A Torinodanza il nuovo teatralissimo lavoro di Peeping Tom, diretti dal solo Franck Chartier, è una intensa riflessione sui mezzi del teatro (e della danza, che comunque non c’è, ma non importa) come spazio di consapevolezza del trauma, dell’opaco, del limite.
Vite incagliate fra il ghiaccio di un preciso punto nel deserto artico del quale, senza alcuna apparente utilità, grazie al titolo abbiamo anche le coordinate GPS, l’esatta posizione geografica e temporale: S 62° 58’, W 60° 39’ (South 62 degrees 58 minutes, West 60 degrees 39 minutes). Corrispondono a Deception Island, luogo esatto in cui una nave è rimasta incagliata nel ghiaccio, senza cibo e intrappolata in questo paesaggio desolato e pericoloso, in cui un equipaggio sopravvive nell’unica speranza che il disgelo permetta loro di proseguire il viaggio. Ma è molto di più: dietro l’imponente scenografia c’è un’intera compagnia in prova, un difficile processo di creazione teatrale che stenta a prendere forma mentre i contrasti e le incomprensioni nel tempo si sono incagliate e cercano ora, in questa risoluzione metateatrale, una loro via. È il nuovo lavoro di Franck Chartier per i Peeping Tom visto a Torinodanza. Una performance fortemente attoriale, con un testo che domina l’intera messa in scena e una insistente richiesta interpretativa che allaga occhi e orecchie (anche il regista è presente, alle spalle del pubblico, e comunica direttamente col palco via microfono).
L’immagine iniziale è già una domanda rivelatrice: mentre un marinaio fatica ad ancorare la barca che si è incagliata tra i ghiacci, un bambino scivola fuori bordo, inghiottito dall’acqua: è il futuro che sparisce, finisce cadavere fra le braccia di un padre (che è stato) incapace di prendersene cura. È dunque il tempo a essere incagliato: su cosa? E quale tempo? Quello della creazione, della composizione; incagliato sui suoi processi, perché qui attori e attrici prendono parola sulla falsa moralità di chi indica la via mentre è perfettamente inserito nel sistema di privilegi che vorrebbe smantellare. Questa è la vita assente dalla realtà, perché la scena è capace di generare vita soltanto nella finzione. In un set, come d’abitudine, iperrealistico e di grande effetto cinematografico (di Justine Bougerol), attori e performer espongono a turno i loro dissapori sulle modalità e le convenzioni e soprattutto il dramma del tempo che scorre lontano dalla propria vita, mentre si cerca in teatro di ricrearla. In una ideale (ma ironicamente esplicita) risposta alle riflessioni di Castellucci e del suo teatro, qui sono i pericoli dell’opaco, i limiti oltre il consenso, la paura di oltrepassare il lecito e il consentito che illustrano direttamente i pericoli della manipolazione. Ai quali, in generale a teatro, sì è risposto con una finzione di mediazione e compromesso che ha fatto fuori la necessità del problematico, del conflitto e dello scontro (e per questo, forse, tale necessità sembra ricadere nella realtà di oggi).
Ci sono tutti o quasi gli interpreti storici di Peeping Tom, collaboratori di lunga data (Eurudike De Beul, Leo De Beul, la bravissima Marie Gyselbrecht), performer che ritornano (Sam Louwyck) e nuovi o recenti che si sono uniti ai membri del cast (Lauren Langlois, Romeu Runa, Chey Jurado), in un gioco introspettivo che investe vent’anni di ricerca e di creazione: così, le paure sulla propria identità, sui personali talenti non sempre riconosciuti, sulla vita privata ormai in pezzi, e il tempo che invecchia sui corpi, inesorabile. Compresa naturalmente la questione del trauma (il bambino in scena) come esito di manipolazione potenziale in ogni relazione affettiva, nella tensione dialettica con la necessità della sua rappresentazione. Gli interpreti sono manipolati dal regista che con le sue richieste incessanti incombe nel tempo della prova, o sono invece loro a manipolare lui con continue interruzioni per rivendicazioni e richieste egoistiche? Tutto è costruito per l’assedio della domanda: «ma alla fine, chi manipola chi?». È ovviamente una sfida teatrale di grande richiesta fisica ed emotiva, e il gruppo è al solito sorprendente, e pazienza anche per tutta la danza che non c’è, ma davvero poco importa…
L’ultima parte è un lunghissimo monologo, recitato completamente nudo dallo straordinario Romeu Runa, continuamente sdoppiato tra l’attore immerso nel personaggio che rivendica un teatro del conflitto e del dissidio, e l’attore che fa i conti con la sua umanità, nel riserbo nei confronti di una realtà più forte e la necessità di maggior consapevolezza per le pericolose conseguenze manipolatorie della finzione. Non senza risoluzione ironica attraverso la fisica rottura della quarta parete, cui segue la minaccia di intimare un’orgia con il pubblico come chiusura dello spettacolo, fino alla violenta presa di mira di una spettatrice (che certo subito sorride, ma di fronte a una preoccupante insistenza non può che reagire con espressa inquietudine). La soglia è allora raggiunta, e l’opaco ora incombe: l’attore deve fermarsi. Ora basterà che un solo spettatore creda alla superiorità della realtà esterna su quella artificiale del teatro per riaprire le porte (come fossero quelle di un manicomio o di una prigione), ed essere restituit* tutt* alle difficili contraddizioni del mondo. Nel silenziato gelo della platea un ragazzo allora si alza, lo raggiunge, se ne vanno fuori insieme «con il loro segreto».
Stefano Tomassini
Ottobre 2023, Torinodanza Festival, Fonderie Limone – Sala Grande
S 62° 58′, O 60° 39′
uno spettacolo di Peeping Tom
ideazione e regia Franck Chartier
coreografia Yi-Chun Liu, Peeping Tom
creazione e interpretazione Eurudike De Beul, Marie Gyselbrecht, Chey Jurado
Lauren Langlois, Yi-Chun Liu, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens