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MOIRA, CASA, FAMIGLIA E SPIRITI (di Ottavia Bianchi)

Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 23

Molto spesso si definisce il passaggio tra vita e morte come una specie di soglia, un limite da valicare per raggiungere un’ipotesi di aldilà; ma forse, a ben vedere, somiglia più ad un confine, un varco ambivalente che cioè tenga in equilibrio una duplice direzione – da e per, la vita e la morte. Sembra questa un po’ la riflessione che ha guidato Ottavia Bianchi nella scrittura di Moira, casa, famiglia e spiriti, che con la regia di Giorgio Latini ha debuttato al Teatro Manzoni. Moira è una donna, interpretata dalla stessa Bianchi, che ha lo strano dono di vedere e dialogare con i morti, o meglio, coloro che sono defunti nella casa in cui abita, tra i quali, ultimo in ordine di tempo, il proprio padre. Un dono, certo, ma allo stesso tempo una condanna – lei stessa crede – a perpetuare una solitudine esistenziale perché in essa possa mantenere il segreto di questa fantasmatica convivenza. C’è una giovane timorata un po’ svampita (Patrizia Ciabatta), una sferzante prostituta (Giulia Santilli), un timido soldato balbuziente (lo stesso Latini), infine Alfredo (Andrea Lolli), padre di Moira, che cerca di recuperare il tempo trascorso senza di lei, pensando ce ne fosse chissà quanto. Proprio la sua presenza convince Moira a chiudersi in un guscio che la ripari da nuove conoscenze, da ciò che cambierebbe il suo equilibrio, fatto di lavoro e visite della vicina strampalata (Beatrice Gattai). Ma una casa in affitto non è per sempre, c’è uno sfratto alla porta; eppure se lo sfratto ha il delicato impaccio di un ufficiale affascinato (Sebastiano Colla), forse le cose possono cambiare. Nel tono di commedia, che sfrutta con sicurezza gli effetti popolari della parlata romanesca e la verve di attori ben diretti, Bianchi compone uno spettacolo vivace e non privo di profondità, richiama e attualizza i Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli (1961), rinnovandone un certo spirito canzonatorio e insieme nostalgico nei confronti della vita e dei vivi, così presi dalla paura della morte da non badare a quanto, della vita stessa, si fanno sfuggire via. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Manzoni. Crediti: di e con Ottavia Bianchi; e con Patrizia Ciabatta, Sebastiano Colla, Beatrice Gattai, Giorgio Latini, Andrea Lolli, Giulia Santilli; Regia di Giorgio Latini; Aiuto regia Martina Paiano; Scenografia Cecilia Sensi; Costumi Lucia Mariani; Foto e Grafica Marco Bellucci; Una produzione Centro Teatrale Artigiano

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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