stati programmati a computer che autoapprendono (il machine learning), cioè immagazzinano e si alimentano di informazioni provenienti da miliardi di dataset, è se e quanto possiamo considerare umano e creativo il risultato di un processo automatizzato derivante dalle nuove capacità emergenti dell’Intelligenza Artificiale generativa. Per dirla con l’interrogativo del teorico dei media Lev Manovich: A chi attribuire la paternità se un artefatto o un’immagine sono il prodotto di dispositivi, algoritmi ed estensioni tecnologiche che generano e reinterpretano l’intenzione di un artista o di un designer? Quali ricombinazioni di idee, di analogie insolite e di connessioni concettuali sono considerate segno dell’originalità?
Il dibattito si è esteso al teatro, considerato che recentemente sono stati utilizzati umani virtuali in scena, sistemi di generazione text-to-image per le scenografie e prompt di chatGPT per la scrittura testuale. L’intelligenza artificiale darà al teatro una rappresentazione della realtà davvero comparabile o compatibile con quella umana? In che modo verranno presentate le emozioni, i sentimenti, l’immaginazione, le sfaccettature dei personaggi, le loro motivazioni e le loro azioni? Cosa si perde dell’originaria relazione teatrale nella sua riscrittura ipertecnologica? E quale sarà l’orizzonte di una drammaturgia scritta con gli algoritmi o con le applicazioni AI della Computer Vision?
Una Isla di Agrupaciòn Señor Serrano
All’ultima edizione del Festival delle Colline Torinesi la compagnia Agrupaciòn Señor Serrano al debutto italiano di Una isla, ha condiviso la scrittura drammaturgica con l’ “immaginazione” generativa del sistema chatGPT3 basato su intelligenza artificiale e machine learning, per mostrare la “nascita di una comunità”, oggi sempre più vicina a un’idea di “ecosistema ibrido”, luogo condiviso di tecnologie e organismi viventi.
Lo spettacolo inizia con una ragazza che fa ginnastica per più di un’ora e sembra incarnare figurativamente l’AI trainer che addestra i sistemi di intelligenza artificiale al fine di renderli sempre più accurati ed efficienti. L’immagine sullo sfondo è quella di un’isola, generata dall’algoritmo di intelligenza artificiale text-to-image Midjourney; sul palco questa immagine diventa concreta, tridimensionale, una bolla di plastica come mondo parallelo interagente con quella parte di mondo riconoscibilmente e più palpabilmente concreto. La trama dello spettacolo è generata dal programma di machine learning di generazione del linguaggio naturale, e così la macchina prova la sua esperienza più difficile: quella della scrittura creativa.
Dal niente inizia a crescere un mondo che si riempie di persone, di cose, di oggetti e tecnologie. Giocatori di rugby, ginnaste, rapper, pappagalli senza alcun nesso logico entrano nel nostro campo visivo creando un mondo parallelo visionario e instabile. Tutto si genera caoticamente e magicamente dai pattern contenuti nei dati e dallo scambio della chat di registi con la IA. Il palcoscenico diventa un territorio inquietante, un uncanney valley abitato da oggetti audiovisivi in scala multipla e da figure umane. Quei corpi, nati come il golem della tradizione talmudica, dalla combinazione di lettere alfabetiche di una chat, si muovono a ritmo di musica, Sono come doppelgänger, strane creature in un acquario. Il teatro diventa un ambiente ibrido, un ricettacolo di tecnologie e organismi viventi: in fondo, come ricorda il tecnofilosofo Massimo Durante, se gli esseri umani interagiscono con agenti e dispositivi con cui scambiano incessantemente dati e informazioni questi coopereranno anche “alla conformazione tecnologica dell’ambiente in cui viviamo e operiamo nonché all’elaborazione della rappresentazione della realtà”.
Se volessimo leggere questo spettacolo sul piano della filosofia che la sorregge, potremmo riferirci al concetto enunciato dal filosofo indiano Homi Bhabha, di ibridità come forza creatrice di una nuova cultura inclusiva, un “terzo spazio”, cioè un luogo simbolico dove gli antagonismi si annullano, facendo saltare gerarchie e differenze in una nuova prospettiva storica. Su questo nuovo ecosistema integrato, co-creato insieme a molte entità, i registi catalani sono chiari: l’alleanza multispecie (con la macchina..) è l’unica salvezza: servirà però, adottare una prospettiva etica consapevole.
Toxic garden/Dance dance dance e HERbarium-Dancing for an AI di Kamilia Kard
L’artista italo-ungherese Kamilia Kard è tra le figure più autorevoli nel mondo della media e della net art. Dal 2020 l’artista inizia a creare ambienti d’arte e performativi dentro il Metaverso: il primo risultato è Dance dance dance-Toxic Garden (vincitore di Residenze digitali 2022), una performance on line che si svolge sulla piattaforma di videogame Roblox,
Qui un giardino con sette piante virtuali velenose — che equivalgono nell’intenzione creativa della Kard, alle relazioni sentimentali “tossiche” cioè disfunzionali — diventano il soggetto principale. A ogni pianta corrisponde una “dipendenza malata”: entrando nell’area di corrispondenza del fiore, come navigando in un video game, l’avatar/spettatore assume le fattezze e i colori dell’infiorescenza e danza in base ai movimenti che una danzatrice reale ha precedentemente impresso alle piante virtuali tramite l’ Intelligenza artificiale. Toxic garden si interroga sul complesso sistema compulsivo e malato di relazioni esistenziali quotidiane, che trovano il correlativo oggettivo nel design virtuale di un giardino molto speciale: saranno le piante a invitare a eseguire il movimento, in un processo di “mimetizzazione vegetale”. Entrando nell’area verde delle piante velenose modellate in 3D si attua per il giocatore, una curiosa “vegetalizzazione” del proprio io digitale, un vero e proprio processo di transfert inconsapevole.
Il labirinto verde di Toxic Garden è un intreccio tra realtà e sogno: correndo, scappando, saltando, danzando, rifugiandosi in territori dove non stare mai per più di pochi secondi, le tipiche figure cubizzate degli avatar di Roblox dietro cui si celano gli utenti on line, entrano in zone di transizione dove le connessioni emotive dipendono dalla capacità di empatizzare con qualche personaggio del videogame. L’ambiente di gioco (che è anche il palcoscenico virtuale della performance on line) diventa un universo stracolmo di simboli e segni dell’ultima generazione web, pullulante di identità multiple, indefinite, in fuga dalla realtà, con l’unico obiettivo quello dell’espropriazione del proprio corpo. Il riferimento del titolo a un autore iconico e generazionale come Haruki Murakami non è casuale: Dance dance dance ha unito la letteratura con elementi “pop” creando un genere che mixa cinema, fumetti americani, musica rock. Le affinità sono molte: un libro come una playlist, una performance come un videogame. Il Metaverso per la Kard è, come per la pagina letteraria di Murakami, uno spazio dell’inconscio, che si apre con la domanda esistenziale per chi vi entra: scalare il muro per attraversarlo o rimanere nascosto al suo interno?
Il prosieguo di Toxic Garden è HERbarium-Dancing for an AI, nato come performance tecnologica su palcoscenico e presentato al Festival dello spettatore a Arezzo lo scorso novembre: protagonista è ancora una volta una pianta, la belladonna, riprodotta digitalmente sotto il cui nome dall’aria inoffensiva, si cela una pianta estremamente pericolosa, in grado di compromettere alcune funzioni del corpo umano; si tratta di un progetto di tecnodanza che nasconde una vera dichiarazione antispecista, una proposta per entrare consapevolmente in un nuovo habitat che sfida le dicotomie tra esseri viventi, animali e vegetali. Aleggia in queste premesse il pensiero di Donna Haraway e Rosi Braidotti e le loro ricerche in direzione di una distruzione delle distinzioni delle categorie tra umani e altre specie. Tanti sono gli strati di significato di HERbarium in cui rintracciamo non solo tematiche filosofiche ma anche di impegno strettamente femminista (da qui la sottolineatura dell’Her nel titolo).
Qui l’intelligenza artificiale col sottofondo musicale di Chiara Fabian, si incontra con l’intelligenza vegetale: scandagliando e comparando l’anatomia vegetale e quella umana la Kard provoca un interessante cortocircuito di sperimentazione visiva e performativa. La danza delle tre figure femminili (le danzatrici Bruna Cerasa, Marieta Georgieva, Aurora Lamonaca) viene letta, in fase preparatoria, in modo distorto dalla macchina: l’errore derivato dalla sovrapposizione delle informazioni del corpo umano allo stelo vegetale digitale, diventa una nuova coreografia che verrà re-interpretata dal vivo, dalle danzatrici. Piante e danzatrici ballano la stessa coreografia con uno scarto di differenza che rende evidente la soglia dell’umano: un errore, nel senso di deviazione dalla norma o imperfezione, può diventare un’opportunità creativa? Si può riplasmare la natura umana e il suo rivestimento genetico nell’incontro con la macchina?
In tutti e tre gli spettacoli citati il palcoscenico, grazie alla presenza dei sistemi di intelligenza artificiale, diventa uno “spazio altro”, quell’ “involucro definitivo” di cui parla il filosofo Luciano Floridi, in cui human agency e artificial agency coabiteranno, intrattenendo relazioni sia coi luoghi deputati che li ospitano sia con la realtà che rappresentano, un rapporto paradossale, specchiante, precisissimo ma anche straniante e spaesante.
Anna Maria Monteverdi
Ottobre/Novembre 2023, Torino, Arezzo
UNA ISLA
una creazione Agrupación Señor Serrano
regia e drammaturgia Àlex Serrano e Pau Palacios
assistente alla drammaturgia Carlota Grau
performer Carlota Grau, Lia Vohlgemuth, Sara Montalvão, Bartosz Ostrowski e nove performes locali
performer olografica Eva Torróntegui
coreografia Núria Guiu (in collaborazione coi performer)
scenografia e costumi Xesca Salvà
design luci Cube.bz
musica Nico Roig
creazione video olografico David Negrão
programmazione video David Muñiz
stage manager e performer Camille Latron
intelligenze artificiali utilizzate durante il processo di creazione GPT-3, Bloom, ChatGPT, DALL·E, Stable Diffusion, Midjourney, FILM
direzione di produzione Barbara Bloin
produzione esecutiva Paula S. Viteri
management Art Republic
produzione GREC Festival de Barcelona, Câmara Municipal de Setúbal, Rota Clandestina, Festival Internacional de Teatro de Expressão Iberica (FITEI), Centro Cultural CondeDuque, Laboratorio de las Artes de Valladolid (LAVA), CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli-Venezia Giulia, TPE – Festival delle Colline Torinesi, SPRING Festival, Feikes Huis, Departament de Cultura de la Generalitat
ringraziamenti Josep Marimon, Inês Oliveira, The Algorithmic Bridge, Román Torre, Ventura Kalász, Eva de Torróntegui, Marc Sansalvadó, Chloe Sansalvadó, Teo Sansalvadó, Blanca García Lladó, Alexandra Laudo, Julià Laudo, Claudi Laudo, Rosa Pozuelo, Emilio Palacios, Ayesha Gul
Con la collaborazione di Ajuntament de Terrassa e Fabra i Coats Fàbrica de creació de Barcelona
HERbarium – Dancing with an AI
Regia: Kamilia Kard
Anno di produzione: 2023
Durata: n.d.
Tipologia: cortometraggio
Genere: sperimentale
Paese: Italia
Distributore: n.d.
Data di uscita:
Formato di proiezione: VR, colore
Titolo originale: HERbarium – Dancing with an AI
Bel lavoro.
Articolo molto interessante!