Come sempre i Premi Ubu danno la possibilità di riflettere sullo stato dell’arte della scena italiana. Un approfondimento dopo la finale del 18 dicembre 2023.
Questa fotografia è stata scattata dopo la consegna del Premio Ubu per il miglior spettacolo alla compagnia lacasadargilla, per Anatomia di un suicidio, è una foto storica e rappresentativa perché il collettivo guidato da Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni ha vinto nelle categorie più importanti: miglior spettacolo per Anatomia di un suicidio e miglior regia di Natoli e Ferroni appunto sul testo di Alice Birch e per Il Ministero della Solitudine, Francesco Villano come miglior interprete, Petra Valentini come miglior attrice under 35. In quella foto c’è anche Marta Ciappina che per lacasadargilla ha curato la “drammaturgia del movimento” in entrambi gli spettacoli citati. Dunque la prima indicazione di questi Ubu è il fattore collettivo. lacasadargilla emerge come una comunità estesa, in grado di collaborare con alcuni tra i migliori talenti in circolazione e di rompere il paradigma secondo il quale il teatro d’arte non è fatto per grandi ensemble. Allo stesso tempo però lacasadargilla con questi due spettacoli conferma il paradosso del sistema teatrale italiano: il migliore spettacolo è un’opera andata in scena solo al Piccolo Teatro di Milano (con la lunga tenitura di un mese e non siamo a conoscenza di possibili tournée) e non è stata vista in altre città, rimane insomma appannaggio di un pubblico ristretto e territoriale; accadde anche con Hamlet di Antonio Latella; e pure Il Ministero della solitudine ha collezionato pochissime piazze. Parliamo inoltre di una compagnia che non produce solo opere per grandi palchi, a seguirli con costanza si scoprirebbero anche gli interventi più piccoli, le letture teatralizzate, le installazioni, sempre nel segno di una passione viscerale per la letteratura e la sua trasformazione in parola recitata; senza dimenticare il lavoro organizzativo (con un festival dedicato alla fantascienza come If/Invasioni dal futuro ad esempio) e dunque la presenza politica (nell’accezione positiva del termine, per la coscienza dimostrata negli anni) nella città di Roma.
Il collettivo lacasadargilla appare insomma come l’emblema generazionale di questi premi, anche dal punto di vista estetico, per la capacità di fare una sintesi di alcune delle tensioni più innovative degli ultimi decenni – il lavoro sulla voce e la vocalità, l’utilizzo di trame complesse che guardano al cinema e alla grande serialità internazionale, lo spazio scenico inteso come luogo aperto al performativo e mai come salotto borghese – facendole però esplodere nel campo di un teatro di rappresentazione adatto a un pubblico anche popolare. Va sottolineata poi, da parte del gruppo romano, l’attenzione per le scritture teatrali straniere (Lisa Ferlazzo Natoli vinse già la miglior regia con When the Rain Stops Falling di Andrew Bovell) che diventa vera e propria possibilità di scoperta per il pubblico italiano. Anatomia di un suicidio spezza anche una piccola serie statistica, perché era dal 2014, dal Panico di Ronconi (testo di Rafael Spregelburd), che non vinceva un miglior spettacolo basato su un testo non italiano. Chiunque dirigerà il Teatro di Roma avrà anche il compito di riportare definitivamente nella Capitale artisti come questi, ed è auspicabile che lacasadargilla possa trovare casa in via dei Barbieri quantomeno come compagnia residente.
Anche perché l’altra indicazione che emerge da questi premi è quella produttiva: il Piccolo Teatro di Milano, nella rivoluzione di Claudio Longhi, è diventato centro nevralgico di una serie di eccellenze artistiche che con la grande stabilità pubblica hanno sempre avuto difficoltà. Oltre alla compagnia diretta da Natoli e Ferroni gravitano attorno ai palcoscenici gestiti da Via Rovello (come artisti associati) Marco d’Agostin (miglior spettacolo di danza con Gli Anni) e Teatro Sotterraneo (vincitori lo scorso anno) e altri nomi importanti per questa generazione. Con i mezzi del Teatro d’Europa Longhi ha definitivamente portato a maturazione un progetto cominciato in Emilia Romagna di apertura produttiva a quei gruppi che prima erano relegati nelle retrovie, vivacissime, dei festival o delle produzioni indipendenti. Appare dunque naturale anche il premio alla carriera a Danio Manfredini, tra i padri delle ultime generazioni, maestro indiscusso, agitatore di ombre, maschere e fantasmi in un teatro di poesia che ha contribuito allo sguardo e alla sensibilità di tante e tanti di noi. Bisogna poi sottolineare che la critica teatrale più attiva oggi è entrata fortunatamente da qualche anno negli Ubu dalla porta principale ed è presente con alcuni nomi nel direttivo e nel comitato scientifico del premio (Lorenzo Donati, Roberta Ferraresi, Laura Gemini, Maddalena Giovannelli, Graziano Graziani, Leonardo Mello, Rossella Menna). Ci sono tante firme ancora assenti (anche tra le/i più giovani e tra le/gli specialisti di danza), che potrebbero portare un’importante varietà di sguardi ed è perciò importante che i comitati del premio continuino su questa linea di svecchiamento, quella che negli anni ad esempio ha portato a ridefinire la categoria dell’interpretazione accostando la parola performer a quella di attore/attrice; mutamento che che ha permesso di premiare Marta Ciappina, artista presente in tanti e diversi progetti e collaborazioni di questi anni, interprete in grado di partire dal corpo per ibridare la propria presenza scenica. Questione delicata poi è quella dei referendari candidati ai premi speciali, quest’anno è accaduto a due persone (Valentina Valentini e Renata Molinari), entrambe vincitrici dei premi speciali, entrambi con progetti validissimi – lavoro editoriale su Franco Scaldati di Valentini e Viviana Raciti e La bottega dello sguardo di Molinari – non sappiamo se abbiano votato (anche se solo al primo turno) ma, visto l’accaduto anche dello scorso anno con Massimo Marino, forse c’è semplicemente bisogno di una presa di coscienza e di una formalizzazione regolamentare che sia visibile anche pubblicamente.
È possibile utilizzare un premio storico come l’Ubu per scattare una fotografia del teatro italiano di oggi? Se ponessimo la domanda in questi termini la risposta sarebbe negativa. La fotografia sarebbe impossibile non solo perché un premio è sempre parziale ma anche perché il fare teatro in Italia va declinato ormai al plurale, per scelte estetiche ma soprattutto per possibilità produttive. Il tentativo però diventa meno sfocato se l’obiettivo si posa su uno specifico, quello del teatro d’arte nella sua prospettiva più avanzata. Naturalmente la capacità di innovare e colpire di un’opera teatrale deve vedersela con la possibilità di raggiungere il gruppo dei referendari, non il grande pubblico dunque ma un gruppo-campione di critici e critiche dislocati sul territorio nazionale. La finale di quest’anno dal punto di vista geografico ci consegna una mappa in cui per l’ennesima volta la presenza del Sud è minoritaria: il miglior testo italiano a Saverio la Ruina (non proprio una scoperta nel panorama italiano), il disegno luci di Cesare Accetta per La Cupa e Federica Del Gaudio per Natale in casa Cupiello. Spettacolo per attore cum figuris (anche tra i finalisti per il miglior spettacolo insieme a Hybris di RezzaMastrella) e potremmo considerare anche il progetto editoriale di Valentina Valentini e Viviana Raciti su Scaldati trai premi speciali. Ma d’altronde, ad eccezione dell’Emilia Romagna di Ert, che ha coprodotto Il Ministero della solitudine, Gli anni, Caridad di Angélica Liddel, Il Capitale di Kepler452 (premio speciale) e Lazarus, kolossal su David Bowie di Valter Malosti (che però vince solo il premio per la sonorizzazione di GUP Alcaro), non figurano molti altri territori produttivi. E tra i territori assenti uno dei più evidenti è quello torinese, e nello specifico lo Stabile di Torino che ha prodotto opere importanti e di pregio come Agosto a Osage County e I sei personaggi in cerca d’autore ma che non riesce ad apparire in alcuna categoria. Naturalmente qui il discorso si farebbe spinoso perché dovremmo aprire un capitolo sullo stato dell’arte della critica teatrale italiana che avrebbe bisogno di un articolo a sé. Proviamo però a far emergere una domanda: quando e come uno spettacolo diventa attrattivo per la critica? In un sistema nel quale alcuni dei migliori progetti (come nel caso del vincitore di quest’anno) replicano solo nel luogo di produzione è la critica a doversi spostare per cercarli. E naturalmente questo pone una serie di problemi: non si può vedere tutto, ma soprattutto viene sollevata la più spinosa delle questioni, quella economica. Sono pochissime le testate che possono permettersi di pagare (anche solo in parte) le trasferte e in alcuni casi sono i teatri stessi a intervenire ospitando critiche e critici e talvolta occupandosi anche del viaggio. Attenzione, non è nulla di nuovo, la situazione è questa da almeno un paio di decenni, amplificata però dalla mancata distribuzione di molti spettacoli, e dunque il sistema deve prenderne atto.
La questione economica e organizzativa però è centrale anche per il futuro del Premio. Qual è la sostenibilità di un appuntamento così importante per il nostro teatro? Anche quest’anno Ert ha fornito ospitalità e tecnica all’Arena del Sole ma l’apporto non è bastato a fornire una comunicazione dal vivo sufficiente per un premio così importante. Il mancato accordo con Radio Tre per l’intera diretta (il collegamento è avvenuto solo nella parte finale del programma, alle 22.45) ha fatto sì che chi volesse seguire il Premio da casa (come da tradizione) si è trovato di fronte a una trasmissione in streaming su Facebook realizzata con una sola camera fissa, molto lontana dal palco. Il sistema, e dunque probabilmente lo Stato, attraverso i finanziamenti pubblici, dovrebbe intervenire maggiormente per supportare un momento così importante per il teatro italiano, affinché la festa degli Ubu sia presente e possa incidere tra i più rilevanti fatti culturali del Paese.
Andrea Pocosgnich